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Intervista con Oteme

14 min read
Osservatorio delle Terre Emerse
Il Giardino Disincantato:
il disco d’esordio
 
OTEME (Osservatorio delle Terre Emerse) nasce nel 2010 a Lucca per opera del compositore e performer Stefano Giannotti. L’obiettivo è la creazione di un ensemble da camera per interpretare composizioni che partano dalla canzone d'autore inglobando molteplici contaminazioni, come la musica classica contemporanea, l'art-rock, la sperimentazione sonora, il teatro musicale. Più che un gruppo, OTEME si configura come un laboratorio aperto con un nucleo fisso di musicisti ed alcuni collaboratori che possono cambiare di volta in volta a seconda dei progetti.
Alcune delle principali influenze includono David Sylvian, Igor Stravinskji, Art Zoyd, Penguin Cafè Orchestra, Fabrizio De André, King Crimson, Lucio Battisti, Frank Zappa, Magma, John Cage e Morton Feldman.
Dal 2011 al 2012 OTEME, in formazione di 9 musicisti, è occupato nella realizzazione del disco d’esordio Il Giardino Disincantato, che esce nell’autunno del 2013 per la casa editrice francese Edd Strapontins, con distribuzione internazionale Ma.Ra.Cash. Sempre nel 2013, OTEME in versione trio ha realizzato il Progetto Lomax in U.S.A. per lo Spazio Performativo ed Espositivo (SPE) della Tenuta dello Scompiglio (Lucca), presentando una serie di arrangiamenti di brani popolari americani fra folk, country e blues rivisitati in chiave contemporanea.
Attualmente OTEME è impegnato nella realizzazione di un’opera radiofonica firmata da Stefano Giannotti dal titolo Bürotifulcrazya, prodotta per la Deutschlandradio Kultur di Berlino.
Il Giardino Disincantato ha impiegato circa 10 anni per venire alla luce, ma alcuni materiali risalgono addirittura a 24 anni prima. Alcune canzoni voce e chitarra si dilatano imprevedibilmente fino ad assumere proporzioni di composizioni classiche contemporanee. Ecco che ad un brano come Dal Recinto (5 voci e chitarra) fa eco lo strumentale Terre Emerse per flauto, corno inglese, clarinetto, tromba, banjo, piano, arpa, metallofono, armonica a bocca; Mattino, per voce e glass harmonica, strumento raro originario del XVIII sec. suonato dallo splendido Thomas Bloch (uno dei più autorevoli strumentisti della musica contemporanea, ospite anche di Radiohead, Tom Waits, Gorillaz, John Cage etc.), si rispecchia nel suo doppio Per mano conduco Matilde, per cinque voci e componium (carillon a scheda perforata).
Il Giardino Disincantato è stato realizzato e prodotto nello studio S.A.M. di Lari (Pisa) capitanato da Mirco Mencacci, fonico italiano di culto, già operante nel cinema.
 
Line-up di OTEME nel Giardino Disincantato:
Stefano Giannotti: voce, chitarra classica, chitarra elettrica, banjo, componium, teponatzli, armonica, metallofono.
Valeria Marzocchi: flauto, ottavino, voce.
Nicola Bimbi: oboe, corno inglese.
Lorenzo Del Pecchia: clarinetto, clarinetto basso.
Maicol Pucci: tromba, flicorno.
Valentina Cinquini: arpa, voce.
Emanuela Lari: piano, tastiere, voce.
Gabriele Michetti: basso, contrabbasso, voce.
Matteo Cammisa: batteria, xilofono, timpani.
 
Ospite :
Thomas Bloch: glass harmonica.
Catherine Costanza: produttore esecutivo.
 
Comunicato stampa di
 
 
Stefano Giannotti (1963) è un compositore, chitarrista, performer e video-maker. Il suo repertorio spazia dalla radio arte al teatro musicale, dalla musica da camera alla canzone d'autore. Il paesaggio, i cicli vitali, le voci della gente, i linguaggi, sono alcuni dei principali temi affrontati nel suo lavoro.
Molte delle sue opere sono state prodotte per e in collaborazione di: RAI Radio 1, RAI Radio 3, Polskie Radio, Magyar Radio, O.R.F., Radio France Culture, Danish Radio, WDR Köln, SFB, Deutschland-Radio Berlin, Saarländicher Rundfunk, Südwestdeutsch Rundfunk, Australian Broadcasting Company, HRT, Sveriges Radio, VPR, etc.
Fra i numerosi riconoscimenti internazionali sono da ricordare: Prix Macrophon'91 (Wroclaw, Poland), Prix Ars Acustica International (WDR Köln 1994/95), DAAD Berliner Künstlerprogramm (1998/99), Karl-Sczuka-Preis 2002 e 2007 (SWR, Baden-Baden), Katherine Knight Award (Earth Vision International Environmental Film Festival – Santa Cruz, California, 2008) e tre Nomination al Prix Italia (2004/2009/2013).
 
