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I Fratelli Karamazov

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I Fratelli Karamazov

Ecco che abbiamo allora allo stesso tempo un Procedural, una Detection Story, un Romanzo d’Introspezione, un Trhiller Psicologico, un tenebroso Noir, e un Giallo Classico all’Inglese, con tanto di maggiordomo, in versione russa, naturalmente.

Alcuni dei capolavori della letteratura russa al di là dell’impegno notevole che occorre per leggerli, della pretestuosa ampollosità, e della mole considerevole, riescono ad andare oltre i secoli quanto a attualità, grinta e mordente.

Per la maggior parte dei lettori, anche i più evoluti, il solo nominare Dostoevskij, evoca già allarmanti visioni di tomi e tomi di narrativa verbosa, barocca, ridondante e minacciosa. Una visualizzazione che è in grado di provocare veri e propri brividi di orrore e raccapriccio.

Certo, leggere Baricco o Ammaniti è molto più facile, ovviamente, ma io, non so perché, continuo a conservare uno sconfinato e irrefrenabile amore per le sfide più difficili.

E se da adolescente sono stata in grado di leggere Anna Karenina, Memorie dal Sottosuolo e Guerra e Pace, perché adesso, da adulta, non dovrei aver piacere a rileggere e a riscoprire i Fratelli Karamazov? Soprattutto se a questa rilettura posso abbinare la gradevole immagine di Umberto Orsini che lo interpretò felicemente in una fortunatissima riduzione televisiva, sempre d’epoca s’intende.

In ogni caso da qualunque lato lo si voglia esaminare quello de I Fratelli Karamazov è certamente il miglior romanzo di Dostoevskij, realizzato a struttura circolare, si snoda su diversi piani narrativi concentrici, che costituiscono tanti episodi separati fusi in uno, barocco e raffinato, consente la visione completa di un dramma familiare, esaminato sotto tutti i punti di vista dei protagonisti, senza quei sensazionali colpi di scena, senza quei salti temporali, o quelle interruzioni improvvise che sono invece tanto tipiche della narrativa moderna, e che noi ci illudiamo di chiamare Suspense.

Del resto dal punto di vista narrativo l’autore russo era decisamente una vecchia volpe, capace di utilizzare con arguzia delicatissimi meccanismi e raffinate sottigliezze psicologiche, ha realizzato un romanzo che è allo stesso tempo una grande saga familiare, un’opera morale, con frequenti implicazioni religiose e filosofiche, un romanzo di formazione, e in genere una perfetta fusione tra un giallo, un noir e un thriller psicologico.

Sorprese e colpi di scena ce ne sono a sufficienza, ma giocati con grazia, introdotti con delicatezza, vegnono posti, come si usava all’epoca, con quel garbo malinconico e intrigante che da sempre sa ammaliare il lettore.

A guardar bene dentro questo romanzo ce ne sono tanti altri, oltre a questa storia ce ne sono tante altre, dietro a questi personaggi ce ne sono tanti altri.

A cominciare dal narratore onnisciente, che qui addirittura si fa personaggio e ci parla con la voce del minore dei fratelli Karamazov, quello che vive ai margini della scena narrativa, che osserva lateralmente lo svolgersi dell’azione, che è al tempo stesso dentro e fuori dai fatti, dentro e fuori dalle pagine, conferendo a Dostojevskij la formidabile capacità di essere al tempo stesso onnisciente e onnipresente, ma anche protagonista e attore.

Per finire con il sensazionale inganno dei Tre Fratelli Karamazov, che in realtà sono quattro, solo che l’autore con giudizio e colta ironia lascia che sia il lettore a tempo debito e con sommo gusto a trarre in proposito le logiche conclusioni, una volta correttamente informato dei fatti.

Che dire poi delle indagini sull’assassinio, del processo, delle confessioni, dell’identificazione del colpevole, delle prove a carico e a discarico, che, come nella migliore tradizione di un vecchio giallo classico all’inglese passano attraverso le consuete manovre di incriminazione e di sospetto nei confronti praticamente di tutti gli attori presenti?

E come dimenticare, infine, il magistrale colpo alla Agatha Christie, con cui l’autore ci dimostra che il parricidio è stato commesso da triplice mano, e che, ognuno a modo loro, i tre fratelli sono tutti colpevoli?

Ecco che abbiamo allora allo stesso tempo un Procedural, una Detection Story, un Romanzo d’Introspezione, un Trhiller Psicologico, un tenebroso Noir, e un Giallo Classico all’Inglese, con tanto di maggiordomo, in versione russa, naturalmente.

Dunque il lettore, nonostante la mole di cui prima dicevamo, resta avvinto alle pagine perché c’è un delitto, perché è curioso di sapere chi alla fine tra i tanti possibili candidati sia il vero patricida, perché i fratelli inaspettatamente sono quattro e non più tre, perché, come nella migliore tradizione del giallo, si scopre tutta una serie di crimini minori, più o meno collegati all’omicidio, perché i moventi sono vari e molteplici, e tutti gli indiziati, nessuno escluso si comportano in maniera colpevole, anche perché a ben guardare, di qualcosa sono comunque colpevoli in ogni caso.

Se avessimo voluto dettare le sacre regole per la stesura di un buon Mistery non avremmo potuto essere più chiari, gli ingredienti, infatti, ci sono tutti e magistralmente resi.

