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Le Vie del Talento secondo Enzo Fileno Carabba

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Le Vie del Talento
secondo Enzo Fileno Carabba1

Il motivo del rifiuto originario era che l’opera non era abbastanza noir per essere un noir. A questo proposito Carabba osserva: " (…) nonostante mi sia sforzato non ho ancora capito cosa è un noir. Mi è capitato di incontrare molti grandissimi autori di noir, non solo italiani, e ognuno mi ha dato con sicurezza una definizione diversa, in contraddizione con le altre, perché era la sua definizione.Da qualche parte devo aver letto che il noir è un genere in cui ognuno dà il peggio di sé (immagino che si riferisse ai personaggi, non al narratore). Non so se questa definizione sia giusta, immagino di no, comprenderebbe troppi libri, però mi è piaciuta e credo descriva bene, più che il noir, i nostri tempi. Per il resto, ignoro le famose regole del noir di cui sento parlare. E più cerco di conoscerle più le ignoro."
Nel corso della traduzione francese per la prima edizione di questo romanzo, Carabba, ossessionato dall’incubo paralizzante della definizione esatta, chiese alla sua traduttrice: "Il mio libro sarà un noir o no? Sarà troppo noir per non essere noir o troppo non noir per essere noir? Cosa sarà veramente?". La risposta è stata: "Questo libro è un coniglio rosa".
Un altro errore determinato dalla troppo rigorosa classificazione in generi è quello riscontrato da Carabba durante i corsi di scrittura rivolti ai ragazzi dai vent’anni in su: "Mi hanno spiegato che a loro non interessavano mica zie, tazzine, biscotti, salotti, parchi e possedimenti. Eh no, cazzo! A loro piacevano autori duri, per esempio Ellroy, o Tarantino, o Palahniuk, o Bunker. Volevano cose al passo con in tempi, come quella donna che in una pubblicità diceva "io vivo col mio tempo, la performance. (…) Tutti sono avidi di essere qualcosa, di appartenere a qualcosa, di attaccarsi come patelle a qualche coperchio. (…) Il fatto, che dovrebbe essere ovvio, è che uno può scrivere un’opera sconvolgente parlando delle posate d’argento della sua ricca zia e un altro può scrivere un libro insulso parlando di omicidi e ambienti degradati e gente cosiddetta estrema, che già la parola fa ridere"
In questo periodo in cui molti si cimentano con la scrittura, ci sono alcuni trabocchetti facilmente individuabili e assolutamente da evitare, dice Carabba: "Insomma io vedo due strapiombi. Uno è quello di chi vuole vivere col suo tempo, la performance. E allora scrive testi pieni di ammazzamenti, fintamente trasgressivi, ma la lama del coltello non è affilata e la siringa non ha l’ago e i denti del mostro sono cariati. L’altro strapiombo, opposto ma tipicamente italiano, lo si vede anche nel cinema, è quello in cui cade chi vuole infilare in qualsiasi obbrobrio che scrive tutti e dieci i comandamenti. Vuole dire le cose giuste, troppo giuste. Questa cosa di infilare tutti e dieci i comandamenti è riuscita solo una volta, tanto tempo fa."
Il prolificare di miriadi di corsi di scrittura creativa ha poi generato per così dire una classe di scrittori, o aspiranti tali, rigorosamente omologati, simili e speculari, un piccolo esercito di cloni. A questo proposito Carabba giustamente avverte: "Poi vorrei mettere in guardia circa le indicazioni che si trovano su quasi tutti i manuali di scrittura. Per esempio: mostra, non dire;evita i concetti; il personaggio deve venire fuori solo da come parla e agisce; attento a aggettivi e avverbi; evita le spiegazioni; taglia i binari morti. Tutte cose in parte giuste, ma sono diventate la Bibbia. E come tutte le Bibbie, alla fine uccidono. Queste indicazioni catechistiche riducono i romanzi a una cosa troppo composta e ordinata, per miei gusti. Producono romanzi che "scorrono" (ormai da anni è diventato il valore supremo) come fedeli che vanno a prendere l’ostia, ma a forza di scorrere spariranno senza lasciare traccia. In base a queste "regole" da prima comunione del libro, la maggior parte dei grandi libri del passato anche recente, molto più irregolari e tumultuosi, molto più arditi, oggi non verrebbero pubblicati, oppure, nel migliore dei casi, verrebbero sottoposti a un editing selvaggio per civilizzarli e renderli casti dal punto di vista formale."
La falsa sicurezza in cui l’aspirante scrittore si culla quando è colto dai famosi accessi di scrittura medianica induce poi a cadere in un altro drammatico errore. E’ sorprendente constatare come moltissimi autori non siano in grado di effettuare un lavoro di revisione sui loro testi, e che nemmeno ne sentano la minima necessità. Carabba focalizza il concetto molto bene: "Un’altra cosa è che non sei te stesso solo quando scrivi di getto, come misteriosamente pensano i più (e qui ci si ricollega al problema del disegno razionale) ma sei te stesso anche quando riscrivi, anche quando lavori e rimugini su quello che hai scritto. Sembra impossibile, ma i più sono ostili a questa semplice verità. Hanno un’idea falsa della spontaneità."
Infine poi c’è da considerare che il talento, quando c’è e se c’è, non è affatto un alibi da utilizzare per sentirsi dei geni incompresi o degli eccelsi artisti. Non bisogna dimenticare quanti successi editoriali siano stati scritti da persone normalissime, felici e appagate, con una famiglia nella media, con i normalissimi problemi del menage quotidiano, visite dal dentista, i bambini da portare in piscina, le bollette da pagare, le recite scolastiche, e così via. Basta citare due casi su tutti: Stephen King, che ai tempi del suo esordio sbarcava il lunario lavorando in una lavanderia, e J.K.Rowling, che ha scritto il primo romanzo della saga di Harry Potter al tavolino di un bar mentre portava a passeggio il suo piccolo in carrozzina. Carabba avverte: "Un’ultima cosa. (…) Conosco tantissime persone (persone sceme, persone brave e intelligenti, persone di talento, persone di tutti i tipi) che hanno questo in comune; ritengono di ricevere dalla vita molto meno di quanto dovrebbero, in relazione ai loro meriti eccezionali. Si sentono defraudate. Questo, specialmente nelle persone che si dedicano a attività creative, può trasformarsi una specie di risentimento perpetuo che diventa un muro, una prigione. Ma sarà vero? Ci saranno davvero questi meriti eccezionali?"
Per concludere con le parole della critica va ricordato che: «Carabba non offre messaggi, ma delle visioni… E’ nello stesso tempo bizzarro, salace, trascinante.» E questo appunto dovrebbe essere il traguardo ultimo di ogni scrittore, trasmettere la sua visione al resto del mondo, fargli vedere quello che lui vede, fargli sentire quello che lui sente, creare delle storie e portarci dentro il suo lettore, tenendolo per mano, e questo non si conquista con l’appiattimento o l’omologazione, e meno che mai con i simulacri.

Sabina Marchesi


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L’ultimo romanzo di Carabba, Pessimi Segnali è stato in prima battuta rifiutato dal suo abituale editore italiano, poi pubblicato in Francia, e successivamente in Italia dalla Marsilio Black

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