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Intervista con Caboose

8 min read
 
 
Hinterland Blues è il primo album dei Caboose, formazione italo-berlinese, seguito di un Ep pubblicato sempre nel 2018 promosso con più di 50 live, compresa l’apertura a una leggenda del blues come Watermelon Slim.
Nel nuovo album, i tre musicisti proseguono nella loro ricerca, impegnati in un discorso più maturo che alla radice musicale e sociale del blues pre-war aggiunge generi e temi contemporanei, soltanto all’apparenza distanti.
Gli intermezzi di slam-poetry, le grida stile spoken word, i riff riverberati della psichedelia si potrebbero quasi interpretare come l’evoluzione di quello stile documentato da Alan Lomax, quando la voce, il canto, il songwriting, oltre ad un’occasione di festa erano uno strumento sociale in mano ai lavoratori delle piantagioni e che grazie al dono del racconto e del saper suonare uno strumento, hanno sensibilizzato il pensiero collettivo di un’intera comunità partendo da fatti prevalentemente quotidiani trattando con ironia tabù, disgrazie, oppure mettendo in luce le ipocrisie, le facezie, le tristezze della propria gente.
Nel Mississippi ideale dei Caboose, resta l’immaginario sonoro mistico e poetico à la Fred McDowell e dell’Hill Country blues, ma non troviamo più gli schiavi dei campi di cotone nè le feste clandestine nelle cabin, l’ironia e il focus delle storie si spostano sui protagonisti contemporanei: giovani disoccupati in viaggio su aerei low cost, adulti superstiti del ’68 travolti dai social media, lavoratori sfruttati ripagati in ore di traffico e programmi televisivi a pagamento.
Tutti i testi sono pervasi dalla medesima tensione, che diventa ora sociale (come nella traccia più R&B dell’album Our World), ora distruttiva (il punk-rock a tinte scure di Suicide Song), ora anelante a qualcosa: la persona amata (l’incalzante Bloodhound), lo scomparire sul primo treno che capita (il traditional Freight Train). Dai pezzi non sembra trasparire alcuna soluzione, piuttosto la forza dei protagonisti in un percorso che porta alla (non facile) scoperta di se stessi, con esiti distruttivi o liberatori.
La scelta del tema non è fatta a caso. Il chitarrista e leader del progetto Louis DeCicco lo spiega così: «Ho fantasticato attorno una teoria matematica chiamata “lonely runners conjecture” in cui in sintesi, su un totale di ipotetici corridori che viaggiano alla stessa velocità lungo una pista circolare, c’è un esatto momento in cui tutti sono separati dagli altri secondo la medesima distanza e velocità. Azzardando che la pista circolare possa essere l’intero pianeta terra, dovremmo ammettere ipoteticamente che esiste un momento nella vita di ognuno in cui ci ritroviamo soli: o nell’atto di ricominciare o in quello di arrenderci. È sulla prima opzione che girano tutte le canzoni».
E infatti nelle 8 tracce del disco, non è il senso di tristezza a prevalere, piuttosto emerge l’immensa energia vitale – irrazionale – che spinge ognuno a vivere, sia nello slancio iniziale che nell’attimo dopo aver tagliato un traguardo.
Per chi è interessato alla “bibliografia” del disco, i lettori troveranno pane per i loro denti: da “Il Mito Di Sisifo” di Camus, al “La Solitudine Del Maratoneta” di Sillitoe, fino a “La Notte Prima Della Foresta” di Koltès, “Cent’anni Di Solitudine” di Marquez, l’universo letterario spazia al pari dei generi musicali.
La periferia del titolo (che è anche un pezzo spoken word/psichedelico omonimo) non è altro che lo scenario etereo e distopico comune a tutto il mondo grazie al quale i fatti narrati al suo interno assumono una valenza universale: il non-luogo che rappresenta ogni luogo.
Un mood che musicalmente si traduce con un suono scuro e pieno, e un ritmo ossessivo fino a risultare tribale, che influenza ed è plasmato a sua volta dalle parole che diventano un secondo strumento ritmico. E se un messaggio c’è, nella desolazione di questa periferia, dove ognuno lotta contro/per qualcosa, è che in questo palcoscenico aperto, in questa lotta giornaliera, in questa altisonante povertà siamo tutti uguali: ognuno, a diverse velocità, corridore solitario verso il proprio destino.
 
Land of no return / They call him poet / Suicide Song / Landslide / Our world / Hinterland blues / Freight train blues / Bloodhound

Credits Hinterland Blues – Caboose

Louis DeCicco – chitarra, voce, testi
Carlo Corso – batteria, bodhran, percussioni
Bruno Belardi – double bass su “Hinterland Blues”, Land of no return,, they call him poet
Emanuele Carulli – electric bass su Our World
Giovanna Salvo Rossi – backing vocals su “Landslide” e “Our World”

Formazione Live

Louis De Cicco, Carlo Corso

Social e Contatti

 
Intervista
 
Davide
Ciao, due parole su quando e come si è formata la band? E – leggendo i vostri nomi tutti italiani – quale la vostra liaison con Berlino?
 
Caboose
La band si è formata quando Louis, il chitarrista e cantante, si è trovato a dover fare alcune date in Italia da solo e ha chiesto ad alcuni amici di accompagnarlo. C’erano Marco Coviello alla batteria e Biagio Daniele all’armonica. Nel giro di un anno poi il progetto si è evoluto tantissimo, la formazione è cambiata molto ma Berlino resta la madre putativa di un progetto “bastardo”. Un posto che ti permette e ti obbliga a fare delle scelte ogni giorno, delle domande.
 
