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“Contratto” di convivenza

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Il matrimonio è una esagerazione.
E’ come una persona che ha fame
e si compera un ristorante.
Vittorio Sgarbi
 
Il contratto “è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”, come lo definisce il celebre articolo 1321 del Codice Civile italiano[1]. Il legislatore scelse di dare una definizione di contratto (ciò che non fece con altre figure affini, come, ad esempio, il negozio giuridico[2]) in quanto esso rappresentava, e ancor oggi rappresenta, figura essenziale del codice e del nostro sistema giuridico.
Ed è ancora in base a questo schema generalissimo che la legge 20/05/2016, n.76 (nota come “legge Cirinnà”[3]), ha, tra l’altro, “istituzionalizzato” lo strumento del contratto al fine di fissare i rapporti patrimoniali tra le coppie di conviventi, sia eterosessuali che omosessuali[4].
Più in generale, infatti, dopo decenni di attesa e un lungo dibattito, politico e mediatico, anche nel nostro ordinamento si è giunti ad approvare una disciplina organica di due istituti:
1.            l’unione civile tra persone dello stesso sesso[5];
2.            la convivenza di fatto, sia tra un uomo ed una donna che tra due persone omosessuali.
La legge è composta di un unico articolo, a sua volta “suddiviso” in 68 commi: dal comma 2 al comma 35 ci si occupa dell’istituto dell’unione civile, mentre dal comma 36 al 68 è prevista la disciplina della “convivenza”[6]. Il primo comma istituisce l’unione civile iscrivendola quale “specifica formazione sociale” nell’articolo 2 e 3 della Costituzione[7], mentre viene, in questo incipit della legge, solo affermata la disciplina delle “convivenze di fatto”. Nel focalizzarci su queste ultime è possibile affermare che anch’esse sono state più volte riconosciute come “formazione sociale” nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, della Corte di Cassazione e la rilevanza sociale del fenomeno ha spinto il legislatore, sia pur sporadicamente e in modo non organico, a disciplinare in modo specifico alcuni aspetti della vita dei “conviventi”[8]. Si pensi, solo per citare alcuni esempi, all’art. 30 L. 354/1975[9], che permette la visita in carcere al convivente in pericolo di vita, all’art. 337-sexies codice civile, in base al quale il godimento casa familiare viene meno se l’affidatario del figlio conviva more uxorio con altra persona, o ancora all’art. 408 c.c. che ricomprende la persona stabilmente convivente tra i soggetti che il Giudice deve preferire nella nomina dell’amministratore di sostegno[10].
I connotati minimi per definire un rapporto “convivenza”, previsti dal comma 36 della legge 76/2016, sono l’unione “stabile tra due persone maggiorenni” (dello stesso sesso o di sesso diverso ovviamente), basata su “legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”. Dunque, la convivenza fra soggetti di cui anche uno solo sia minorenne non sarà rilevante per la l.76/16, così come non si avrà convivenza nel caso di due persone che condividono la stessa abitazione al solo fine di ripartirne i costi di locazione e gestione, essendo necessaria l’esistenza di legami affettivi di coppia tra i due[11].
La convivenza si connota, quindi, come una situazione “di fatto” che sussiste al solo verificarsi dei presupposti indicati dalla norma, senza alcun bisogno, apparentemente, di una sua formalizzazione. Tuttavia, sul presupposto che la l.76/16 prevede il riconoscimento di una serie di diritti a vantaggio di ciascun convivente, sia nei confronti dei terzi che nei confronti dell’altro convivente, la rilevanza giuridica del fenomeno impone,necessariamente, un suo accertamento: così il successivo comma 37 richiama il concetto di “famiglia anagrafica” di cui all’art. 4 del d.p.r. 223/1989, con la richiesta che la “coabitazione/convivenza” risulti da un certificato di stato di famiglia[12]. Va, comunque, ribadito, che l’iscrizione anagrafica non ha efficacia “costitutiva” del rapporto di convivenza, che è e rimane un rapporto di fatto, avendo tutt’al più essa una valenza accertativa del rapporto in essere[13].
La “nuova” disciplina della convivenza, come già anticipato, conferma in larga parte diritti già riconosciuti da precedenti disposizioni normative (tuttora vigenti), e/o da decisioni giurisprudenziali, ai conviventi di fatto. I “rapporti personali”, invece, non sono oggetto né di diritti né di doveri reciproci tra i conviventi, a differenza di ciò che prevede il codice civile per i coniugi nel matrimonio: in altri termini non sussiste nella convivenza “l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”, doveri (al contempo diritti dell’altro coniuge), previsti dall’art.143 c.c[14]. Vengono affermati sistematicamente altri diritti e poteri sinora prerogativa dei soli coniugi, inerenti alla “tutela” della persona dell’altro convivente: il diritto di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari in caso di malattia o di ricovero (comma 39); il potere di conferire, in forma scritta e autografa (oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone), un mandato con il quale designare l’altro convivente quale rappresentante con poteri pieni o limitati (comma 40 e 41):
