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Favole del morire – Giulio Mozzi

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postfazione di Lorenzo Marchese
Laurana (Milano, 2015), pag. 155
euro 14.00

 

“Ma sono ancora lontanto dall’aver imparato. Ecco da dove mi viene lo stimolo a sondare la realtà invisibile”, scrive Antonio Thellung, in “Sto studiando per imparare a morire” (Altrimedia Edizioni, Matera, 2014); che cito perché a mio modesto avviso va a incontrare il Giulio Mozzi della ‘chiusa’ del suo ultimo “Favole del morire”: “Questa è la speranza: un’immaginazione”. Un testo che ho amato dopo aver ri-amato “La felicità terrena” e “Il male naturale” grazie sempre al prezioso lavoro della Laurana, soprattutto col suo indomabile Gabriele Dadati. Mozzi in questo libro raccoglie un gruppo di testi scritti tra il 2003 e il 2014. Dove, sono sue parole, esplora sempre “ciò su cui medito tutti i giorni: non la morte, ma il morire”, appunto. Con prosa, versi e passaggi teatrali infine. “La morte come metamorfosi, ma anche come durata, il trapasso come stadio intermedio tra due condizioni che a volte si fondono, come ci insegnano angoscianti declini di persone care, lenti di una lentezza che esaspera lo strazio della contemplazione impotente su alterazioni che sfigurano caratteri prima ancora che fattezze. La materia uncina poi ogni coscienza appena un po’ avvertita del proprio attraversare un tempo ed uno spazio limitati da una fine, di tutto o di questo tempo e di questo spazio. Per assioma, non ha limiti, e Mozzi la percorre cogliendo frammenti che possano tornare utili non come elementi di comprensione (siamo al cospetto dell’inconoscibile), né tantomeno di consolazione, ma come ausili alla consapevolezza”, scrive bene in un’attenta lettura Luigi Preziosi. Le pagine partono con la ‘rivisitazione’ de “La stanza degli animali”, dove un figlio ricorda la collezione di animali che il padre biologo conservava in barattoli pieni di formalina, provenienti da spedizioni scientifiche in svariate parti del mondo, dall’Italia alla Somalia; insieme alle biciclette di casa: un giorno con un cavo da freno di bicicletta, il padre, in un accesso di follia, strangolò la madre. Siamo tutti al limite del morire. Persone e animali marini. Ma più avanti si trovano versi ripresi da “Dieci motivi per essere cattolici” (ancora Laurana, 2011), scritto a quattro mani con il compianto amico dell’autore, Valter Binaghi. Io rifiuto a prescindere, categoricamente, il concetto stesso di speranza. Però Mozzi lo riabilità trasformandolo, in mio avviso, in motivo di disvelamento della realtà. Verso la vita d’altri esseri. “Del morire non sappiamo niente. Però ci immaginiamo. Vediamo gli altri morire. Moriremo, questo è certo. Da sempre ci immaginiamo. C’è chi dice che immaginare sia stupido. C’è chi dice: è la fine, stop. Io che cosa dico? Morirò, mi trasformerò”.

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