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La forma e la sostanza

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La forma e la sostanza

Chiunque si sia trovato a frequentare l’ambiente degli scrittori esordienti avrà sentito sicuramente dibattere fino alla nausea di questo argomento.

Ovunque sul Net imperversa questa eterna diatriba: sui forum, nei comitati di lettura, durante i corsi di scrittura creativa, nei laboratori, durante le esercitazioni, nei primi confronti con le case editrici o le agenzie letterarie, sulle riviste specializzate …

E’ più importante la forma o la sostanza? Conta di più una buona storia o il modo in cui la sappiamo raccontare? Pesa di più lo stile o il contenuto?

La questione è controversa. C’è chi sostiene, come Stephen King, che la cosa essenziale per un buon funzionamento di un’opera, e lui dovrebbe saperne qualcosa visto che produce almeno un bestseller all’anno da circa trentanni, è la trama, l’idea, la storia. Se è una buona storia il romanzo funziona. Per contro altri ribattono, e tra questi molti illuminati curatori delle nuove collane editoriali, che oggi il pubblico è alla ricerca di uno stile raffinato ed elegante, di una scrittura curiosa ed ironica, di una forma di espressione personalizzata ed individuale.

Del resto lo stesso termine Scrittura Creativa coniato per i corsi di scrittura, dovrebbe illuminarci in proposito.

C’è da dire che molti tra i nuovi autori di oggi, oltre ad aver presentato una buona storia, sono dotati di uno stile di scrittura molto particolare, che li ha senz’altro aiutati ad emergere.

A parte le considerazioni tecniche da addetti ai lavori ci sarebbe comunque da riflettere su alcune cose, dal nostro punto di vista di scrittori che tentano di farsi notare per giungere alla pubblicazione.

Innanzitutto una storia per quanto buona sia non emerge e non cattura l’attenzione se non dopo la lettura di almeno venti o trenta pagine. Lo stile invece se è personale e accattivante, se colpisce insomma, lo si nota subito, anche ad una scorsa frettolosa del testo, e fin dalle primissime righe.

Questo significa che se un lettore sceglie il nostro libro dallo scaffale di una libreria, o se un editore decide di estrapolare proprio il nostro manoscritto tra la pila delle scartoffie che giacciono sulla sua scrivania, sarà solo in virtù di qualcosa di particolare che li ha colpiti nel nostro modo di esprimerci.

Secondariamente non dovremmo mai dimenticare che la scrittura è essenzialmente un veicolo di comunicazione. E come tale deve essere approcciata. E’ sostanzialmente un’arte in cui non bisogna accontentarsi mai, ma occorre pretendere da se stessi la perfezione assoluta. Non basta sapersi orientare tra participi passati e congiuntivi, usare una punteggiatura corretta, e riuscire ad evitare i mille trabocchetti linguistici del nostro idioma, per definirsi SCRITTORI. Quello che serve è riuscire a trovare un proprio mezzo espressivo personale e inconfondibile. Un marchio di fabbrica.

Pensate a quanti conferenzieri ad esempio non riescono a comunicare col loro pubblico nonostante la perfetta padronanza della materia tecnica che stanno esponendo e pensate invece al grande successo delle trasmissioni scientifiche di Piero Angela o di Cecchi Paone, basate soprattutto sulle grandi capacità di esposizione dialettica dei conduttori.

Una storia per quanto buona sia, è sempre una storia. Simile a molte altre che sono state narrate prima e che saranno narrate dopo, quello che può distinguere una buona storia dalle altre è la chiave narrativa, il mezzo espressivo, la modalità di comunicazione.

Bisogna quindi sforzarsi di andare oltre alle nostre capacità di base. Non si tratta più di scrivere delle buone composizioni scolastiche in un perfetto italiano. Occorre individuare, come dicono i professori, la nostra personale cifra stilistica.