 
 
Davide
Ciao Stefano, ciao Oteme. Un disco notevolmente bello e diverso dal solito modo di fare e pensare la musica di questi tempi, nonché di proporla. Anzitutto cosa significa essersi dati, o aver dato da parte tua, il nome di “Osservatorio delle Terre Emerse”?
 
Stefano
Le terre emerse sono le isole che affiorano nel mare, punti di approdo e di salvezza, macchie che si stagliano sul blu del planisfero, e che rappresentano in questo caso zone di creatività sui generis. Su queste isole/pianeti si trovano forme di vita diverse dai pesci e dell'infinità di creature acquatiche. L'osservatorio mantiene un occhio su tutte queste terre e cerca di proteggerne le specie. Insomma, funge da supervisore dei diversi parchi naturali.
 
Davide
Tue le composizioni e i testi. Come nasce una tua composizione e come questa viene arrangiata od orchestrata, quindi proposta al e partecipata dal resto dell’ensemble da camera?
 
Stefano
È un procedimento incredibilmente lungo. A volte un brano può impiegare anche 10 anni. I testi nascono quasi di getto su accordi che vengono fuori spontaneamente mentre suono la chitarra o il piano. Scrivo alcuni versi e provo ad adattarli agli accordi pre-esistenti, o a nuovi pattern musicali. Se funziona, inizio a dare un ritmo ai versi e procedo di pari passo con la musica. In poche settimane il brano è pronto, ma prima di essere davvero pronto va orchestrato con gli strumenti che ho a disposizione in quel periodo; poi siccome mancano sempre i soldi e le occasioni di suonare dal vivo, e quando faccio un concerto difficilmente è di canzoni, metto uno di questi brani in programma o come bis e lo provo in pubblico, generalmente sempre accostato a proposte molto più sperimentali. Di lì a diventare un pezzo pronto ad essere inciso, dunque a trovare la sua forma definitiva, possono passare anni.  L'ensemble a quel punto partecipa suonando parti scritte, visto che molti hanno più esperienza di musica classica che di improvvisazione; con le voci invece lavoro ad orecchio fino a che tutti non si sono abituati a cantare tutte le parti, in modo che se ad un concerto uno non può partecipare, l'altro è pronto conoscendo le varie linee vocali.
 
Davide
Tanti anni di radio arte e di teatro musicale e molta altra esperienza. Alcuni materiali risalgono a 24 anni fa. Come mai soltanto adesso sei arrivato al progetto di farne un disco, perché ci sono voluti dieci o più anni per farlo venire alla luce e per affacciarti a un progetto discografico?
 
Stefano
Di fondo è dovuto ad un problema di soldi. Produrre un CD oggi è costosissimo ed il ritorno non c'è, o è minimo. Dunque prima di pubblicare si deve pensare e studiare la situazione attentamente. In più è proprio una caratteristica mia quella di godermi il processo compositivo fino in fondo e di non sciupare niente di ciò che tiro giù. 11 anni fa vi fu un altro progetto discografico non molto diverso da Oteme, iniziato nel 1990 (cioè 12 anni prima) che abbiamo registrato in studio e mai pubblicato per mancanza di soldi e prospettiva (si tratta de L'AGGUATO, L'ABBANDONO, LA METAMORFOSI con l'Ensemble IL TEATRO DEL FARO). Alcuni di questi brani possono però entrare nel repertorio di OTEME. Ma paradossalmente in questi anni ho avuto più occasione di lavorare in campi come la sound-art, la video-arte, la radio, il teatro sperimentale, dunque per un lavoro come Oteme non c'è stato molto spazio (anche per ragioni di tempo).
 
Davide
Come compendieresti il significato o il messaggio che vorresti arrivasse principalmente all’ascoltatore destinatario de Il giardino disincantato?
 
