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Far East Film Festival 2006

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Il Far East Film Festival di Udine è sicuramente uno dei festival più in crescita degli ultimi anni, e questo sviluppo in tempi relativamente brevi, lo ha portato ad essere il punto di riferimento per tutti gli appassionati di cinematografia orientale, diventando in questo senso forse il più importante in Europa. Prima volta per me (ma non per Kult) a questo evento, giunto quest’anno alla sua ottava edizione. Il programma ha previsto 72 pellicole tra anteprime europee ed internazionali, tra le quali una cinquantina in competizione, cinematografie provenienti dalla Cina, Hong Kong, Corea del Sud, Giappone, Thailandia, Filippine, Singapore e Taiwan. Numerosi gli eventi collaterali: la retrospettiva “Asia canta”, un panorama sul musical asiatico degli anni 60′, i tributi a Meike Mitsuru ed i suoi Pink Movie (genere a basso costo, e quasi sempre a carattere erotico), a Jissoji Akio e Inoue Umetsugu, l’Horror Day e le notti del Far East Film Festival, con concerti, feste e musica. Un festival molto vivo che ha visto una numerosa partecipazione, anche e soprattutto di giovani, entusiasti della cinematografie orientali. È stata questa una delle cose che più mi ha colpito, trovare molti esperti appassionati di un genere che non passa comunemente nelle nostre sale (a parte alcune eccezioni di autori maggiori), grandi conoscitori di pellicole e di registi “minori” per i circuiti occidentali, segno evidente che internet contribuisce in maniera determinante alla diffusione di questo cinema ed in generale di tutto quello che il nostro mercato non considera interessante da distribuire. Cinematografia orientale quindi in grande ascesa, rispetto a cinematografie più tradizionali, che va di pari passo al boom del cinema di animazione (soprattutto giapponese) anche in ambito internazionale, così come avevo potuto constatare al Future Film Festival di Bologna. Se mi si consente un azzardato paragone con il Torino Film Festival, che per sua natura e titolo è un po’ il festival che rappresenta il cinema giovane, ho trovato più “giovanili” e freschi, negli ultimi anni, i festival di Udine e di Bologna, grazie appunto alla curiosità per le cinematografie orientali in tutti suoi aspetti (film tradizionali ed animazione), dettato forse anche dall’interesse per aspetti culturali sostanzialmente diversi da quelli occidentali, molto seguito soprattutto fuori dai canali ufficiali, direi underground, rispetto a cinematografie più consolidate come quelle europee ed americane. Non a caso molti titoli di genere, come quelli horror, vengono ripresi dal cinema americano, ed è indubbio in Italia il successo al botteghino delle commedie anche demenziali di Hong Kong (Kung Fusion, Shaolin Soccer, ecc..). Questa tendenza va di pari passo alla maggiore attenzione che Venezia ha dato negli ultimi due anni al cinema orientale, grazie anche e soprattutto al direttore Marco Muller, molto legato al Far East Film Festival, di cui è stato presenza costante in questa edizione.

Fra i film da me visionati ho apprezzato molto la pellicola giapponese “Always – Sunset On Third Street” di Yamazaki Takashi, che ha ottenuto il secondo posto fra quelli premiati ad Udine, film che ha avuto molto successo in patria con 12 Academy Awards giapponesi. La storia è basata su un manga di Saigan Ryohei, in cui colpisce l’incredibile e fedele ricostruzione del centro di Tokyo nel 1958, all’inizio della costruzione della Tokyo Tower, epoca in cui si assisteva agli inizi del boom economico, dove facevano comparsa i primi elettrodomestici e la televisione richiamava tutti gli abitanti del quartiere. Film poetico, che utilizza la tecnologia e la computer graphics non per mostrarci scene spettacolari di animazione, ma per ricostruire un mondo non più esistente, una città ed un quartiere che hanno lasciato il posto alla Tokyo moderna. Un film sul passato, sui ricordi e sulla solidarietà, tema particolare per una pellicola giapponese, la cui cinematografia è più proiettata su un cinema di azione, sia essa legata a storie della quotidianità o della tradizione dei samurai, tema appunto di un’altra pellicola da me visionata, “Shinobi” del regista Shimoyama Ten, in cui invece i combattimenti, le arti marziali e la spettacolarità hanno una parte fondamentale, con risultati però più scontati e meno originali.

