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Parlare di Cuba da sinistra

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Parlare di Cuba da sinistra
(immagine di sfondo di Stefano Pacini1)

Mi arriva l’ultimo numero di Latinoamerica diretto da Gianni Minà, una bella rivista che parla di tutti i sud del mondo, una delle poche realtà editoriali dove puoi leggere qualcosa del Nicaragua, dell’Honduras e degli zapatisti. Una bella rivista, non c’è che dire. Una di quelle riviste che leggi per intero, che ti appassionano e ti fanno riflettere. Il mio problema è quando leggo gli articoli su Cuba, sarà perché Cuba la conosco molto bene, sarà perché là ho lasciato persone di famiglia, amici, conoscenti. Sarà un po’ di tutto questo, però quando leggo a firma di Gianni Minà che oggi come oggi la posizione su Cuba del Papa è più a sinistra dei Diesse mi scappa da ridere. Sì, perché prima di tutto bisogna chiedersi cosa vuol dire oggi fare un discorso di sinistra su Cuba. L’embargo americano è ingiusto e criminale, certo. Nessuno lo nega. Però diciamo anche che l’embargo fa comodo a Fidel Castro, che con quella scusa giustifica anni di fallimenti e una politica reazionaria ai danni del popolo. Secondo me essere di sinistra oggi e parlare di Cuba vuol dire essere dalla parte del popolo cubano che soffre una feroce dittatura e non dalla parte del dittatore. Un altro articolo a firma WuMing4 scritto sotto forma di appunti di ritorno da Cuba non so come definirlo, dice pure cose giuste ma glissa su altre, pare che l’estensore del pezzo sia stato a Cuba ospite del governo e che abbia visto solo le cose che il regime voleva mostrare. Parla di polizia che sorveglia amorevolmente i turisti e vigila sulla loro sicurezza. Vero. Fa pure quello. Ma il compito principale della polizia è quello di rendere la vita impossibile al cubano che cerca di inventare per sopravvivere. Sequestra merce da rivendere al mercato nero, arresta chi si ingegna per mettere insieme pranzo e cena per i figli, impedisce di fare qualsiasi cosa. WuMing4 racconta la marcia sul Malecón contro le sanzioni europee come un’adunata di cubani consapevoli e indignati che si riversano spontaneamente a dimostrare. Tutto falso. Come al solito è il regime che organizza torpedoni di raccolta e canalizza volontari obbligati sotto il sole per recitare slogan confezionati dal regime. Un po’ come quando si celebra il ridicolo plebiscito pro Fidel che ti vengono a prendere a casa per votare sì e di solito il dittatore vince con il 98 per cento dei consensi. C’ero pure io all’Avana il giorno della marcia del popolo in lotta e ho visto la sfilata e la manifestazione assieme ad Alejandro Torreguitart, lo scrittore cubano che traduco in Italia. Lui ha scritto un racconto dove dice la verità su quello che è successo, ma è stato quasi impossibile trovare spazi liberi per pubblicarlo.
WuMing4 poi paragona lo stato dell’informazione in Italia con quello di Cuba. E qui è davvero patetico. Ora, io sono un antiberlusconiano convinto, un uomo di sinistra da sempre, non irreggimentato in nessun schieramento ma di sinistra. In Italia il mio spazio per parlare è limitato all’underground, a poche riviste che mi ospitano, però posso scrivere quello che voglio senza timori. A Cuba l’unica informazione possibile sono squallidi fogli di regime che WuMing4 deve aver letto, se c’è stato. Il problema è che io vedo Cuba dalla parte dei cubani (il titolo di uno dei miei libri inediti su Cuba che prima o poi spero di pubblicare) e mi metto nei panni di chi deve vivere con cinque dollari al mese in una società costruita su misura per le tasche dei turisti. Mia suocera vive all’Avana con due dollari di pensione e se io non le mandassi cento dollari al mese se ne andrebbe in Piazza della Cattedrale a chiedere l’elemosina ai turisti, come già fanno in molti. Si chiama stato sociale questo? Ha qualcosa a che vedere con il comunismo? Il cugino di mia moglie, Alejandro Torreguitart, deve pubblicare di nascosto in Italia perché a Cuba finirebbe in prigione per gravi reati di opinione e propaganda controrivoluzionaria. Regis Iglesias Ramirez, Ricardo González Alfonso, Omar Moisés Ruiz Hernández sono alcuni degli autori cubani che provano a criticare il regime e chiedono da anni libere elezioni e democrazia. Sono estensori del progetto Varela che ha solide basi cristiane e non ha niente a che vedere con Bush, con la Cia e con Miami. Il problema di certa sinistra italiana è che vede ogni forma di dissenso a Fidel Castro come un disegno sovversivo orchestrato dagli Stati Uniti. Nel caso del progetto Varela non è così. Si tratta di gente che chiede solo democrazia e libere elezioni. È una richiesta così assurda? I sostenitori del progetto Varela hanno ottenuto come risposta solo anni di galera ed emarginazione sociale, però le loro opere sono state pubblicate in Spagna e lo saranno presto anche in Italia grazie alle Edizioni Il Foglio.
Non voglio rischiare di dire le solite cose che si dicono su Cuba e che si è costretti a dire se siamo gente di sinistra. Perché purtroppo è vero che Cuba ha tradito i nostri sogni, che Cuba non è più una società socialista (se mai lo è stata), che Cuba è l’immagine vivente di quel che poteva essere e non è stato. Basta andare a Cuba e vivere qualche giorno da cubano per rendersene conto. Basta parlare con la gente e sentire quel che chiede sotto voce, perché anche i muri hanno orecchie e ci sono sempre chivattones (spie del regime) dietro l’angolo.