Stefano
Vorrei che riuscissimo tutti ad osservare il quotidiano come una forma di poesia surreale e a volte un po' stonata. Vorrei che la vita di tutti i giorni potesse essere non solo caos e lacrime, ma anche gesto, segno, parola e suono. Vorrei che la gente cominciasse a concentrarsi di più ed imparasse ad ascoltare. Soprattutto in Italia, stranieri come Tedeschi, Francesi, Inglesi, nordici in genere lo fanno già.
 
Davide
Colpisce la strumentazione, specialmente in un mondo sonoro radiotele-uniformato ai soliti strumenti che sappiamo e in cui tutto suona allo stesso modo.  Ed è bello anche poter scoprire o riscoprire strumenti musicali di tempi e culture lontane. Per esempio il teponatzli, che gli aztechi usavano per accompagnare danze, letture di poesie, o in guerra come mezzo di comunicazione o nel corso di cerimonie per le quali, pare, veniva in esso versato il sangue delle vittime sacrificali. E poi, sicuramente insolito anche il componium… Il suono viene da dentro di noi, non da fuori, disse Uto Ughi. Cosa rappresenta il suono per te e per Oteme?
 
Stefano
Il suono rappresenta il nostro essere qui, come l'immagine, la parola… insomma i sensi ci fanno percepire il mondo e ci permettono di catturare segni. Allora una bambina che ride è bella come un oboe, il profumo della pomarola sul fuoco è invitante come una tromba che ulula, i boschi d'inverno sono il delicato attrito di un archetto sul violoncello. Non esiste il classico ed il profano, tutto è bello, e tutto si può combinare. Ecco allora che un banjo può dialogare con un corno inglese ed un'armonica a bocca, una canzone può essere accompagnata da un carillon a scheda perforata invece che da chitarra basso batteria e tastiere. Ed ecco che la batteria può essere sostituita da timpani, glockenspiel e xilofono.
 
Davide
Un ospite di grande rilievo, Thomas Bloch, maestro e virtuoso delle onde Martenot e della glass harmonica. Com’è nato questo incontro?
 
Stefano
Nel 1999/2000 partecipai ad un concorso di musica contemporanea a Philadelphia, con D.O.C., un brano per glassharmonica e nastro magnetico, intitolato appunto a Thomas Boch, e lo vinsi. Thomas ha eseguito D.O.C decine di volte in questi anni; abbiamo anche tenuto un concerto assieme nel 2000 per glassharmonica e carillon a scheda perforata (il componium appunto). Poi nel 2005 ha partecipato al mio lavoro per la radio SCACCOMATTO (WDR Köln), alle onde martenot. Ed ha accettato molto volentieri di partecipare anhce al GIARDINO. Tra l'altro è stato lui a far conoscere il mio lavoro a Catherine Costanza, la produttrice del CD.
 
Davide
Mirco Mencacci è un fonico o un montatore del suono tra i più richiesti nel cinema italiano, attivo tuttavia anche nella musica con la sua Samworld a Lari. Come riassumeresti il suo contributo?
 
Stefano
Be', Mirco più che un fonico è un filosofo; il pensiero che sta sotto al suo lavoro di fonico lo accomuna più ad un pittore che utilizza molti colori (microfoni degli anni 50 e 60 opportunamente restaurati e perfettamente funzionanti); crea poi le sfumature mixando le diverse sorgenti sonore. Ma non basta; la cose più strabilianti del suo lavoro sono il suo orecchio e la sua attenzione capillare alla posizione dei microfoni, alle risonanze degli ambienti, e… appunto al suo pensiero verso la naturalezza delle sorgenti sonore (se il suono è brutto, è bello perché è brutto e dunque va valorizzato nei suoi intimi particolari); una filosofia simile in fondo alla mia e a quella di molti sound-artists che lavorano per la radio sperimentale.
 
Davide
I testi un po’ ricordano quelli surreali e linguisticamente intriganti di Pasquale Panella per l’ultimo geniale e grande Battisti. La tua voce, il tuo cantato invece un po’ quello delle sonorità delicate e delle voci rilassanti dei Kings of Convenience. Cosa sono per te il canto, la voce, la parola?
 
