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Una Cuba post comunista

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Una Cuba post comunista

Tornare a Cuba oggi dopo averla vista per la prima volta dieci anni fa mette un po’ di tristezza per come la vedi cambiata. L’Avana non è più la stessa capitale cadente dove non si trova niente e dove circolano poche auto scassate. Oggi L’Avana è una capitale caotica piena di centri commerciali e auto di grossa cilindrata, prostitute con cellulare, protettori arroganti e mendicanti che chiedono l’elemosina all’angolo delle strade. Pare quasi d’essere tornati ai tempi di Batista. La Cuba post comunista si sta attrezzando e fa prove generali di capitalismo sulla pelle di chi continua a vivere con i magri stipendi dello Stato.

Nella Cuba di oggi il dollaro è fuori legge, al suo posto c’è il chavito, meglio noto come peso convertibile, moneta finta parificata al dollaro che vale ventiquattro pesos cubani. A Cuba si accettano solo chavitos e l’euro circola negli ambienti turistici collegati ai villaggi tipo Varadero e Cayo Coco. Il governo vuole incentivare i depositi bancari in pesos cubani e per questo concede interessi più alti a chi sceglie la valuta nazionale. Fidel Castro sta operando una politica di rilancio della valuta cubana e questa è una cosa positiva perché era inammissibile rinunciare alla propria identità economica in omaggio al dollaro. Adesso le casse del governo cubano si sono rifornite di dollari e forse possono fare a meno della valuta pregiata, anche perché arrivano molti euro da turisti ed emigrati. Oggi come oggi è l’euro la moneta dell’economia cubana perché la maggior parte dei turisti sono europei e al loro arrivo lasciano valuta pregiata in cambio di chavitos. Il chavito è una moneta convenzionale di colore rosso che si riconosce per la faccia di Che Guevara sulla banconota da tre pesos, lo cambiano quasi alla pari con l’euro e ha valore solo nel territorio cubano. Il cambio dei dollari invece è scoraggiato da una recente legge che impone una tassa di dieci dollari ogni cento cambiati. Questi provvedimenti economici vanno letti in chiave di risposta politica all’odioso embargo statunitense, ma anche come tentativo di rilancio di un’economia nazionale che si deve basare solo sul peso cubano.

Si notano un po’ ovunque tentativi di privatizzazione e crescono soprattutto all’Avana aziende a partecipazione straniera, nelle quali il capitale è per il cinquantuno per cento dello Stato e per il quarantanove dell’azienda estera che investe. Sono i lavori più ambiti dai cubani, perché in queste aziende è più facile ricevere premi in chavitos quando la produzione va bene. Le aziende di Stato invece continuano a pagare la solita miseria di cento – centoventi pesos cubani al mese (attorno ai cinque euro) che non sono assolutamente sufficienti per sopravvivere. Lo Stato incentiva il lavoro offrendo premi come elettrodomestici e televisori ai lavoratori più produttivi, secondo una vecchia logica comunista. Le aziende di Stato concedono a chi lavora meglio dei punti applicati su un’apposita tessera che possono essere utilizzati per comprare vestiti o generi alimentari. Però la vita del lavoratore statale è dura, soprattutto perché il magro stipendio non basta per sopravvivere. Qui viene fuori il solito ingegno cubano con i lavoratori che inventano i più disparati mestieri di vendita trafugando le cose dall’azienda per la quale lavorano. Se uno lavora in una fabbrica di rum o di sigari il gioco è fatto perché sono due articoli molto richiesti dai turisti. Si tratta di attività illecite, come è facile intuire, ma il rischio deve essere corso se si vuole arrivare alla fine del mese. Da questo punto di vista a Cuba non è cambiato niente negli ultimi dieci anni, visto che la maggior parte dei lavoratori è impiegata in aziende statali. Va peggio per chi lavora e non ha possibilità di portare via niente e allora cerca di sfruttare la propria posizione per ottenere favori o premi da rivendere. Il lavoro che rende di più è sempre nel settore turistico, soprattutto per le mance che superano di gran lunga gli stipendi, anzi direi che sono la vera voce di stipendio. Fare il cameriere, il portiere d’albergo, lavorare in un villaggio come animatore, sono le professioni più ambite alle quali aspirano anche persone laureate e professionalmente specializzate. Il discorso è ormai vecchio ed è cosa risaputa che a Cuba un medico guadagna al massimo l’equivalente di trenta dollari al mese, mentre un cameriere con le mance recupera la stessa cifra in un solo giorno. Una professione molto ambita è anche quella dell’infermiere, cosa che contrasta con la vecchia mentalità machista che lo classificava come lavoro da donne o da maricones. I rapporti molto stretti con il Venezuela fanno sì che molti cubani vengono inviati in quel paese come infermieri e per aiuti umanitari. Per i giovani lo stimolo a viaggiare è alto, anche perché fuori dal paese gli stipendi sono maggiori e poi chi va in missione all’estero può portare in patria generi alimentari ed elettrodomestici proibiti per altre persone. La campagna di aiuti al Venezuela prevede l’invio di personale sanitario, professori di scuola e generi di prima necessità. Il Venezuela ricambia con forniture di petrolio e altre cose che a Cuba scarseggiano. Cuba ha stretto accordi commerciali anche con la Cina, il Vietnam e la Corea, paesi che possono far superare le ristrettezze dell’embargo nordamericano. Fidel Castro ha promesso in televisione che presto non toglierà più l’energia elettrica, il famigerato apagón non sarà più il tormento delle donne cubane che vedevano sparire la corrente per ore e ore. Lo spettacolo di una capitale completamente al buio era affascinante per il turista ma i problemi pratici erano molti.

