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Derubata d’innocenza – Sara Tarantino

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È della prima edizione della collana editoriale “Declinato al femminile” di Edizioni Creativa che vorrei parlarvi oggi e il titolo di questa prima pubblicazione di collana è: “Derubata d’innocenza” di Sara Tarantino, un libro diviso tra presente e passato, tra una giovane donna e una bambina così lontane eppure così vicine. Un libro pieno di fratture e ricomposizioni tutto dedito alla ricerca di quell’universo femminile perduto in un attimo che non si vorrebbe ricordare. E così come in un conto alla rovescia la protagonista del romanzo inizia a ricordare in un percorso di espiazione del dolore tutti i particolari e le giornate, avvolte da un tempo inesorabile, di quell’infanzia perduta, cominciando – dopo una breve presentazione – dai piccoli dispetti di bambina. E saranno proprio queste piccole descrizioni di bambina vivace che, strappando un sorriso tra le righe, costituiranno il controcampo alla violenza, in un contrappunto semantico che come un pugno allo stomaco creerà la tensione fondamentale di cui è costituito il libro.

Ricordando per alcuni versi “Dei bambini non si sa niente” di Simona Vinci, questo libro è un romanzo denuncia della pedofilia che si insinua in questo caso tra le pareti delle mura domestiche, dove aleggia un odore di vecchio e di morte in quella piccola stanza familiare mentre gli occhi di bambina imbambolati davanti ai cartoni animati quasi non capiscono cosa sta succedendo a quel piccolo corpo che istintivamente prova repulsione. E allora grida tutte interiori, sempre soffocate, si avvicendano nella coscienza della bambina e della giovane donna. In questa situazione, poi, tutto sembra accusarla, o meglio, pensa che nessuno potrebbe crederle e nessuno potrebbe aiutarla. Come a dire, a mio avviso, che il perbenismo della famiglia italiana ha eretto muri imponenti anche intorno ai bambini. Purtroppo. Così è come se vedessimo una bambina che prosegue la sua vita a testa alta come un adulto si rialza con le sue stesse forze. L’istinto di vitalità, la volontà di continuare nonostante tutto saranno perciò le tematiche principali del finale dove la riconciliazione della protagonista con sé stessa e con il mondo che le sta intorno si avvereranno in una lei ritrovata.

Splendida inoltre l’introduzione di Francesca Mazzucato, editor di questa collana che commenta: “La nostra è una società di strappi e di spazi dove depredare appare l’unica attività consentita. Una società complessa e vorace che dimentica quello che deve tutelare, che dimentica gli indifesi e che dimentica la potenza dei ricordi dolorosi, quelli che rendono vergognosi e affranti, una potenza distruttiva con la quale, prima o poi si fanno i conti. (…) La violenza sui bambini si esercita in tanti modi, alcuni sottili, altri palesi, evidenti, eclatanti. Ha un nome, pedofilia.”

Ecco dunque un romanzo che rispecchia una volontà di ricerca di un mondo interiore femminile, che in questo caso si ricollega all’infanzia, alla famiglia e ovviamente allo stupro. Esperienza questa che ritorna nelle righe di alcune donne, e mi torna in mente il meraviglioso monologo: “Lo stupro” di Franca Rame, che a differenza di ciò che avviene in questo romanzo, è descrizione di un’esperienza adulta: un taglio fresco. Gli occhi di bambina, che invece ci accompagnano nella narrazione di Sara Tarantino non ci lasceranno più, facendoci rimanere inermi di fronte alla situazione: non è possibile pensare che qualcuno o qualcosa possa intervenire per bloccare ciò che sta accadendo e rimaniamo immobili sulla nostra poltrona di spettatori, inermi e involontariamente costretti a guardare, come la protagonista lo è nel subire. Immobili eppure così interiormente scossi.

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