a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute (c.d. testamento di vita);
b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie (c.d. mandato post mortem exequendum);
Sono previsti (commi 42, 43, 44), anche diritti sulla casa di abitazione in caso di morte del convivente proprietario della stessa, o di morte del conduttore (convivente) o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza[15]. Nella stessa ratio si pone anche il diritto di preferenza nell’assegnazione di alloggi di edilizia popolare[16]; il comma 46 riconosce, invece, il diritto a partecipare ad un’impresa familiare[17], così come il comma 49 riconosce ildiritto al risarcimento del danno in caso di morte derivante da fatto illecito[18].
Il comma 65, art.1 l.76/16, stabilisce un rilevante obbligo “patrimoniale” in caso di cessazione della convivenza: il diritto agli alimenti. L’ex-convivente, che versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, può chiedere al Giudice di imporre all’altro convivente di versargli gli alimenti, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza stessa. D’altra parte la convivenza rimane ancora irrilevante dal punto di vista successorio (a differenza di quanto previsto in tema di unioni civili). Pertanto nessun diritto spetta ex lege al convivente in caso di morte del compagno, né la legge in esame ha pensato di agevolare, sotto il profilo fiscale ad esempio, eventuali donazioni o lasciti testamentari tra i conviventi[19].
Per ritornare al tema iniziale del contratto la nuova normativa consente ai conviventi di fatto di disciplinare “programmaticamente” i loro rapporti patrimoniali mediante la sottoscrizione di uno specifico “contratto di convivenza”, ora “codificato” dalla legge 76/16 (art.1, comma 50), ma già elaborato e suggerito da tempo dal notariato. Il comma 51 prescrive che il contratto tra i conviventi sia redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative[20] e all’ordine pubblico[21]. Il comma 52 dispone che per garantirne l’opponibilità a terzi il professionista che autentica o riceve il contratto deve provvedere, entro dieci giorni, a trasmettere copia al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe (la norma sembra, dunque, presupporre la “registrazione” anagrafica della convivenza ai sensi del comma 37).
Il comma 53 stabilisce che il contratto “deve” contenere “l’indicazione dell’indirizzo” fornito da ciascun convivente, al quale effettuare le comunicazioni (in forma ufficiale), inerenti al contratto medesimo: un aspetto di rigida formalità burocratica che intende superare l’eventuale “incomunicabilità” concreta dei conviventi? Mentre, continua il testo, può contenere:
a)           l’indicazione della residenza comune;
b)           le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
c)            la scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni[22].
La disciplina del “contratto di convivenza” non è del tutto convincente e non mancano i dubbi interpretativi: il contratto ex comma 50 può essere stipulato solo da conviventi”registrati” o anche da conviventi “non registrati”? Il contratto può contenere solo le pattuizioni indicate dal comma 53, o l’elencazione è puramente indicativa e non tassativa[23]? E’ permesso ai conviventi disciplinare anche la cessazione del loro rapporto o tale pratica deve ritenersi vietata dalla disposizione del comma 56 che prevede “Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti[24].
Dalla soluzione data dall’applicazione pratica e dall’interpretazione dei Tribunali dipenderà il successo e la diffusione di questo istituto negoziale, che ha voluto sempre più avvicinare al matrimonio una situazione di fatto instaurata fra persone, per sua natura non troppo “rigidamente inquadrabile”…
 
Gli uomini prima del matrimonio
sono incompleti,
dopo sono semplicemente finiti.
Tza Tza Gabor

[1] Codice civile, LIBRO QUARTO – Delle obbligazioni – Titolo II – Dei contratti in generale – Capo I – Disposizioni preliminari 

[2] Manifestazione di volontà, rivolta a uno scopo pratico, che consiste nella costituzione, modificazione o estinzione di una situazione meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Si tratta di una figura elaborata dalla dottrina e non presente nel codice civile, che parla invece delle specifiche forme negoziali quali i contratti, gli atti unilaterali, etc. 

