KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Il nuovo sperimentalismo secondo Enzo Fileno Carabba

10 min read

Il nuovo sperimentalismo
secondo Enzo Fileno Carabba1

Le storie che racconta sono oniriche e visionarie, ai limiti del reale, ed affacciate sul fantastico. Le capacità narrative molto evolute abbinate a una scrittura estrosa, ardita e sagace, conferiscono alle sue opere un’impronta indistinguibile. Acclamato dal pubblico e dalla critica, è oggi considerato una delle nuove rivelazioni letterarie che si affaccia su un panorama altrimenti abbastanza piatto.
Nella sua intervista rilasciata a Stefano Loria a proposito del suo ultimo romanzo Pessimi Segnali (clicca qui per la recensione http://guide.supereva.com/giallo_e_noir/interventi/2005/02/197646.shtml ) ha rilasciato alcune considerazioni particolarmente intuitive che riproducono chiaramente uno spaccato della nostra realtà editoriale.
Pochi come lui hanno saputo fotografe con altrettanta immediatezza i punti cruciali, le debolezze e i pericoli che si annidano nella cosiddetta controriforma della letteratura.
Pericoli che a uno scrittore esordiente dovrebbero essere ben chiari, per non cadere nella saturazione e nella produzione seriale di genere.
Negli ultimi tempi si è assistito a un lento e costante disfacimento ed abbandono di tutte le regole considerate puriste della vecchia letteratura, i pilastri di riferimento di ogni epoca e genere, i cosiddetti classici, sono stati praticamente abbandonati per intraprendere nuove strade, più moderne.
Allo stesso tempo il purismo letterario, le raffinatezze di una lingua plastica e modulare come la nostra, le magnifiche sottigliezze delle sfumature linguistiche, le descrizioni, i tratteggi, i personaggi, le storie avveniristiche, incredibili, eccessive, iperboliche sono state abbandonate in favore di un linguaggio pratico, sintetico, rapido e veloce, e di storie concrete, reali e quotidiane.
Mentre questo da una parte ha contribuito ad avvicinare la letteratura al mondo reale, dall’altra ha causato un contro effetto di appiattimento e banalità. Da un certo tempo in qua qualsiasi nuova scoperta, qualsiasi testo, qualsiasi opera, mostra sempre e soltanto le stesse medesime reiterate caratteristiche, forse tanto osannate, ma in ogni caso foriere a lungo andare di un certo inflazionamento del mercato.
Va riconosciuto a Carabba un forte acume mentale, la sua giusta dose di intuizione gli ha consentito di cavalcare l’onda della risacca. Tornando indietro verso i vecchi valori Carabba ha saputo proporre una svolta, una scommessa editoriale vincente, con grande successo del pubblico ed acclamazione della critica.
Fautore della riscoperta dei valori nazionali Carabba ripropone le care vecchie e suggestive ambientazioni italiane convinto come è che "l’Italia di oggi è una terra stupefacente, con squarci visionari che si aprono nel quotidiano".
Questo valido autore è riuscito a dimostrare che si può raccontare qualcosa che riguarda il vissuto contemporaneo in Italia con grande originalità e rinnovato vigore.
Per dirla con le sue parole inoltre egli è stato felicemente in grado di abbandonare il vicolo cieco imboccato da molti falsi artisti che ritengono che la genialità si abbini con l’ermetismo e l’incomprensibilità. Il mistero deve risiedere in quello che si racconta, non nel modo in cui ci si esprime. Con particolare talento e sfoggio di rarissima umiltà il giovane Carabba ha invece rapidamente compreso l’insegnamento così sintetizzandolo: "Visto che alcune persone mi dicevano che non avevano capito i miei libri precedenti, un bel giorno ho smesso di ripetermi che erano degli scemi e ho cercato di essere il più chiaro possibile. La mia ambizione era essere chiaro e misterioso."