Davide
“Caboose” come la cupola, il ponte di osservazione sopraelevato di certi vagoni ferroviari. Perché questo nome? Forse perché rimanda ai “freight trains” (i treni merci) dei vecchi hobo americani cantati e decantati da Elizabeth Cotten a Bob Dylan a tanti altri?
 
Caboose
Certo, anche. Il treno ci affascina. E poi perchè i primi pezzi sono nati suonando nell’U-Bahn, la metropolitana. All’inizio il nome era Blues von gleisen (blues dai binari). Qualche volta ho suonato anche nei treni.
 
Davide
“Hinterland blues”… Circostante o retroterra a cosa, a quale centro principale?
 
Caboose
Circostante l’essere umano che lo abita, che è un altro universo a sè. “Hinter” è una parola tedesca, e significa “dietro”, qui inteso come tutto ciò che c’è dietro a questo essere umano.
 
Davide
Come nascono queste otto canzoni, intorno a quale blues ideale ma anche intorno a quali ideali blues?
 
Caboose
Più che ideali blues ci sono esigenze artistiche e poetiche. L’esigenza artistica era quella di trovare uno stile grezzo ma anche duttile, che ci permettesse di essere comunicativi con il pubblico. L’hill country blues si avvicina molto a questa definizione: è il blues libero e istintivo suonato ancora con una forte matrice africana, prima che fosse imprigionato nel twelve-bar-blues. Che siano dodici o cento, preferiamo uno stile libero, di pancia, che non sia behind bars. L’esigenza dal vivo, parallelamente, è quella di eliminare barriere col pubblico, trovarsi assieme in un unico viaggio: la cosa più bella che ci identifica, forse.
 
Davide
Louis, qual è la tua formazione chitarristica?
 
Caboose (Louis DeCicco)
Sono autodidatta e la prima esperienza è stata con mio zio, Leo Giannola, anch’egli chitarrista. Un grande chitarrista blues appunto, ma molto aperto. Con lui suonavamo praticamente di tutto, ma sempre con un approccio molto onesto, passionale.
Per un periodo ho cercato di ordinare quest’amore in uno schema tradizionale; mi ci sono trovato male. La chitarra per me resta uno strumento caotico e imprevedibile: piuttosto che esaminarne il caos, voglio perdermici dentro.
 
Davide
Ho letto che nella “bibliografia” del disco sono presenti almeno tre scrittori europei e uno colombiano… Intanto perché e cosa dei quattro libri e autori citati di Camus, Sillitoe, Koltès, Marquez… Se il cuore musicale sta negli States, meglio se intorno al Delta del Mississippi, quello delle parole, dei testi, dei riferimenti letterari sta più a suo agio nel cuore invece dell’Europa?
 
Caboose
Il cuore è negli States, la mente in Europa; è così. Anche solo musicalmente, ci piace l’idea di creare un luogo musicale dove la visceralità del sud, dialoghi perfettamente con la libertà nordica. Tutti gli autori citati in qualche modo parlano del disagio nell’essere sempre un po’ dell’uno e un po’ dell’altro, senza mai riuscire a trovare un compromesso, un equilibrio. Forse essere straniero significa questo, usare la passione laddove invece servirebbe testa, e viceversa. Noi invece vogliamo sentirci a casa ovunque andiamo, trovare un nostro equilibrio, credere nell’open tuning universale.
 
Davide
Cos’è il bianco, cos’è il nero e cosa sono le sfumature di grigio che avete scelto per le fotografie di copertina?
 
Caboose
Devi chiederlo a Pierluigi Muscolino, è lui il fotografo che ha lavorato con noi.
 
Davide
Aveva scritto Alan Lomax che il blues è da sempre un modo di essere, prima ancora che un tipo di musica. Per voi è così? E quale modo di essere?
 
Caboose
Il blues era essenzialmente un divertimento proletario, un modo per stare insieme. Un momento sociale simile si aveva forse solo in chiesa, luogo dove non a caso molti dei reverendi erano grandi musicisti. La sera invece, when the sun goes down, entrava in scena un’altra chiesa: non quella della privazione, ma del vizio: dove i poveri si ritrovano assieme e invece di pregare giocano d’azzardo, bevono, ballano. Una messa officiata dal diavolo, che infatti è una delle figure ricorrenti. Il blues inteso così è tentazione, sensualità, ritmo, lavoro. La natura è la cosa che si avvicina di più al blues.
 
Davide
Secondo Paolo Fresu la musica è da sempre uno straordinario strumento di comunicazione e di scambio. Questo linguaggio creativo può contribuire a rendere il mondo migliore toccando le corde emotive dell’uomo e suggerendo una riflessione intorno a molti dei temi che ci sono cari. La musica può cambiare il senso delle cose? A cosa mirate da questo punto di vista, a cominciare dall’Italia?
 
Caboose
Anche la televisione è uno straordinario strumento di comunicazione, come facebook, youtube. Ma se non sei educato ad usarli, se nessuno ti guida, ti si rivoltano contro e invece di emanciparti, ti spengono il cervello. Informarsi è alla base, studiare è la base. Altrimenti per quanti boomerang di musica lanceremo, ci torneranno indietro sempre X Factor e Italia’s got talent.
 
Davide
State preparando qualche video, un tour…? Cosa seguirà?
 
Caboose
Abbiamo appena finito il tour invernale, iniziato a Gennaio in U.S.A. Due mesi di strada e letti di fortuna. Ora ricarichiamo le batterie e poi torniamo in primavera. Ci sono altri progetti paralleli, con il teatro ad esempio, quindi ora avremo tempo di concentrarci su quelli.
 
Davide
Grazie e à suivre…

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