Altro film giapponese molto apprezzato, anch’esso risultato fra i migliori della rassegna, e che riprende una società giapponese anch’essa scomparsa, è stato “When The Show Tent Came To My Town”, di Fukagawa Yoshihiro, dove è rappresentato un modello di infanzia (bambini che giocano fuori per ore, senza supervisione degli adulti), oggi in via di estinzione, che ha lasciato il posto all’autismo sociale provocato dal computer, dalla televisione, e dalla sala giochi. Ne risulta anch’esso estremamente poetico, in cui i protagonisti bambini (molto bravi nei loro personaggi) ci consegnano una fiaba sull’amicizia ai confini del fantastico. Fra i film da segnalare anche la divertente commedia coreana “See You After School” del regista Lee Seok-Hoon, storia del perdente cronico Namgung Dal, uno sfortunato studente che dopo un’esilarante serie di situazioni ed equivoci, sarà in grado di riscattare la propria condizione e quella dei suoi infelici e vessati compagni, una sorta di rivincita dei nerds coreano. Fra l’ultimo film da segnalare, quello che più ho personalmente apprezzato, “You and Me”, della regista cinese Ma Liwen. Piccolo film poetico, anch’esso, che vede protagoniste due donne di due generazioni differenti, una giovane studentessa in cerca di una sistemazione economica a Pechino e la proprietaria ultranovantenne di una casa con cortile di stile tradizionale, che le affitta una stanza. La storia si sviluppa seguendo le stagioni, con l’arrivo della giovane in pieno inverno. Le due protagoniste, inizialmente sembrano caratterialmente incompatibili, ma quando il tempo vira al disgelo e si avvicina la primavera, lo stesso avviene all’interno del loro rapporto. Il loro legame si consolida fra situazioni delicatamente umoristiche, segretamente intime e violentemente emotive, consegnandoci due interpretazioni magistrali nell’espressività dei volti.

Purtroppo, in questi giudizi, mancano all’appello pellicole che hanno ottenuto buoni riconoscimenti dal pubblico e che non ho potuto visionare impossibilitato ad assistere interamente a questo Festival.

La parte del leone l’hanno fatta le cinematografie coreana e giapponese che hanno avuto i maggiori riconoscimenti, ma anche la cinematografia cinese, a dispetto della minore quantità, in proporzione, di film proposti a questo festival (tendenza curiosamente inversa rispetto all’ultimo Festival di Venezia che invece ha ospitato molte pellicole cinesi, anche mega produzioni), ha proposto pellicole di buona qualità. Sostanzialmente deludente, nonostante la grande quantità di pellicole, il cinema di Hong Kong, che ha presentato molti temi, dalla commedia, al sentimentale, all’horror, ma che è sembrata la più in confusione e meno matura in mostra. Il cinema giapponese e coreano rimangono una conferma, anche se fra le due cinematografie permangono alcune differenze fondamentali. Escludendo gli autori ed i film che propongono un cinema più impegnato, più “da festival”, ed analizzando il cinema più popolare, i cosiddetti “blockbuster”, quelli che hanno un buon riscontro anche ai botteghini nei loro rispettivi paesi, la cinematografia coreana appare più proiettata verso un mercato occidentale, i temi sono a noi più vicini ed anche le costruzioni cinematografiche si ispirano a cinematografie classiche europee ed americane. La cinematografia giapponese appare invece protesa verso un mercato interno, nazionale. La maggior parte dei temi trattati prendono spunto dalla tradizione, dai manga, e dalle serie di animazione, rivolte quindi maggiormente ad un pubblico che già conosce tali argomenti e che ha già i propri idoli ed i propri punti di riferimento, un po’ comunque come avviene per tutto il resto della società giapponese.

Per concludere questa esperienza oriental-friulana, una considerazione generale sull’organizzazione è doverosa. Buona l’ospitalità e l’accoglienza con numerosi punti informativi dislocati in numerose zone della città, strutturalmente bello e funzionale il Teatro Nuovo di Udine, la sala che ha ospitato il Festival, buona l’organizzazione e la gestione delle proiezioni, ed ottima presenza di ospiti al seguito delle pellicole proposte. Un’esperienza molto positiva, sicuramente consigliata a chi si vuole avvicinare ad un festival di qualità e di dimensioni ancora umane.

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