L’economia della povera gente che vive di pensione (tre dollari) o di stipendio statale (cinque dollari) è di pura sussistenza e si basa soprattutto sulla libreta (la tessera di razionamento alimentare). Il cubano può comprare a prezzi politici pochi generi alimentari in quella che viene chiamata la bodega, spesso poco rifornita e affollata di persone che fanno la fila per un pugno di riso. Fidel Castro ha concesso ai bambini una dieta più sostanziosa basata su pesce, carne, fagioli e latte in polvere che adesso si trovano anche nei negozi di Stato. Si sta sperimentando una politica alimentare nuova per far conoscere al cubano anche le potenzialità di pietanze come spinaci, sedano, melanzane, prezzemolo e basilico. Tutte verdure che crescono anche a Cuba ma che il popolo è poco abituato a mangiare e allora si tenta di far capire che non è possibile cibarsi solo di riso e fagioli. Nei negozi poi si trova anche la carne di manzo, prima proibita e riservata ai turisti. Il pollo e il maiale vengono venduti a prezzi politici che però sono sempre alti per chi non ha un commercio nel turismo o un parente all’estero. C’è di buono che adesso i generi alimentari si trovano, come non mancano vestiti ed elettrodomestici, mentre dieci anni fa pure se possedevi dollari non compravi niente perché la roba non c’era. Adesso c’è di tutto ma non tutti possono permettersi le cose esposte nei negozi. Se non è capitalismo questo…

Il cubano cambia di pari passo ai cambiamenti della società.

All’Avana la gente ruba e assalta persone per strada come prima non capitava ed è di pochi giorni fa la storia orribile di una ragazzina di Guanabacoa massacrata da due ragazzi per rubarle una collana d’oro. La recrudescenza della violenza cittadina ha portato Fidel Castro a parlare in televisione di un inasprimento della pena di morte. La delinquenza è in aumento e la solidarietà tra vicini di casa che c’era una volta pare scomparsa. La polizia controlla soprattutto le vie del centro e le spiagge, vigilando sulla tranquillità del turista, il bene più prezioso per il governo cubano. Le strade di periferia e i quartieri popolari sono lasciati al loro destino e anche se non si toccano vette di criminalità preoccupanti il fenomeno va controllato. La società è in continua evoluzione verso i peggiori modelli capitalistici. Il cubano medio guarda chi possiede più di lui e si fa vincere dallo spirito di emulazione. Il povero (e ce ne sono molti) invidia chi ha un parente all’estero che manda dollari, chi ha il televisore a colori, chi lavora con l’azienda straniera… La società cubana sta prendendo come modello la competizione sfrenata tipica del capitalismo occidentale e non può più definirsi comunista nel senso positivo del termine. La maggior parte della popolazione vive di rimesse dagli emigrati, che sono tanti, ma non tutti hanno un parente che può inviare ogni mese cento o duecento dollari. E per chi non ce l’ha la vita è molto dura.