Il cubano si contenterebbe di poco, in fondo: un lavoro che serva a mantenere la famiglia e un po’ di libertà. Chiede troppo? Credo di no. E allora permettetemi di dire che Fidel mi fa ridere quando sbandiera i dati sulla occupazione e dice che a Cuba tutti lavorano. Peccato non aggiunga che un cubano guadagna dallo stato (quando va bene) cento pesos al mese (l’equivalente di cinque dollari) e che tutti quelli che lavorano lo fanno soltanto per un secondo fine. Chi lavora nelle manifatture di tabacchi ruba i sigari per rivenderli al mercato nero e lo stesso fa chi è impiegato all’imbottigliamento del rum. Medici, professori, impiegati svolgono tutti un secondo lavoro (lecito o meno), molti si rifugiano nel turismo che è l’unica attività che consente di sbarcare il lunario. Abbondano gli affittacamere, i tassisti privati (spesso abusivi), gli accompagnatori turistici (di tutti i tipi). A Cuba c’è la corsa a fare il cameriere e il portiere d’albergo, pure se si possiede una laurea in ingegneria. È morale tutto questo? Ed è colpa dei cubani se adesso per vivere all’Avana servono almeno cento dollari al mese? È colpa dei cubani se il dollaro ha affiancato il peso nell’economia nazionale e adesso è diventata la vera moneta di Cuba? Come si concilia lo sbandierato e giustificato odio contro gli yankees con un’economia che dipende dal dollaro? Adesso abbiamo il peso convertibile, il popolare chavito, ma il discorso non cambia, il suo valore è parificato al dollaro e gli stipendi dei cubani sono pagati in pesos. A Cuba manca di tutto: medicine, materie prime, carne. La Coca Cola no. Quella si vende a ogni angolo di strada e costa un dollaro per lattina, un quinto dello stipendio di un mese. Tutto questo mi pare orribile, immorale, incomprensibile. Ho finito gli aggettivi. Cuba è in mano alle multinazionali, che costruiscono orrendi alberghi sul mare e lottizzano stupendi cayos per realizzare posti stile Cayo Coco che pare una Rimini tropicale, un club Mediterranè per turisti milanesi a caccia di emozioni.
Ma non è tutto. E non crediate che mi faccia piacere dire le cose che dico, mi fa un male terribile ma le devo dire perché è la verità ed è inutile fare come gli struzzi e nascondere la testa sotto la sabbia. Cuba è tutto questo, purtroppo. Pure se siamo di sinistra.
Se sei cubano e cerchi un libro che critica il governo non lo trovi. Pedro Juan Gutierrez ha scritto cose stupende come Trilogia sporca dell’Avana, Animal Tropical, Il re dell’Avana e adesso pure Carne di cane, che si possono leggere ovunque ma non a Cuba. Se hai voglia di visitare un altro paese del mondo devi chiedere l’autorizzazione al Ministero degli Interni (la famosa tarjeta blanca) che ti arriverà dopo lunghe investigazioni sulla tua fede politica e sul tuo passato. A parte il fatto che devi avere una carta di invito da qualcuno che risiede all’estero e pure i soldi per il biglietto aereo. Se tutto va bene ci vuole un anno per completare la pratica e non è detto che ti autorizzino a partire. Se ti vuoi muovere da Cienfuegos all’Avana è quasi lo stesso: c’è una legge che vieta le migrazioni verso la capitale e allora se ci vuoi andare al massimo devi starci trenta giorni e prima va informato il Comitato di Difesa della Rivoluzione che deve dare il permesso. A Cuba non esiste libero accesso a internet né ad alcun tipo di informazione che non siano il Granma e Juventud Rebelde, giornali spudoratamente di regime che un mio amico cubano definisce con termine molto colorito papel para limpiarse el siete. Non credo serva la traduzione. Si può telefonare all’estero solo tramite operatore e se dici qualcosa che non va la comunicazione, chissà perché, cade. Provare per credere. Sono vietate le antenne satellitari. L’unico datore di lavoro è lo Stato e lavorare per lo Stato è obbligatorio, pure se la paga è ridicola. Se non lavori sei definito soggetto socialmente pericoloso e la polizia ti controlla giorno e notte. A Cuba c’è il partito unico, quello comunista (che di comunista non ha niente, solo il nome) e le votazioni sono ridicoli plebisciti, farse organizzate dal regime durante le quali si depone nell’urna un voto di approvazione solo per non avere problemi. A Cuba esiste la pena di morte, lo abbiamo visto di recente con il processo rapido e sbrigativo a quei tre disgraziati che cercavano la fuga sulla lancita de Regla. Le carceri sono dure e tutte situate a oriente e nei luoghi più disagiati, quando la polizia cattura le jineteras (ragazzine che fanno la vita per campare) queste vengono rapate a zero e trattate come bestie. WuMing4 nel suo articolo dice che il carcere per le jineteras si chiama Villa Delicia e non è particolarmente duro, che le ragazze vengono impiegate per servizi socialmente utili. Si vede che non ha mai parlato con una jinetera che ha fatto la galera, se no saprebbe come stanno le cose. Gli omosessuali sono discriminati ancora oggi, pure se le cose vanno meglio che negli anni Sessanta, quando si considerava l’omosessualità una deviazione ideologica e “il diverso” veniva spedito nei campi di lavoro e rieducazione. Per la situazione degli omosessuali a Cuba consiglio la lettura di un libro che ho tradotto (ovviamente proibito a Cuba): Machi di carta di Alejandro Torreguitart (Stampa Alternativa, 2003). Ma si legga soprattutto lo stupendo Prima che sia notte di Reinaldo Arenas, uno scrittore omosessuale che ha fatto anni di prigione solo per le sue idee politiche e per il suo orientamento sessuale.
Una volta detto tutto questo diciamo pure che lo stato ha garantito la soddisfazione minima di alcune necessità essenziali: salute, alfabetizzazione, alimentazione… Per queste cose Cuba non ha niente a che vedere con il resto dell’America Latina. Comunque da quando è caduto il muro di Berlino ed è scomparsa la madre Russia, questi servizi essenziali sono ridotti all’osso. Chiaro che su questo panorama negativo grava anche il criminale embargo americano, ma sulla mancanza di libertà e sul fatto che Cuba è stata consegnata ai turisti europei non hanno certo colpa gli Americani.
Cuba è uno stato di polizia, c’è poco da fare. È una dittatura, un regime autoritario, magari non come quello sanguinario e criminale di Pinochet ma pur sempre una dittatura. A Cuba c’è una dittatura che si autodefinisce socialista così come facevano i dittatori di Mosca e come fanno ancora quelli di Pechino. Un po’ come fa Berlusconi quando si definisce democratico e poi va in giro per il mondo a dire che il duce in fondo era un brav’uomo.
Il potere a Cuba rappresenta un modo di esercitare l’oppressione e lo sfruttamento della maggioranza della società da parte di una minoranza che ne trae profitto. È comunismo questo?
Scusatemi se mi rifiuto di scegliere tra la versione cubana e statunitense del potere, tra la democrazia totalitaria occidentale che esporta guerre preventive nel mondo e il totalitarismo di Fidel. Scusatemi se scelgo l’umanesimo, la dignità dell’uomo, il vero motivo per cui Cuba aveva fatto una stupenda rivoluzione.
Un motivo che adesso è andato tristemente perduto.