Assodato questo va anche considerato che tra le due cose, se si deve proprio scegliere cosa sia meglio possedere come dote naturale, la caratteristica migliore è quella di avere le idee. La forma si può imparare, migliorare e correggere. Le idee no. O le si hanno oppure no. Le idee germinano in forma spontanea, nessuno può farsele venire per forza. Non si possono insegnare e nemmeno costruire. Se non si hanno idee vincenti non si può scrivere. O meglio lo si può fare una volta sola e basta.

E’ quello che accade ai molti scrittori che dopo la prima o la seconda pubblicazione "vanno in crisi" perché non riescono più a mantenere quel livello, e sono impossibilitati a concepire altre storie funzionanti che producano un risultato.

Capita a chi ha impiegato dieci anni per scrivere un romanzo, e che pressato dalle insistenze della casa editrice non riesce più a concepirne un secondo dopo un intervallo di appena dodici mesi.

Ho sentito parlare di molti scrittori che hanno perduto l’ispirazione, ma non ho mai sentito raccontare di nessuno che abbia smesso di scrivere per aver smarrito il suo stile.

Perciò se apparteniamo a quella fortunata schiera di coloro che hanno "idee da vendere", se mentre costruiamo un romanzo o terminiamo un racconto, già fremiamo per mettere nero su bianco un’altra prodigiosa idea che ci è venuta, se ogni volta che guardiamo un film, o leggiamo un libro, o ascoltiamo il racconto di qualcuno, la nostra mente si mette a lavorare, a collegare fatti, e domandarsi incessantemente "e se…?". Se insomma la nostra personale macchina delle idee funziona a dovere ventiquattro ore su ventiquattro perfettamente oliata, allora proprio in tal caso diventa doveroso operare incessantemente sull’altro fronte. Quello della forma.

Abbiamo completato la prima stesura della nostra opera? Tutto funziona? Ne siamo soddisfatti? Il dialogo scorre, la trama è limpida, l’intreccio accattivante, i personaggi balzano dalle pagine, le descrizioni catturano, le ambientazioni convincono? Bene. E’ il momento di dedicarci allo stile.

Leggiamo e rileggiamo il tutto con gli occhi di Petronio Arbitro e cerchiamo l’eleganza.

Togliamo ogni frase banale, ripetitiva, retorica, ridondata e prevedibile. Chiediamoci perché il gatto è sornione, le fronde stormiscono, la sua fresca gota è così mordida, perché le labbra sono tumide, il vento mormora, le giornate si rincorrono, e la canicola arde.

Facciamo in modo che a ogni frase di questo tipo un campanellino da qualche parte nel versante remoto della nostra mente si metta a trillare insistentemente.

Cosa c’è che non va in queste frasi, mi direte voi? Semplicissimo. Assolutamente niente. Sono frasi perfette, giuste, appropriate, scritte in un italiano matematicamente perfetto.

Ma sono strausate, abusate, piatte, banali e ripetitive, ridondanti, retoriche e comuni.

Proviamo ad andare oltre, a cercare qualcosa di più, a trovare una nostra personale individuale inimitabile e soprattutto vincente chiave stilistica.

E non cadete nel comune errore di ritenere che lo stile sia una questione attinente alle letterature impegnate, ai romanzi di formazione, all’epica o alla poesia.

Potrei citarvi le ultime recensioni che acclamano i nuovi scrittori, elogiandone lo stile, l’innovazione, la cifra narrativa. Ma faccio di più. Vi riporto in forma integrale dei brani tratti da un thriller della Marsilio Black a firma di GianFrancesco Turano che sarà in tutte le librerie a partire dal 16 di Marzo. Leggetelo, e vedrete che anche in una storia d’azione lo stile può avere la sua importanza, il suo peso, la sua validità e la sua piena motivazione.

Pensate a come avreste reso voi questa o quella frase se vi foste dovuti trovare a descrivere la stessa scena, pesate attentamente le parole che avreste usato, assaporatene il suono, l’effetto stilistico, e osservate come l’autore abbia saputo rendere momenti tutto sommato banali della narrazione, fortemente interessanti, e assolutamente vincenti.

La storia? La storia naturalmente è buona. Ma perché accontentarci quando possiamo avere tutte e due le cose?

Sabina Marchesi

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