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Venezia 2014

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71a Mostra Internazionale D’arte Cinematografica.
 
Mattia ha dieci anni. È il figlio di una coppia di miei amici con cui da diversi anni vado in vacanza. Il nostro gruppo vacanze, numeroso e composto da diverse famiglie, si muove sempre la settimana di ferragosto. E tradizionalmente allestisce sempre un piccolo cineforum che allieta le nostre serate. A Mattia piace molto il cinema e vedere i film con noi adulti. E spesso nel nostro piccolo cineforum passano i film della selezione veneziana, ovviamente quelli più adatti a tutti. Perché questo preambolo e perché Mattia? Ripensando ai film che vedo ogni anno a Venezia, mi piace pensare a quelli che Mattia potrebbe gradire, anche in futuro, quando sarà abbastanza adulto da poterli capire tutti. Nella selezione di quest’anno purtroppo non ci sono stati molti film che può e potrà seriamente apprezzare. La media del concorso è stata sufficiente. Non si sono viste pellicole orribili (forse anche il film di Andrew Niccol “Good Kill”, se non avesse sbagliato il finale, si sarebbe potuto salvare), ma non ci sono stati film che abbiano particolarmente colpito. Era difficile onestamente indicare i film che avrebbero potuto meritare un premio, ed è per questo che i premi assegnati comunque possono essere condivisibili, probabilmente più che nell’edizione dello scorso anno. “En Duva Satt På En Gren Och Funderade På Tillvaron (A Pigeon Sat On A Branch Reflecting On Existence)” di Roy Andersson, “Belye Nochi Pochtalona Alekseya Tryapitsyna (The Postman’s White Nights)” di Andrei Konchalovsky e “The Look Of Silence” di Joshua Oppenheimer sono state le pellicole, in sala, generalmente più apprezzate. “A Pigeon Sat On A Branch Reflecting On Existence”, Leone d’Oro, è stato sicuramente il film più originale e divertente visto in concorso e si snoda attraverso trentanove quadri fissi che incorniciano spazi grigi e claustrofobici percorsi da bizzarri personaggi. L’approccio al film è folgorante, se la narrazione si fosse mantenuta ai livelli iniziali, si sarebbe gridato al capolavoro assoluto. Ma inevitabilmente, proprio per com’è stato concepito e strutturato il film, alla lunga si è un po’ indebolito. Ha comunque ancora riservato scene surreali ed esilaranti, regalandoci nel complesso una buona pellicola che ha meritato il premio. Anche il film di Andrei Konchalovsky, pur definito da diversi critici un film “furbo”, ha offerto una buona narrazione e una splendida fotografia di uno splendido paesaggio russo sulle rive di un lago attraverso il quale, un postino di un villaggio si sposta, facendoci scoprire le varie realtà dei personaggi che compongono la comunità locale. La pellicola ha meritato il Leone d’Argento per la miglior regia. Il film indonesiano “The Look Of Silence”, vincitore del Gran Premio della Giuria, è un film che ha oggettivamente colpito, riportando l’attenzione su uno di quei tanti episodi della storia, anche recente, che vengono sistematicamente dimenticati o ignorati dall’occidente. Il film è un documentario, una dura e drammatica testimonianza del genocidio perpetrato nel 1965 dal governo militare indonesiano, sostenuto dagli Stati Uniti, nei confronti dei membri del partito comunista, per lo più poveri contadini che rivendicavano più giustizia sociale. Tale processo ha causato più di un milione di morti e ha mantenuto al potere gli assassini dell’epoca fino agli inizi degli anni 2000. Il documentario segue il fratello di uno delle vittime del genocidio, che ricostruisce, attraverso le agghiaccianti testimonianze dei carnefici dell’epoca, i fatti accaduti. È un drammatico documento che rivela, oltre alle atrocità commesse, una lucida consapevolezza da parte degli assassini di un comportamento “necessario” che non tradisce nessuna traccia di pentimento, e un’impunità destinata a rimanere tale. Questa pellicola fa seguito all’altro documentario girato dallo stesso regista statunitense nel 2012 “The Act of Killing”, che esplora il medesimo argomento. Diventa quindi inevitabile rapportare entrambe le pellicole per giudicarle più obbiettivamente, per capire se effettivamente “The Look Of Silence” offra ulteriori spunti rispetto al lavoro precedente. Per chi come me ha visionato solamente quest’ultimo proposto in concorso, non può che esserne rimasto colpito. Tornando al concorso, anche i premi per i migliori attori sono stati sostanzialmente condivisibili. Assolutamente meritato il premio “Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergente” a Romain Paul per il film “Le Dernier Coup De Marteau” e la “Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile” ad Adam Driver per il film “Hungry Hearts”. Più discutibile quello ad Alba Rohrwacher, “Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile” sempre nel film “Hungry Hearts”, anche se oggettivamente, nel concorso di quest’anno, c’erano pochissime pellicole che vedevano ruoli femminili da protagoniste. Forse però la protagonista del film “Chuangru Zhe (Red Amnesia)” avrebbe meritato maggiormente. Se nella gestione Marco Müller spesso i film italiani in concorso erano impresentabili, nella gestione Alberto Barbera proprio i film italiani in concorso sono fra quelli più convincenti, rispetto anche alle altre sezioni del Festival (Orizzonti, Settimana della Critica, Giornate degli Autori). I tre film di quest’anno “Hungry Hearts” di Saverio Costanzo, “Il Giovane Favoloso” di Mario Martone e “Anime Nere” di Francesco