Fidel Castro da un po’ di tempo a questa parte compare molto in televisione e lo fa soprattutto in un canale politico che ha inaugurato da alcuni mesi e che ospita molte tavole rotonde. Fanno un po’ ridere le tavole rotonde cubane con una decina di servili giornalisti che fanno domande a un Fidel Castro bonario e paternalista tra sorrisini compiaciuti. La dose di servilismo è così alta e fastidiosa che al confronto Bruno Vespa che intervista Silvio Berlusconi pare il più acido e agguerrito dei cronisti. Tocchiamo con mano il limite più grande della società cubana: l’assoluta mancanza di confronto politico sui temi di interesse nazionale. Fidel Castro interpreta l’anima della Rivoluzione, o meglio lui è la Rivoluzione e sa cosa la gente vuole da lui. Adesso ha deciso che deve fare anche lo spiritoso e si mette a far battute televisive su quello che la gente dice di lui per strada, promette pentole a pressione e risottiere e aggiunge che troverà anche il modo di riempirle. Dice che darà gas, telefono ed elettricità a tutti, ma non aggiunge che non tutti possono permettersele e che c’è tanta gente che vive nelle baracche dove non arriva niente di tutto questo. Però afferma di sapere che per molti cubani la vita è dura e che si sta dando da fare per migliorarla. Adesso è possibile persino parlare con i suoi segretari per esporre quesiti e problemi ed è di poco tempo fa il caso di una donna licenziata ingiustamente che Fidel ha fatto reintegrare nel posto di lavoro. A mio parere è tutta propaganda, come è solo fumo negli occhi il provvedimento con cui il governo ha aumentato di cifre ridicole gli stipendi del personale laureato.

La televisione anche per Fidel Castro è uno straordinario strumento di propaganda, tanto che ha raddoppiato i canali specializzandoli per campi di interesse. Cubavision e Tele Rebelde sono le emittenti storiche impostate la prima sullo spettacolo e sul cinema e la seconda sullo sport. Adesso c’è anche un canale tematico di cultura molto interessante che trasmette tutto il giorno e che è utile per i ragazzi in età scolare. Meno utile ma solo propagandistico è il canale politico dal quale Fidel Castro parla tutto il giorno alternandosi ai suoi scagnozzi del governo. Ovvio che quando è il momento di parlare alla popolazione di temi interessanti lo fa a reti unificate per non perdere spettatori. Una nuova legge in tema di cultura impone ai ragazzi della scuola secondaria di frequentare la scuola a tempo pieno, per evitare la piaga della prostituzione giovanile e per dare un’istruzione migliore. Fidel Castro non vuole vedere minorenni per strada senza fare niente e l’idea è giusta e condivisibile, ma pare un po’ come quella legge contro la prostituzione femminile che prevede l’arresto di una donna in compagnia di uno straniero. Forse sarebbe meglio agire sulle cause di certi comportamenti invece che sugli effetti.

In definitiva la Cuba di oggi è una società che non può essere classificata né comunista, né socialista e che in parte ha smarrito i fondamentali valori di solidarietà. Nelle campagne e a Oriente la situazione è migliore che nella capitale perché ancora la corruzione avanera non le ha contaminate e la gente non sogna auto di grande cilindrata e fughe all’estero. La campagna vive una realtà genuina fatta di scambi in natura, di baratti, di gente che si dà una mano per andare avanti. L’Avana invece è molto cambiata, chi non ha denaro muore di fame, la libreta non basta, arrangiarsi è la parola d’ordine e il cubano cerca di farlo con metodi leciti o illeciti. La delinquenza che imperversa è un segnale pericoloso di una società che cambia e che sta passando a un modello capitalistico basato sulla competizione.

Gordiano Lupi

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