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Editors – The Back Room

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Birmingham, 2005 . Sembrava difficile si potesse scrivere, di una band, che fosse epigona degli Interpol, a nemmeno tre anni di distanza dall’uscita di Turn on the Bright Lights : non soltanto per via del relativo successo del promettente gruppo di Paul Banks; ma – onestamente – per via del limite, per così dire, strutturale del loro sound e della loro estetica; che non conosce originalità, e si distende per emulazione e ripetizione di atmosfere, suggestioni, stilemi e dettami di Joy Division , Television, Echo & The Bunnymen (in ordine di rilevanza). L’esordio dei pur divertenti Editors, band di indie rock inglese, avrebbe avuto altro senso ed altra eco se non fossero esistiti almeno gli Interpol o i Bloc Party . Non si discute dell’intensità del canto gahaniano e curtisiano di Tom Smith: né delle sonorità cupe, travolgenti e depressive dei quattro di Birmingham; si discute, naturalmente, della necessità di avere coscienza del passato, quando si incide un disco come questo.

The Back Room è davvero ben suonato (confezionato?), ha un impatto ruvido e incisivo, non stanca e non annoia. E allora? E allora non ci siamo: ho testato l’ascolto del disco con circa dieci buoni ascoltatori, spacciandolo per il nuovo album degli Interpol. Nessuno ha mostrato stupore. Non voglio chiamare in causa la categoria dell’onestà – non dubito che Tom Smith e compagni abbiano animato questo progetto con la massima volontà di originare qualcosa di nuovo e di potenzialmente influente; chiamo in causa la categoria dell’intelligenza. Trattandosi di un prodotto destinato alla stessa nicchia che ha accolto e svezzato gli Interpol – badate bene, non torno indietro di venticinque anni proprio per le ragioni che avrete intuito – non ci si può non attendere di venire smascherati. Detto questo: The Back Room è un album che farà godere quanti vogliono ascoltare imitatio sine variatione di un sound che sentono particolarmente vicino alla loro sensibilità estetica .

L’incipit – canto paulbanksiano ad aprire il brano, in perfetta sincronia con la chitarra – è Lights . Ritmo decisamente alto, riff assassino, batteria rabbiosetta e aggressiva. Sonorità oscure senza per questo rivelarsi dark; Munich – il pezzo successivo – chitarre decisamente Television, ritornelli Interpol, stile del canto più Banks che Curtis, si lascia ascoltare e accende qualche scintilla; si respira una notevole compattezza; sbavature e amnesie nulle. Difficile non memorizzare al secondo ascolto; il ritornello è orecchiabile davvero: “ People are fragile things, you should know by now / You’ll speak when you’re spoken to / With one hand you calm me / With one hand I’m still / With one hand you calm me / With one hand I’m still, still, still, still “. Sulla falsariga di Munich, piazzerei il nono pezzo, Someone Says .

Bullets è stato il singolo-cardine dell’album. È testosterone post-depressione, rabbia da sbornia con l’umore andato a ramengo, arrangiamento paraculo per colletto bianco in vena di alternativismo. Carina: ma non immortale. Passerà.

Gli Interpol inglesi – il che sembra già una connotazione grottesca: i primi, americani che suonano come inglesi di venticinque anni prima, mentre gli Editors… – giocano su una forma canzone decisamente prevedibile ma non per questo sgradevole: ulteriore conferma è Blood , prima rilevante dimostrazione della capacità del bassista Russell Leetch di scandire tempi e spirito d’un brano, senza vezzi da talentuoso e senza particolare personalità: è lineare, come lineare appare l’album intero. Corrispondenza prima di Blood è la settima traccia, Fingers in The Factories – che stucca nel ritornello ma altrimenti risulta borghesemente adrenalinica. Da pogata con la scrivania, per intenderci.

Prima ballata crepuscolare e decadente è la tetra e curtisiana Fall : Tom Smith accompagna l’ascoltatore nel suo inferno, senza nominare altro di diverso dalla sua intenzione di sprofondare nel mistero delle sue contraddizioni. S’accompagna alla malinconica Camera , capace tuttavia di sgusciare dall’ombra e di sprigionarsi in un credibile crescendo; e alla solo apparentemente suicidella Open Your Arms . Questi ragazzi hanno voglia di vivere, di conoscere sempre nuove groupies e di alimentare il mercato catodico di Mtv, inscenando qualche minimalismo di facciata, un’oscurità a buon mercato, roba da interruttore on-off; io dico che hanno tre album di autonomia, e sono più che generoso. Invecchio bene.

Meno devastata è All Sparks . Spunta fuori qualcosa di shoegaze, Distance .

È l’epilogo di un album che confonde una certa tradizione con la sua emulazione; che sprofonda gli Interpol nella maniera, “classicheggiandoli” arbitrariamente, e lascia intravedere un pericoloso sentimentalismo che promette virate pop e postromantiche – diciamo Elbow più accessibili, o meglio ancora Doves più maturi – meno madchesteriane e più “occidentali”.

Conio una categoria: mediocrità di qualità . Ecco gli Editors.

Superficie profonda di un’onda che ha conosciuto altro radicalismo, altro estremismo, altra disperazione; di Ian Curtis ne è nato uno soltanto, di epigoni non ci stancheremo mai di conoscerne; nella speranza che un giorno.

E io la finisco qui, ma voi pensateci su per bene, prima di.

EDITORS

Tom Smith , cantante e chitarrista.

Chris Urbanowicz , chitarrista.

Russell Leetch , bassista.

Ed Lay , batterista.

DISCOGRAFIA ESSENZIALE e BREVI NOTE

The Back Room , Kitchenware Records , 2005.

Quattro giovani studenti universitari della Stafford University, freschi di trasferimento a Birmingham, danno vita agli Editors. È il 2003.

Approfondimento in rete : All Music / Sentire Ascoltare / Pitchforkmedia / Editors Official Site .

Gianfranco Franchi, “Lankelot” . Ottobre 2005.

(Foto di Fiamma Franchi Roma, 2005)

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