Stefano
Non conoscevo i Kings of Convenience, neanche di nome, li ho ascoltati proprio adesso, e… sì, forse c'è qualche somiglianza nel calore della voce. Conosco però bene David Sylvian, i King Crimson, De André e Battisti, Peter Gabriel, Phil Collins, e credo che involontariamente la mia voce parta più o meno di lì, anche se suona diversa.
La mia voce rappresenta comunque l'intimità, il bambino interiore che non ho mai abbandonato, l'amore, la saggezza; ti possono sembrare concetti scontati, ma quando canto è come se avessi a che fare con tutto questo; non sai che emozione cantare con Emanuela, Valeria e Valentina, le tre ragazze di Oteme; tutto partì nell'AGGUATO, appunto con Emanuela Lari, dove scoprii che aveva esattamente la mia voce al femminile. Poi, 8 anni dopo ci siamo ritrovati e l'aggiunta delle voci di Valeria e Valentina, e successivamente Gabriele è stata ancora più emozionante, come… come un unico corpo che respira e vibra, un unico bambino che esce da dentro con parole strane, melodie inusuali, ed un impasto denso e compatto.  Avevo in mente Crosby Stills Nash & Young di Orleans o gli Harmonium, o anche e soprattutto i cori di Sylvian in Nine Horses (Atom and Cell)… interessante anche il fatto che con Mirco si è parlato a lungo di come inserire la voce sulle musiche; lui propendeva maggiormente per dare più aria al suono con l'aggiunta di un riverbero bellissimo catturato nel castello di Lari; quando ho sentito il risultato però, nonostante fosse eccezionale, ho scelto una dimensione meno ariosa e più secca, in modo che le voci suonassero più vicine, e dunque più intime. Questo ci fa capire come il lavoro di un fonico può cambiare il pensiero che sta sotto ad un progetto.
 
Davide
Ho letto qualche giorno fa sul sito www.gremus.it un articolo che iniziava così: Vivere di musica non è più un mestiere ma è un privilegio. Almeno nell’Italia di oggi… Un conto è appassionarsi alla musica o far musica; un altro conto è decidere di farne la propria professione. Cosa pensi di questa scoraggiante situazione in cui chi fa musica in Italia oggi si ritrova?
 
Stefano
Ma… fare musica non è un mestiere o un privilegio, è una missione, al pari di quella di un prete. Ci sono persone molto portate all'arte, di grande talento, ma non basta; devi veramente volerlo; devi essere in una situazione in cui prendi la tua vita in mano e ti chiedi “io potrei fare altro?”, ed arrivare alla conclusione che saresti totalmente snaturato. Non parlerei di privilegio, perché in realtà questo privilegio io l'ho pagato caro, molto caro. Molti anni di studi, a volte di solitudine, di soldi spesi a volte a casaccio, ma sempre per la causa. E molti errori da correggere strada facendo. Certo che per fare il musicista oggi ci vuole un po' di fortuna, e l'aiuto dei genitori nei primi anni è importantissimo; ma soprattutto tanto lavoro e tanta attenzione e tantissima motivazione. Io riesco a camparci perché lavoro prevalentemente in Germania, dove ho vinto diversi concorsi, e allo stesso tempo insegno chitarra, composizione, solfeggio in una scuola privata di musica; il che mi consente di essere abbastanza libero di portare avanti i diversi progetti. Lavoro saltuariamente anche come video-artista, creo musiche per la danza, spettacoli per i bambini, e all'età di 50 anni mi sono messo a studiare il violino (con suoni orribili, ma belli perché sono orribili).
Se suoni solo uno strumento, anche bene, le prospettive sono quelle dell'insegnamento, sempre più difficile; ed una volta che sei nella scuola pubblica sei fregato perché non fai più l'artista, ma il burocrate, ed invecchi abbrutendoti come la maggior parte degli insegnanti che ho conosciuto (so di cosa parlo perché ho insegnato per 8 anni al Liceo, poi ho abbandonato). Inoltre nell'Italia di oggi sei precario a vita e basta un leggero soffio di vento che ti tirano fuori. Io invece sono una specie di mina vagante, mi accontento di ciò che ho, non voglio il lavoro fisso, e colpisco qua e là dove i bersagli sono più allettanti; se sbaglio, pazienza. Ricomincio da capo. Mi sveglio la mattina e mi dico “che bello che anche oggi sono in guerra”.
 
