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REC

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REC
 
Angela e Pablo lavorano per una Tv locale di Barcellona. Lei si occupa delle interviste, lui sta dietro la videocamera. Una sera si trovano in una caserma dei vigili del fuoco. Stanno facendo un servizio sulla loro attività. Sembra non succedere nulla. Poi inizia a suonare la sirena che richiama i pompieri al lavoro.
Alcuni di essi insieme ad Angela e Pablo salgono su un’autopompa e si dirigono verso un condominio da dove è partita la chiamata di emergenza. Ad aspettarli, nell’androne del palazzo, due poliziotti e alcuni inquilini che sono scesi dai loro appartamenti perché impauriti dalle urla che avevano sentito. I poliziotti, i pompieri, Angela e Pablo salgono le scale, arrivano all’appartamento dal quale si è sentito gridare, i pompieri buttano giù la porta ed entrano. Angela e Pablo li seguono. Una signora sporca di sangue appare in un corridoio.
Rec, come Cloverfield, sembra esplorare le nuove direzioni che l’avvento delle videocamere digitali hanno aperto al cinema. Anche qui si gioca sul presunto realismo delle riprese (non più amatoriali, come in Cloverfield, ma più vicine al modello della Real-Tv) per creare un nuovo meccanismo visivo (ma fino a che punto?) capace di spaventare lo spettatore. Perché solo di spavento si tratta e mai di paura. Uno spavento programmato come quello nelle case dell’orrore al Luna Park. Uno spavento che arriva tramite veloci incursioni nelle inquadrature di corpi infetti che si muovono invisibili nel fuori campo fino al momento in cui si manifestano nel quadro con l’effetto (a volte riuscito, altre meno) di far saltare lo spettatore sulla poltrona (si veda a questo proposito il trailer di Rec che mostra le reazioni del pubblico in sala).
Balaguerò e Plaza strutturano il film secondo precise logiche narrative (scopiazzando un po’ dove capita, soprattutto nei contenuti) e rinunciando ad approfondire più interessanti (e possibili) riflessioni teoriche.
Il limite del filmabile, per esempio. L’occhio della videocamera segue tutte le vicende in nome della “verità”, Angela spesso ripete “il pubblico deve sapere”. E la videocamera non si tira indietro davanti a nulla. Corpi feriti, mutilazioni, dolore, violenza e soprattutto la morte. In una sequenza Pablo riprende la morte di una donna e Angela gli domanda “ce l’abbiamo?” e lui manda indietro il nastro per farle vedere che ha ripreso tutto. In questo modo ogni cosa diventa filmabile (senza più intenzioni morali, estetiche o filmiche) e quindi trasformabile in cinema con la perdita però di quei criteri di selezione, organizzazione e manipolazione che caratterizzano proprio il cinema stesso. Non vi è poi nel film nessuna critica al modo mostrato di fare televisione, che oggettivamente risulta essere pessimo e vicino a molta della spazzatura giornalistica del nostro universo catodico e si rimpiange il fatto che Angela e Pablo servano solo come mezzo indispensabile per lo sviluppo e lo svolgimento della storia e non come perno per scardinare un’idea malata di fare televisione. Quella che dà valore a persone e situazioni solamente perché inquadrate.
E’ interessante comunque vedere come il cinema horror stia provando ad intraprendere strade diverse dalle solite, nel tentativo di rinnovarsi e soprattutto come il digitale (nelle sue manifestazioni più amatoriali, simili a quelle di youtube) stia creando una nuova estetica, non ancora supportata però da una appropriata forma narrativa.
Trailer su YouTube

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