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Come semi d’autunno – Christine Leunens

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DELIRI TRA BUGIE E SINDROME DI STOCCOLMA

 

Mi misi a sedere girando i pollici – quello reale e quello che continuavo a immaginare. Chi stavo aspettando? […] Ogni possibilità mi rimandava alla possibilità opposta, questo o quello, destra o sinistra, giusta o sbagliata ma fai una scelta, verità o menzogna, realtà o fantasia. E gira e rigira, gira e rigira […] e così fnché mi ritrovai stordito e perso tra due possibilità del tutto equivalenti. (pag. 371)

 

La tragedia di una personalità criminogenetica ed immatura: ecco la chiave primigenia di lettura di questa poderosa fatica della Leunens.

Incontrastato signore della pagina, l’io narrante di questo sciagurato de(re)litto umano, che risponde al nome di Johannes Beltz, ma che in realtà è l’ennesima metafora della fine dell’Austria Felix. La fantasmagoria della quale è personificata dalla nonna del protagonista, da lui e la sorellina ribattezzata la nonna Pimmi, poi aggiungemmo il suffisso `chen‘, che in tedesco sta per `piccola cara’ (pag.11).

 

Uno psicodramma durissimo, che strizza l’occhio a “La marcia di Radetzky” del più celebre Joseph Roth. Anche se Christine non è austriaca, né germanofona, pare (a parte il padre fiammingo).

Anzi, per chi volesse ricostruire le vicende dell’Austria prima del “Commissario Rex”, direi che questa è la lettura giusta, preceduta ovviamente dalla Marcia del magistrale Roth.

Certo, l’impianto di questo romanzo è modernamente minimalista, sono mutati tempi e sensibilità artistiche, però… quanto somiglia lo storpiato Johannes (metaforicamente dal suo fanatismo di giovane hitleriano-da-Anschluss[1], fisicamente da una della miriade di bombe sganciate dagli Alleati su Vienna) a Karl Joseph Von Trotta!

Gli somiglia nel suo delirio di vinto, nella maniacale, quasi religiosa, intrapresa della propria marcia verso l’annientamento.

 

Ma forse Christine mastica anche un po’ di italica letteratura, datosi che pare tentare d’aderire al famoso manifesto del verismo che Verga propala nella sua prefazione ad “I Malavoglia”. E pare aderirvi, l’autrice poliglotta, nel momento in cui la voce dello scrittore scompare dal racconto. Voce invece molto presente in Roth.

L’ineluttabilità della tragedia di Johannes, nel suo scandirsi tra nevrosi ossessivo-compulsiva e totale incapacità di amministrazione di se stesso, della sua Fata/Streghetta Prigioniera e dei beni di famiglia, è molto simile, poi, anche al delirio di onnipotenza dei verghiani Malavoglia.

 

Perno della tragicità dell’io narrante e della narrazione è la pratica indefessa della Menzogna da parte del Carceriere, e la complementare adesione dell’Incarcerata alla sindrome di Stoccolma, che più da manuale di così non può proprio esser resa.

Sentite un po’ che dichiarazione di poetica della follia, che il nostro sciagurato mentecatto Johannes – liricamente e struggentemente invero – piagnucola alla fine dei giochi:

Il dono più potente e segreto che ci viene dato non è la vita, ma la capacità di ritoccarla mentalmente, di potarla nel profondo del nostro cuore e di prenderci cura di ogni ramo e rametto che avrebbe dovuto svettare sotto la volta celeste e invece vive negli intagli del nostro

desiderio, nelle incisioni della nostra anima. (pag. 376)

 

Bella ed apprezzabile la resa stilistica e del registro espressivo, da parte di una donna, del delirio di un eterno adolescente, un folle Peter Pan, un relitto umano.

Notevole anche la fissazione del linguaggio e della cultura deviante di un’altra dramatis persona, un’altra derelitta, Madeleine (non a caso, il nome?) la prostituta, che ad un certo punto interseca la vita della coppia principale vittima/carnefice.

Ecco come la stessa rappresenta, plasticamente quasi, a se medesima ed ai terzi la propria condizione, o meglio, l’autogiustificazione posta a presidio della sua drammatica condizione di alienata:

– Io? Non esiste nessun ‘io’. Mi limito a realizzare le fantasie degli uomini. A sculacciare uomini cresciuti che hanno nostalgia della mamma. Gli lascio credere di essere quella prima pulzella che li aveva fatti impazzire ma che non gliel’aveva mai mollata… Io non sono nient’altro, mi segui? Sono quella che non c’è. Non vendo il mio corpo. Come potrei, dal momento che non sono io. Il ruolo me lo danno altri, come a un’attrice. (pag. 293)

 

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Christine Leunens, a memoria di bandella dell’edizione qui esaminata, è nata in Connecticut, da madre italiana e padre fiammingo. Dopo la laurea ha lavorato come modella nel Vecchio caro Continente come modella per varie griffes. Il suo successo le ha permesso di abbandonare le passerelle e fare la scrittrice e l’allevatrice di cavalli in Normandia. Beata lei…

Ha scritto anche per il teatro ed ha sceneggiato qualcosa che l’è valso un premio in Francia, da parte del “Centre National du Cinéma”.

Tutto questo è molto bello, ma vogliamo darci un taglio con codesta esterofilia sfacciata, che comincia proprio a dare sui nervi?

 

Christine Leunens “Come semi d’autunno”, Meridiano Zero, Padova, 2006.

 

Traduzione di: Maurizia Balmelli, che la casa editrice c’informa essere traduttrice e sceneggiatrice televisiva, e vivente tra Svizzera e Italia.

Buona comunque, la politica editoriale di inserire in bandella anche una breve nota sui veri artefici del successo di questa legione straniera qui in provincia… pardon, Italia!

Titolo originale: Caging Skies, 2004



[1] Ovverosia, l’annessione dell’Austria da parte del Terzo Reich, preludio dell’escalation di follia che portò al secondo conflitto mondiale ed ai campi di sterminio.

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