Davide
Più l'arte è controllata, limitata, lavorata, e più è libera, disse Stravinsky. Sei d’accordo?
 
Stefano
D'accordissimo! Il mio grande maestro spirituale è Stanley Kubrick, appunto il maestro del controllo. E Cage, l'altra mia terra emersa, che predica apparentemente il contrario, non è poi così distante, in quanto la sua teoria dell'aleatorietà porta l'esecutore a scegliere sistemi basati sul caso che poi deve controllare nel minimo dettaglio.
 
Davide
“La musica deve elevare l’anima al di sopra di se stessa, deve farla librare al di sopra del suo soggetto e creare una regione dove, libera da ogni affanno, possa rifugiarsi senza ostacoli nel puro sentimento di se stessa” scrisse Hegel in Lezioni d’estetica. Cosa può o deve fare per te la musica?
 
Stefano
Il concetto di arte cambia di periodo in periodo, e questo si chiama estetica. Per me la musica deve semplicemente suonare, e noi la dobbiamo ascoltare. E fare. Dobbiamo divertirci e prenderla come un gioco. La musica, anzi l'arte deve essere attaccata al reale, al quotidiano, e traslarlo su di un piano metaforico. Da diversi anni ho coniato una definizione, quella di metafora sonora, cioè appunto di immagine che contiene associazioni acustiche prese dalla vita di tutti i giorni, tolte dal loro contesto usuale e combinate liberamente, come le parole delle mie canzoni, o i suoni di molti miei lavori radiofonici. Non dò all'arte un significato così spirituale come nel romanticismo. È più… una forma di conoscenza forse… è ciò che è… ed è, come la vede Cage, lo specchio di come vorremmo che fosse la società in cui viviamo. Non so in definitiva cosa si la musica, ma mi diverte sempre più, quando la faccio, e se non la faccio sto male. Mi potrei ammalare seriamente.
 
Davide
Cosa seguirà?
 
Stefano
Le terre emerse saranno sommerse di nuovo ed altre ne appariranno. E quando non ci sarò più io ci dovranno essere i nostri allievi o seguaci che rielaboreranno i nostri pensieri, quelli degli artisti della mia generazione intendo, e creare altri punti di approdo. E quando verremo spazzati via, fra 50 milioni di anni, amen. E tutto ciò è bellissimo.
 
In termini più pratici, OTEME sta diventando un quartetto per il progetto GIARDINO, cioè, le tre ragazze ed io, (4 voci, flauto, piano, arpa e chitarra + oggetti vari) con cui vorrei riuscire a creare una tournee, ed un trio per quanto riguarda il progetto LOMAX. I fiati al completo ed una piccola sezione archi, parteciperà alle sessioni di registrazione di BÜROTIFULCRAZY, il nuovo progetto per la Deutschlandradio Kultur di Berlino che andrà in onda a marzo 2014.
Un’interessante novità è stata la partecipazione di OTEME al Progetto Lomax in USA: di cosa si è trattato?
Lomax è nato non come progetto OTEME, ma è diventato parte dell'osservatorio, in quanto Valentina Cinquini (arpa) è parte del gruppo e Marco Fagioli (basso tuba) collabora con me da molti anni. Il progetto ha affrontato una serie di arrangiamenti in chiave colta e sperimentale di brani folk-blues-country americani fra cui canzoni di Woody Guthrie, Bob Dylan e molti traditionals; Alan Lomax è stato un grandissimo etnomusicologo che ha contribuito moltissimo alla diffusione della musica popolare di diverse parti del mondo.
Antonio Caggiano, percussionista di Roma e direttore artistico del teatro SPE della tenuta dello Scompiglio (Vorno, Lucca) mi ha chiesto un progetto di rivisitazione di tale repertorio per la stagione musicale 2013 che si basa soprattutto sulla musica popolare, e così è nata l'occasione; è stato molto interessante riprendere brani che suonavo quando avevo 12 anni e arrangiarli per 2 voci, banjo, violino, organo indiano, basso tuba e tubi vari (sistole, un sifone del wc), arpa, oggetti e giocattoli.
 
Di più non so dirti.
 
Davide
Grazie e à suivre…
 
RIFERIMENTI:
 
D.O.C.
SCACCOMATTO
L'AGGUATO, L'ABBANDONO, LA METAMORFOSI
Ensemble IL TEATRO DEL FARO
 
 

 

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