[3]Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, pubblicata nella Gazz. Uff. 21 maggio 2016, n. 118, in vigore dal 5 giugno 2016, presentato dalla Sen. Monica Cirinnà (PD) e altri, il 6 ottobre 2015. 

[4] Quello della “patrimonialità” è il requisito che distingue l’obbligazione in senso tecnico da obblighi di altra natura (es. morali, affettivi, etici etc.). Significa che la prestazione deve poter essere valutata economicamente, ossia deve essere tale da potersene determinare il valore in denaro. Diversamente mancherebbe la possibilità, in caso di inadempimento, di stabilire la somma per la quale il “creditore” può rivalersi sui beni del “debitore”. 

[5]Cfr.“Matrimonio e Omosessualità” di Alberto Monari, in Kultunderground n.227-GIUGNO 2014, rubrica Diritto. Art.1 comma I, L.76/2016 

[6] Tale particolare struttura della legge è dovuta al modo in cui è avvenuta la sua approvazione, successiva a voto di fiducia di entrambi i rami del Parlamento. Le difficoltà politiche della eterogenea maggioranza parlamentare della XVII legislatura (2013-2018), nell’adottare un testo di legge condiviso, hanno spinto il Governo allora in carica a proporre al voto una norma contenuta in un unico articolo (c.d.”maxiemendamento”), approvato solo con due voti di fiducia consecutivi da parte del Senato e definitivamente, poi, dalla Camera dei Deputati l’11 maggio 2016, ai sensi dell’art.72 della Costituzione (I comma “Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale”).
 
[7] Costituzione, PRINCIPÎ FONDAMENTALI, Art.2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Art.3, II comma: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. 

[8] Per maggiori approfondimenti “La convivenza di fatto ed il contratto di convivenza” di Giovanni Rizzi, in Notariato 1/2017. Cfr. “I rapporti patrimoniali tra conviventi: il contratto di convivenza” Redazione Altalex 23/5/2016, www.altalex.com  

[9] L. 26-7-1975 n. 354 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà” in Gazz. Uff. 9 agosto 1975, n. 212, Serie Ordinaria. Cfr.“41-bis OP: carcere duro” di Alberto Monari, in Kultunderground n.181-AGOSTO 2010, rubrica Diritto. 

[10] Cfr. “L’Amministrazione di sostegno” di Alberto Monari, in Kultunderground n.199-FEBBRAIO 2012, rubrica Diritto. 

[11] Nella stessa logica si pone l’esclusione dallo status di convivenza di persone che, pur coabitando, siano legate “fra loro” da legami di parentela, affinità (rapporto che lega chi è stato coniuge con i parenti dell’altro coniuge) o adozione, o ancora legate da matrimonio o unione civile con altra persona.

[12] Comma 37: “Ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del regolamento di cui al DPR. 30 maggio 1989, n. 223

D.P.R. 30-5-1989 n. 223 Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente. In Gazz. Uff. 8 giugno 1989, n. 132.

Art.4. Famiglia anagrafica.
“1. Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune…”
Art.13. Dichiarazioni anagrafiche.
“1. Le dichiarazioni anagrafiche da rendersi dai responsabili di cui all’art. 6 del presente regolamento concernono i seguenti fatti:
…b) costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della famiglia o della convivenza…” 

[13] Non esistono, cioè, due diversi tipi di “convivenza”: quella dei conviventi “registrati” all’anagrafe, e quella dei conviventi “non registrati”, soggetti, questi ultimi, il cui rapporto ha tutte le caratteristiche previste dal comma 36, ma che non hanno potuto ottenere la suddetta iscrizione anagrafica in quanto non coabitanti in modo stabile o con indirizzi anagrafici in luoghi diversi per qualunque motivo. La “coabitazione” non è prevista tra i presupposti della convivenza, e rimarrà per questi soggetti, ovviamente, il problema della dimostrazione con altri mezzi dell’esistenza del loro rapporto. 

