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C’ero una volta – Lele Panzeri

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C’era una volta una recensitrice triste e miserella che non sapeva da che parte iniziare a commentare un libro che già l’aveva spiazzata in corso di lettura. Eh sì, poiché lei di pubblicità aveva sempre trattato da utente – di gran lunga preferendo essere, se possibile, una fiera non-utente -; ed invece le pagine di “C’ero una volta. Vita di un creativo” l’avevano invitata con garbo a spingere il miope sguardo di là da slogan e spot e minuti rubati ai film. Giusto un’occhiata a quello che è il lavoro a monte di tutto questo. Ed ora?

Smarrimento. Fino a qui, infatti, avevo sempre tralasciato di considerare il mondo descritto da Panzeri – per la cronaca, uno dei grandi creativi pubblicitari della scuola italiana -. Al massimo qualche seminario di semiotica all’università o consessi intellettualoidi improvvisati in materia di comunicazione e linguaggio. Tutto comunque rigorosamente improntato a “conoscere il nemico”, decifrando immagini e testo di ciò che spesso s’intendeva criticare a prescindere. Insomma, quello della pubblicità è stato, per quanto mi riguarda, un ambito esaminato, soprattutto focalizzando i presupposti ideologico-culturali da cui muoveva o ancora gli effetti che si supponeva dovesse produrre. Un universo sotterraneo e misterioso in cui furbizia, ruffianeria e abilità nel manipolare le menti si componevano in immagini patinate pronte all’uso.

Devo affermare che in realtà, fino alla lettura di Panzeri, era raro per me pensare al seguito umano di tutta la faccenda, alla carne ed all’energia che si celano dietro la finzione. “C’ero una volta” obbliga dunque a considerare i creativi non solo come brillanti ingegni prestati ad “empie finalità”, ma soprattutto come persone che si barcamenano nella vita reale, come tutti.  Eureka!

Accantonando però quest’aspetto, che definiremo epifanico (almeno in relazione ai preconcetti di chi vi scrive, distinti lettori), c’è più che altro da rilevare il gran pregio del romanzo, ossia quello di guidare il lettore appunto attraverso le stanze dei bottoni, gli uffici delle agenzie pubblicitarie, mostrando non senza un pizzico d’orgoglio e una buona dose di candore come nasce un tormentone da reclame. Liscia gassata o…

Tutto il resto, nelle pagine quasi autobiografiche che leggiamo, è una brillante e divertente cornice di vicende più o meno personali dell’autore. Narrazione di un’esistenza non certo monotona, sospesa tra reale e fiabesco  – ma come potrebbe vivere, se non così, un creativo?! – e che senz’altro diventa utile espediente, nelle proprie caratteristiche eccezionali e rocambolesche, a vantaggio dell’economia del racconto, suscitando interesse e divertimento nel lettore.

 C’è inoltre un ulteriore elemento dell’opera che merita qualche parola di commento: la scrittura, che qui si fa minimale eppure evocativa. Quasi tutto il libro, infatti, è caratterizzato da un periodare breve, lapidario, inserito in paragrafi-frammento, nella maggior parte dei casi composti di una sola frase. Ebbene, se ad un primo sguardo, ciò può non risultare proprio ortodosso, dando quasi un aspetto dilettantistico e negligente all’insieme, a ben vedere si può cogliere, secondo me, un parallelo tra questo modo di scrivere e le modalità espressive della pubblicità, fatta di poche parole ad effetto. Potrebbe dunque essere, questa, la sperimentazione di un nuovo stile d’incrocio e contaminazione, a metà tra letterario e pubblicitario. Panzeri, di fatto, sfronda la letteratura da ogni eccedenza e al contempo arricchisce, dà profondità al linguaggio da slogan, ottenendo una sintesi che a tratti si coagula in gruppi d’immagini proposte in fitta serie, come in un videoclip.

C’è parecchio di televisivo, in effetti, in “C’ero una volta”, che diventa quasi scrittura di fotogrammi. Fotogrammi che ritraggono da vicino un contesto folle, dinamico, che altrove ed in altre occasioni ci è stato descritto come anticamera di quella Milano da bere (tanto per rimanere in tema di spot), che, apprezzata o meno, è entrata a far parte, in un certo senso, del paesaggio mediatico pop italiano. Un mondo, quello della pubblicità, di cui sicuramente tanti vorrebbero varcare la soglia, ed è proprio a costoro che l’autore si rivolge idealmente, nelle ultime pagine del romanzo, dando consigli su come affrontarlo ora e definendo al contempo il target specifico dell’opera presentata.

È però interessante e costruttiva anche per i “non-creativi”, l’escursione qui proposta, che in cinquecento pagine di leggerezza ed ironia, ci porta a fare un giro completo attraverso questo luna park di scritte al neon e tiri a segno, reame della divinità bifronte Marketing e Comunicazione. Dunque, “C’ero una volta. Vita di un creativo”, oltre che fornire utili spunti per i giovani aspiranti pubblicitari, illustra invece agli altri una possibile prospettiva, una diversa chiave interpretativa su aspetti importanti della società, dando ulteriore impulso ad una nuova riflessione socio-antropologica.

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