Munzi, pur non figurando come capolavori assoluti, hanno offerto comunque spunti interessanti e si sono tranquillamente allineati alla media delle pellicole viste. Non si è assistito, ad esempio, al massacro della pellicola di Renato De Maria “La Vita Oscena” inserito nella sezione Orizzonti, film francamente irritante e difficilmente classificabile, forse il peggiore visto quest’anno. È proprio la Sezione Orizzonti la più discutibile del Festival degli ultimi anni, tradizionalmente quella che contiene lavori più controversi e con più alti e bassi. A fronte di qualche bel film, solitamente fa riscontro un’altrettanta quantità di pellicole piuttosto inutili, cosa che di solito non si riscontra nelle altre due sezioni non ufficiali del Festival, Settimana della Critica e Giornate degli Autori, più equilibrate senza essere necessariamente alla ricerca di lavori stilisticamente ricercati o particolarmente innovativi. Tra l’altro quest’anno Giornate degli Autori ospitava due registi del calibro di Laurent Cantet e Kim Ki-duk. Se Kim Ki-duk con la pellicola “One On One” ci ha offerto il suo solito cinema duro sulla società coreana, non raggiungendo però i livelli di altre sue pellicole, il film di Laurent Cantet “Retour a Ithaque – Ritorno a l’Avana”, è risultata essere una delle cose migliori viste in questo Festival, non a caso vincitore proprio del Premio delle Giornate degli Autori. Il titolo è quasi riassuntivo del senso dell’intera pellicola. A l’Avana un gruppo di amici si ritrova per parlare del loro passato e del loro presente, una sorta di grande freddo in salsa cubana, magnificamente recitato da attori cubani e perfettamente girato da un regista europeo che dimostra di aver capito perfettamente Cuba e la sua storia. Laurent Cantet mi consente di parlare delle cose che più mi hanno colpito in questa edizione del Festival che, tra l’altro, dopo quindici anni di costante presenza (sempre e grazie a Kult), è risultata essere per me la più completa, avendo potuto visionare interamente il Concorso Ufficiale, quasi completamente le sezioni Settimana della Critica e Giornate degli Autori e buona parte della sezione Orizzonti, più diverse cose Fuori Concorso. Oltre a Cantet, mi ha molto colpito la miniserie “Olive Kitteridge” di Lisa Cholodenko proposta Fuori Concorso, quattro episodi della durata di circa un’ora l’uno che andranno in onda su Sky a gennaio. Adattamento dell’omonima novella di Elizabeth Strout, si raccontano gli eventi di una cittadina del Maine attraverso lo sguardo di Olive (Frances McDormand), un’insegnante di matematica particolarmente scorbutica. Ricco cast che oltre a Frances McDormand annovera fra gli altri Richard Jenkins, Bill Murray e Peter Mullan. Per la cronaca, Frances McDormand quest’anno è stata presente al Festival e premiata con il “Persol Tribute To Visionary Talent Award 2014”. Fra i vari e numerosi film da segnalare, il vincitore per il pubblico della sezione Settimana della Critica “Ničije dete – No One’s Child” del regista serbo Vuk Ršumović, bel film che ripercorre i momenti dell’inizio della guerra serbo-bosniaca-croata del 1992, attraverso gli occhi di un bambino cresciuto nella foresta insieme ai lupi. Sempre nella medesima sezione, mi è piaciuto anche il film “Terre Battue”, del regista francese Stéphane Demoustier. Anche accettando che potrebbe essere un giudizio non completamente condivisibile, per me è perfetto perché rispecchia in pieno il mio genere di film: storie della provincia francese (confine belga francese in questo caso), problemi familiari legati alla crisi sociale e del lavoro, finale amaro in cui i personaggi sono sempre in balia degli eventi. Anche qui, come nel film precedente, il protagonista è un giovane ragazzino. Curiosamente, un dato da segnalare, nell’edizione di quest’anno ci sono stati diversi film con giovani protagonisti, tutti molto promettenti. Per finire, quello che io considero da qualche anno un vero genio cinematografico e che avrei premiato tranquillamente anche nel concorso dello scorso anno: Ulrich Seidl, il regista austriaco di “Canicola” e della “trilogia del Paradiso”, quest’anno presentato Fuori Concorso con il documentario “Im Keller (In The Basement)”. “Im Keller”, cioè “in cantina”, è un micidiale documentario sulle cantine e taverne degli austriaci, la realtà sotterranea che le persone comuni nascondono e vivono in una dimensione assolutamente privata. La quotidianità che ne esce fuori è paradossalmente ironica ed estremamente inquietante. Si va dal pensionato neonazista fanatico di Adolf Hitler che si ritrova con gli amici a bere e cantare, all’amante della musica lirica che nello scantinato ha allestito un poligono di tiro in cui ospita gli amici e tiene lezioni sull’arte dello sparare; dalla felice coppia sposata con lei dominatrice ed il marito schiavo sessuale, alla single masochista che ama farsi picchiare e che lavora come operatrice sociale aiutando le donne che subiscono violenze. Il tutto inquadrato con il perfetto e consueto stile del regista. Edizione comunque ricca anche quest’anno che, dopo il restyling della Sala Grande del 2012, continua con l’opera di rinnovamento delle strutture, con i lavori di miglioramento alla Sala Darsena, dopo aver accantonato, per le note vicende, l’idea di un nuovo Palazzo del Cinema. Fino a quando reggerà il Lido, ormai dato da molti agonizzante e lontano dai suoi giorni migliori che ne facevano meta ambita di una certa aristocrazia danarosa. Un bel dì, vedremo…

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