Ben altre armi e soprese ci riserva però Dostoevskij quando si procede con la narrazione, con la scusa del delitto, del parricidio e dell’analisi psicologica dei componenti della famiglia, l’autore si riserva il lusso, e lo spazio, per effettuare una minuziosa descrizione della dimensione monastica e religiosa della Russia di fine Ottocento, conferendo a questo romanzo anche la caratteristica di essere uno dei migliori affreschi dell’epoca giunti fino a noi.

Storia nella storia c’è poi anche il tempo per soffermarsi con dovizia di particolari sui rapporti tra un vecchio sacerdote, lo Starec Zosima, e il suo discepolo, il novizio e il saggio, uno dei temi tanto cari alla letteratura di formazione, soprattutto quando il vecchio saggio paziente, comprensivo e generoso, da giovane era stato piuttosto intollerante, impetuoso e peccatore.

Protagonista e narratore indiretto del romanzo è dunque Aleksej, il figlio minore della vittima, il fratello più piccolo, il silenzioso testimone di tante disgrazie che si verificano a catena e che funestano la famiglia dei Karamazov.

E in effetti non si può dire che il suo ruolo e la sua partecipazione siano determinanti stante la sua estrema passività nell’assistere agli eventi, è muto testimone della morte di suo padre, lascia che il fratello maggiore venga ingiustamente condannato durante il processo, rimane spettatore della progressiva follia dell’altro fratello, è praticamente travolto dalla morte del fedele servitore di famiglia, e assiste al suicidio del fratellastro, il tutto concentrato in un’inazione quasi selvaggia, innaturale e dolorosa, come una statua di marmo dotata casualmente, e senza desiderio alcuno, di una vita propria.

Ma attraverso di lui traspare l’occhio vigile del narratore, che a modo suo rivive in tutti i personaggi del romanzo, perché ogni fantasma da lui creato possiede un poco della sua interiorità, del suo carattere, Dostojevskji è al tempo stesso il padrone morto, il servitore di famiglia, la giovane amante, l’ avventuriera, la signorina di buona famiglia, il monaco saggio e il discepolo, e alternativamente ciascuno dei quattro fratelli Karamazov, in un caleidoscopio continuo di giochi e di emozioni, di anticipazioni e rivelazioni per un clamoroso romanzo che sembra scritto da dentro.

Dal punto di vista religioso e filosofico quest’opera invece rappresenta un’intensa riflessione sugli eterni quesiti che disciplinano i rapporti tra l’uomo e la realtà trascendentale o divina, le stesse motivazioni psicologiche che sono alla base del delitto, non sono scelte a caso, per ciascuno dei fratelli è stata scelta una colpa che, come i peccati capitali, incarna una delle debolezze umane più emblematiche e significative.

Lo stesso Dostoevskij del resto, religioso, rigorosamente osservante, e grande credente, era costantemente diviso tra l’ortodossia e il senso laico della sua personalità, che invece faceva di lui un uomo colto, liberale, orgoglioso e sarcastico ai limiti estremi dello scetticismo, e seppe rendere bene questo dualismo filosofico e morale proprio perché ben lo conosceva per averlo vissuto sulla sua propria pelle.

Una parte di lui vive dunque con ciascuno dei fratelli Karamazov.

Con Aleksej è il muto testimone impotente dei catastrofici eventi, l’osservatore esterno, il narratore, il fratello minore, pavido, ignavo, insicuro.

Con Dimitrij è il primogenito, indomito, passionale, impulsivo, in forte contrasto e in competizione con la figura dominante del padre Fedor, rabbioso, violento, lussurioso, immorale, si avvia ad esserne il simulacro, pur disprezzandolo, e forse proprio per questo si lascia condannare anche se innocente.

Con Smerdjakov, è il fratellastro bastardo, cresciuto nella casa di sua padre come un servitore, roso dall’odio e dal rancore, ottenebrato dal risentimento tributa a Fedor un servilismo e una dedizione eccessive, che sono chiare spie del suo disagio psicologico, affetto da epilessia è una mente debole, passiva, in balia delle correnti, influenzabile e facile preda delle dottrine filosofiche del fratello Ivan, è il diabolico ideatore del piano omicida teso a gettare la colpa su Dimitrij del quale è follemente geloso.

Con Ivan è il fratello di mezzo, grande pensatore e teorizzatore, filosofo e genio, quello che dall’alto della sua cultura disprezza tutto e tutti, altero e distaccato, che manovra l’anima semplice e meschina di Smerdjakov, che rinnega gli atteggiamenti mondani e licenziosi del padre e del fratello Dimitrij, raffinato, esteta, intellettuale sarà destinato a impazzire chiuso nel suo folle isolamento.

E infine con Katerina Ivanovna, Dostoevskij è la società benpensante, la falsa ipocrisia, il dolore di una donna costretta a celarsi dietro un ventaglio di perbenismo, obbligata dagli eventi a compiere scelte che non vorrebbe fare, fidanzata e non riamata con Dimitrij, privata da questi dell’onorabilità, amante respinta del fratello Ivan, che l’ama ma non l’accetta, testimone a carico nel processo, che esibisce una lettera tesa a discolpare Dimitrij, e la contempo a infangare se stessa, ma che questi orgogliosamente rifuta.

E così tutti e quattro i fratelli fanno la fine che meritano, Aleksej scompare schiacciato tra le pieghe della narrazione, Dimitrij si lascia condannare per orgoglio, Smerdjakov muore suicida sconvolto dalla sua colpa, e Ivan cinico e sprezzante impazzisce nella sua torre di cristallo.

Rimane solo Katerina Ivanova, unico personaggio tridimensionale, a ricordare dolorosamente una fosca tragedia russa che è al tempo stesso la più grande saga familiare di tutti i tempi.

Sabina Marchesi

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