In controtendenza con l’attualità del momento editoriale che vuole solo storie vere, reali, quotidiane e credibili, Carabba ha invece seguito la sua intuizione di ricorrere alle iperbole, perché come giustamente dice "non ho mai avuto una grande fiducia nel realismo, nella sua capacità di cogliere la realtà. Mi sembrava, che il realismo fosse uno sguardo piatto, a una sola dimensione. Le grandi storie dell’umanità non sono realistiche (con eccezioni che puoi contare sulla punta delle dita, se ti hanno amputato una mano): riguardano gente che incontra le sirene e uccide ciclopi, gente che visita l’Aldilà in compagnia di Virgilio, tipi che danno la caccia a balene bianche palesemente mai censite dal wwf. Le grandi storie dell’umanità parlano di burattini viventi, di cavalieri dalla triste figura, di Orlandi furiosi, di mostri meravigliosi, crocifissi che risorgono, processi incomprensibili, castelli inaccessibili, di magia, prodigio e avventura. Sono storie eccessive e smodate. Eppure ci credi."
"Una storia è una specie di mostro ingordo che ingloba tutto: azioni, pensieri, immagini, suoni e così via. Uno che si mette lì a raccontare qualcosa deve poter prendere da dove vuole. E’ una specie di superpredatore, che ha diritto a stanare tutti gli organismi commestibili in circolazione in quel dato tempo, deve farlo se vuole vivere, però poi li risputa vivi. Oppure, meglio, è un fungo. Non però di quelli che distruggono gli alberi, ma di quelli che ci vivono insieme e addirittura aiutano il bosco. In questo caso il bosco è la nostra realtà."
Un’altra sgradevole realtà, o pregiudizio che sia, di nuovo fatalmente esorcizzata da Carabba, è la delicatissima questione della classificazione dei generi. Oggi per un autore esordiente è estremamente difficile capire se la sua opera è un nero leggermente nero, o un giallo troppo giallo, o peggio ancora un noir non abbastanza noir, o un horror con troppo thriller, o viceversa un mistery con tendenze allo splatter. In tutta questa babele di definizioni e classificazione l’autore rischia di seppellire a vita i suoi lavori nel cassetto semplicemente perché non sa in quale fascia possano essere collocati. E le case editrici, si sa, si arrabbiano moltissimo se inoltri un manoscritto alla collana editoriale sbagliata.
Enzo Fileno Carabba, che da molti è stato definito, a ragione, un fenomeno non etichettabile, autore di veri e propri oggetti letterari non identificabili, ha giustamente individuato il fulcro della questione. In un periodo in cui molti giovani scrittori italiani seguendo l’onda della propaganda editoriale sono impegnati a produrre opere di narrativa che segnano una sorta di ritorno all’ordine, una cieca adesione a un cliché predeterminato, è diventato azzardato e forse anche po’ sconveniente proporre libri che abbiano anche una minima ambizione di sperimentalismo o di innovazione. A tale proposito dice Carabba: " L’unica cosa importante a proposito dello sperimentalismo è capire se l’esperimento è riuscito.(…) Ma non dev’essere necessariamente una parola proibita, tabù. Collegata a qualcosa di forzato, intellettualistico, cerebrale. Ma non è per forza così. Dipende. Ci sono anche gli esperimenti riusciti. Per esempio, la musica di Beethoven è sperimentale, dato che sperimentava cose che nessuno aveva mai fatto prima. Ma l’esperimento è riuscito e oggi ci appare naturale. La differenza sta tutta qui. Vale per qualsiasi grande autore (per i Preludi di Chopin, addirittura!). L’esperimento è riuscito quando funziona ma non dà nell’occhio. Se invece senti che l’autore ti strattona e ti dice: oh imbecille, ma lo vedi o no quanto è ardito il mio esperimento? L’ hai notato quel punto cruciale? Bè, in quel caso io non mi entusiasmo, voglio essere lasciato in pace"
Fino a qualche anno fa era invece rigorosamente di moda l’avanguardia, tutti dovevano essere intelligenti, tutti dovevano esprimersi con uno stile oscuro e impenetrabile, tutti dovevano per forza comunicare dei contenuti socialmente elevati, o di denuncia culturale.