Gordiano Lupi

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Immagine di sfondo tratta da Cuba que linda es Cuba di Stefano Pacini – pag. 60 più CD fotografico – ISBN 88 – 7606 – 025 – 1
Mail dell’autore: stefanoulisse@libero.it
Un piccolo e prezioso diario di viaggio, che si è staccato dal suo autore per vivere di vita propria; che solletica il sorriso dolce amaro del lettore. Sessanta pagine che mi sono scivolate sotto agli occhi. Pagine traboccanti di immagini che mi hanno travolto facendomi “sentire”. E poi le foto. Anche loro parlano. Qualcuna sussurra. Qualcun’altra sospira. Alcune gridano. Altre sghignazzano flemmaticamente. Incuriosita e affascinata dal terzo occhio meccanico di Stefano fotografo, mi ritrovo a contemplare stupita, la sua capacità di cogliere e combinare particolari, inzuppandoli di una loro anima. (Sabrina per il Fondo Boccardi). Cuba non ammette sentimenti tiepidi. Nel corso dei secoli ha accolto pirati e negrieri, schiavi e rivoltosi, spagnoli, inglesi, cinesi e indiani, bianchi e neri, poeti e guerriglieri, esuli e avventurieri di tutte le risme, viaggiatori curiosi e romantici delusi, gente che si è ritrovata o persa del tutto… Libro pubblicato in collaborazione con il Fondo Boccar

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