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Non è un paese per vecchi

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Non è un paese per vecchi è un film anomalo e intenso. Costruito su spazi e personaggi. Dove ancora una volta i fratelli Coen amalgamo i generi cinematografici per creare una dimensione narrativa fuori dal tempo, una zona di frontiera filmica quanto reale nella quale far esplodere una nuova storia di sangue e denaro. Perché sono proprio il Texas e il confine con il Messico a fare da sfondo alla storia narrata dai Coen e tratta dall’omonimo romanzo del 2003 di Cormac Mc Carthy.
Llewelyn Moss (Josh Brolin) scopre per caso, in mezzo al deserto, alcuni fuoristrada immobili. Si avvicina con cautela e si accorge che il posto è pieno di cadaveri. Un affare di droga andato a male. Llewelyn si allontana, poco distante, sotto un albero, vede con un binocolo i contorni di un corpo. Aspetta, poi si avvicina. Un altro cadavere. Accanto, una valigetta. Dentro, due milioni di dollari. Llewelyn prende la valigetta.
Sulle sue tracce si metteranno due personaggi, Chigurth (Javier Bardem), un killer psicopatico e un poliziotto dai saldi valori morali (Tommy Lee Jones) che vorrebbe aiutarlo.
I fratelli Coen scelgono una lente grottesca attraverso la quale filtrare l’intera storia. I momenti di estrema violenza si alternano a dialoghi essenziali e surreali e a improvvise aperture di umorismo nero. Il personaggio di Chigurth è davvero inquietante, con la sua assurda capigliatura, capace di non farsi nessuno scrupolo morale nell’uccidere una persona e in possesso di una lucidità mentale sempre fredda e glaciale. Dice Bardem a proposito del personaggio che inetrpreta – “Uno dei temi del film è questa grande ondata di violenza che si è impossessata del mondo e Chigurth è il simbolo di questa violenza perché non ha radici, è spietato e inarrestabile.”
La violenza, dunque. Ma anche la rappresentazione di un mondo che sembra aver perduto i propri valori, in questo caso l’Ovest moderno, ormai senza più nessun legame con il mito della frontiera da cui era nato, una terra che diventa simbolo di un Paese senza più leggi.
Tutto rimane sospeso nel film dei Coen (il tempo: siamo nel 1980, ma sono quasi nulli i riferimenti a questa data; i luoghi: il deserto, gli interni poveri dei motel) eppure le immagini sono così fisiche, fatte di corpi feriti e sanguinanti, che diventano sempre il cuore pulsante e dolente dell’inquadratura, in contrasto poi con gli spazi immensi della frontiera, con i sui silenzi. L’America mostrata dai Coen è un paese che attende, che si muove lentamente verso la morte. Un cinema funereo, cinico e malinconico, impeccabile stilisticamente, ironico e dissacrante, capace di riorganizzare gli spazi naturali come quelli urbani in una visione attentamente studiata, programmata. Grazie anche all’ottimo lavoro svolto sulla fotografia da Roger Deakins, con i toni caldi e le tonalità giallo-ocra del deserto e il miscuglio di colori pastosi per gli interni dei motel e per le strade di notte. Dice lo stesso Deakins – “Mi è piaciuto molto mettere in contrasto la luminosità degli esterni con il buio degli interni e il paesaggio sbiancato con i colori sgargianti del mondo notturno.”
Non è un paese per vecchi è anche una fuga senza tregua, in cui il western, il thriller, il road-movie e la black comedy si attraggono e si respingono in una forma che muta in continuazione, capace di prendere sempre di sorpresa lo spettatore, lasciandolo a volte senza fiato, in una messinscena grottesca della tragedia della vita,  in una disincatata riflessione su come le cose cambino e i vecchi non siano più in grado di capirle.
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