[14] Fedeltà: secondo la giurisprudenza, la fedeltà è da intendere non solo come astensione da relazioni extraconiugali, ma quale impegno di non tradire la reciproca fiducia ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi, che dura quanto dura il matrimonio. Assistenza morale e materiale: consiste da un lato, nell’obbligo materiale di soddisfare le reciproche esigenze economiche; dall’altro, in quell’impegno di natura morale-spirituale alla comprensione e al rispetto reciproco. Collaborazione nell’interesse della famiglia: consiste nell’obbligo di agire sempre nell’ottica di mantenere l’unità e la continuità della famiglia. Coabitazione: condivisione della stessa casa tra i coniugi. E’ uno dei doveri che nasce con il matrimonio, ma per entrambi resta possibile fissare anche residenze o domicili in luoghi diversi. 

[15] In caso di morte del convivente proprietario, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni(che diventano tre anni ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite) o per un periodo pari alla durata della convivenza, se superiore, e comunque non oltre i cinque anni. Il diritto in ogni caso viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza ovvero contragga matrimonio, unione civile o intraprenda una nuova convivenza di fatto. In caso di recesso dal contratto di locazione, il convivente ha facoltà di succedergli nel contratto. 

[16] Ai sensi del comma 45, nel caso in cui l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto. 

[17] Si estende al convivente di fatto la disciplina propria dell’impresa familiare, e inserisce nel codice civile un nuovo articolo 230-ter in base al quale riconoscere al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente (e tale collaborazione non derivi da un rapporto di lavoro subordinato o di società) una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. 

[18] La legge 76/16 equipara la convivenza di fatto al rapporto coniugale ai fini del risarcimento del danno in caso di decesso del compagno. 

[19] Nel nostro ordinamento vige il divieto dei patti successori: ogni persona può disporre dei propri beni solo con il testamento. Art.458 Codice civile – LIBRO SECONDO – Delle successioni – Titolo I – Disposizioni generali sulle successioni – Capo I – Dell’apertura della successione, della delazione e dell’acquisto dell’eredità 

[20] L’ordinamento utilizza questo termine per indicare le norme che, per la loro importanza, non possono essere derogate dalle parti. Di regola, infatti, i contraenti possono escludere l’applicazione di norme generali al loro specifico rapporto: non possono, però, farlo se tali norme (es. tutte le norme penali) sono state previste come inderogabili (cogenti) dal legislatore. La contrarietà a norme imperative determina l’illiceità di un negozio giuridico. 

[21] Quello “di ordine pubblico” è un concetto complesso, che ha una varietà di contenuti in rapporto alle diverse branche del diritto. In generale, si può definire come l’insieme dei principi dell’ordinamento giuridico, che costituiscono il fondamento etico dello stesso. I valori giuridici che compongono il concetto di ordine pubblico servono, tra l’altro, ad “arginare” l’ingresso nel nostro ordinamento nazionale di principi stranieri (es. la bigamia o altri trattamenti discriminatori riservati alle donne), incompatibili con i principi fondamentali di livello costituzionale. 

[22] Infatti, in caso di mancata espressione di volontà nella scelta della comunione dei beni, i patrimoni dei due conviventi rimangono separati. Il contratto non tollera l’apposizione di termini o condizioni (che, ove previsti, si hanno per non apposti, comma 56) e può essere modificato, anche relativamente al regime patrimoniale prescelto, in qualunque momento con le medesime forme richieste per la sua sottoscrizione (comma 54).

[23] Si deve cioè riconoscere ampio spazio all’autonomia privata, con possibilità per i conviventi di inserire altri contenuti per meglio regolare il proprio rapporto (es. accordi relativi alla suddivisione delle spese per il mantenimento dei figli), purché meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art.1322 c.c.)? 

[24] La prassi, favorita dal Nortariato, dei contratti già conclusi prima dell’emanazione della legge da soggetti conviventi e particolarmente previdenti, è arrivata a prevedere l’attribuzione al convivente, non titolare dell’immobile, di una quota di comproprietà ovvero un diritto reale di godimento (es. diritto di abitazione). 

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