Dice Carabba: "Tutto ciò è insensato, orribile. E deriva da una visione accademica. L’avanguardia e l’accademia possono essere molto vicine. E allora in effetti io capisco la reazione di rigetto che si è verificata. In tanti hanno cominciato a dire: ma io veramente vorrei semplicemente raccontare una storia con una trama che mi appassiona e una bella ragazza sessualmente attiva, e il vecchio Joyce può fare quello che gli pare.
E così uno che proclama "ora farò qualcosa di nuovo", secondo me, di solito, con rispetto parlando, è un cretino. O perlomeno io preferirei che uno mi dicesse: senti caro, ora ti dirò quanto mi siano rimasti nel cuore i viaggi con i miei genitori, quando ero piccolo. Solo che per dirlo davvero è costretto a inventarsi qualcosa di nuovo, perché solo così riesce fartelo capire.
"
Questo in sostanza è il cardine di tutta la letteratura, si tratta semplicemente di raccontare una buona storia e di farlo nel migliore dei modi, in un modo nuovo possibilmente. Poiché tutte le storie sono già state narrate, per inventarne di nuove bisogna solo sperimentare, ricercare una propria cifra stilistica e una soggettiva chiave narrativa.
Solo questo potrà distinguere le nostre storie dalla massa, ma un vero autore oggi deve essere un cantastorie, non un pretestuoso genio della comunicazione. Questo non va mai dimenticato, i più grandi maestri della letteratura erano dei cantori, non dei presunti artisti. Come sempre tutto dipende dalla pulsione che ci muove. Per dirla con Carabba "Inventando storie bisogna riuscire a essere sinceri, cosa che non è per niente facile."
Oggi in Italia la ripetitività ha ucciso la lettura, rischiando di allontanare ancora di più i lettori dagli scaffali delle librerie. Gli investigatori sono tutti sfiduciati, stanchi e depressi. I mostri non spaventano quasi più. I serial killer sono costretti a compiere azioni sempre più sanguinose, ai confini con l’eccidio per interessare il lettore. Le ricostruzioni del delitto sono meticolose e ossessive come un problema d’algebra della terza elementare. Tutto si è spento e sfumato in qualcosa di indefinito, vicinissimo alla morte per asfissia da omologazione.
Per questo forse stanno tornando in auge i vecchi gialli classici, quelli di una volta, perché in un periodo di confusione mentale come questo ancora si riesce ad apprezzare positivamente delle storie che tutto sommato hanno il pregio di avere architetture complesse dotate di un capo e una coda, dove la trama i personaggi, la plausibilità del dialogo, la sorpresa, l’ambientazione e così via, scorrono regolari come un meccanismo ben lubrificato.
Dice Carabba a proposito dell’omologazione dei testi: "Non mi piace questo ritorno all’ordine. Tutto quello che non è in linea con l’ortodossia romanzesca trova ostacoli spaventosi. Oggi tanti capolavori del passato non uscirebbero. Ma anche grandi autori contemporanei. (…) Noi viviamo in un mondo che procede per spot. Molti scrittori rinomati hanno in sostanza un talento da pubblicitari. La maggior parte dei romanzi assomiglia a sceneggiature. Molti di quelli che vogliono scrivere si nutrono di manuali di scrittura, e poi li espellono in forma di letteratura con pochi aggettivi, pochi avverbi, sporadici congiuntivi e soprattutto – questo sembra essere di estrema importanza – nessun punto e virgola. Un signore una volta mi ha detto che lui legge i manuali perché non ha tempo di leggere i romanzi. E’ l’era dei simulacri."
Ma attenzione distaccarsi dalla massa per tentare acrobatici voli alla maniera di Icaro nasconde come sempre dei rischi: "A volte la ricerca di zone inedite dell’esperienza diventa una forma di narcisismo. Però, anche qui, di questi tempi mi sembra che siano pochi a correre questo rischio. I più inseguono uno stile piatto, semplificato, standard, che corrisponde a una visione del reale piatta, semplificata, standard.
In questo clima le zone inedite dell’esperienza sono viste con sospetto. Ma io credo che le cose cambieranno, stanno già cambiando, non può durare così in eterno (cavolo… ora mi viene il dubbio). Infatti nonostante questo clima generale ci sono all’opera in Italia dei grandi autori. Che raccontano qualcosa di nuovo e al tempo stesso ti fanno entrare in una storia appassionante, che ci riguarda (perché le zone inedite dell’esperienza da sole non bastano, è bene restino inedite, se l’autore di ammorba col tedio).
"
In generale basti pensare che il lettore è una razza assai più evoluta di quel che non si pensi ed è perfettamente in grado di "dare fiducia alla voce dell’autore. (..) Alla fine un bel libro non è un prodotto, non è un’operazione, ma è innanzitutto la testimonianza di una persona. Anche se non so bene quale. E’ la liberazione di forze che sono dentro la persona. Una liberazione controllata. Il fondo remoto della coscienza e il disegno razionale non si escludono a vicenda. Un bel libro è proprio il frutto del matrimonio riuscito di queste due cose. Ci devono essere oscuri impulsi incontrollabili, forze sgrammaticate o addirittura prelinguistiche, a cui tu salti in groppa e alla fine le controlli: ci devono essere un superpredatore e un superdomatore nella stessa persona.King da qualche parte ha detto che lui è riuscito e mettere al lavoro il diavoletto che aveva dentro la testa. Per me l’architettura è fondamentale, in una storia, ma anche l’architettura nasce da impulsi profondi. L’architettura non è fredda, è parte dell’organismo. Che comunque può avere un suo fascino.Scrivendo devi evocare gli spiriti ma anche dominarli. Sennò basterebbe fare una seduta spiritica."
Uno scrittore non deve essere autobiografico, non deve narrare di se stesso, ma deve al contrario permeare se stesso dentro quello che narra: "Alla fine, a forza di camminarci dentro, questi luoghi mi hanno raggiunto. Sono entrati nelle cose che scrivo. E’ così che le storie cominciano ad agitarsi nella mia testa.Luoghi, vicende reali, persone, si sono imposti nella mia mente. Fusi a menzogne colossali, è chiaro."
La soluzione vincente è scrivere di qualcosa che ci avvince, ci cattura, ci possiede, e di farlo nello stile migliore che più si confà a noi e alla storia che vogliamo narrare, senza badare alle etichette e alle classificazioni: " Non ho mai capito bene cosa sia un romanzo. Mi sembra ci siano vari modi di intenderlo. Le metamorfosi o l’asino d’oro di Apuleio, scritto nel II secolo d. C., un libro che a me piace molto, viene spesso definito romanzo. Ma evidentemente ha poco che vedere con Anna Karenina, a meno che non la si consideri un’asina. Per questo io preferisco riferirmi al raccontare storie, così comprendo anche un sacco di altre cose, per esempio i poemi, che altrimenti a rigore sono tagliati fuori. Invece molte delle migliori storie dell’umanità sono state narrate in versi. Forse non mi interessa neanche stabilire cosa sia un romanzo, se non da un punto di vista storico. (…) Il bisogno di raccontare storie non muore. Lo puoi chiamare poema, o romanzo, e sicuramente muta nel tempo. Per forza. Per fortuna." Ma la sostanza non cambia.

Sabina Marchesi

1
Enzo Fileno Carabba ha vinto nel 1991 il premio Calvino con il suo primo romanzo, Jakob Pesciolini, dimostrando subito un talento fuori dal comune in una produzione letteraria a tutt’oggi fuori da ogni etichetta.

Commenta