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così mi facevo gli anticorpi

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così mi facevo gli anticorpi
Segnalato dalla giuria

È dura crescere quando sei povero. E ancor più dura è crescere quando sei un bambino povero in un mondo che diviene consumista. Ed io ero una bambina povera in una società che cresceva cinica. Andavo a scuola, prima elementare nell’ottobre dell’80. Non avevo mai visto una Big Babol. E nemmeno potevo immaginare cosa fossero le patatine tonde di mais soffiato al formaggio, i Pouf. E chi mi avrebbe mai detto se la cartella di Goldrake era più resistente della mia povera cartella di finta pelle blu?
Attuai così un piano diabolico. Durante una lezione mi alzai per andare a temperare la matita, vicino la lavagna. Poco prima avevo visto un compagno di classe sputare nel cestino dei rifiuti una pallina rosa. Decisi che quello era il momento buono e mi mossi fulminea: feci finta di avvicinare la matita al temperino che invece lasciai cadere nel cestino. Mi chinai a raccoglierlo e con esso afferrai anche la pallina già masticata. Temperai come di dovere e, tornando al mio posto, mi procurai di addentare il succulento reperto e di assaporare ciò che era rimasto del gusto dolce e fruttato. Era buona.
Lo stesso feci qualche tempo dopo con i pouf. A me cadeva sempre di tutto. Così una penna mi cadde in terra sotto il banco. Mi chinai e come avevo già osservato, non ancora calpestate, giacevano lì le palline giallognole al sapore di formaggio. Ancora chinata ne ingurgitai una manciata. Erano buone.
Per la cartella andò così: una bimba, un giorno di catechismo, ne aveva lasciata incustodita in Chiesa una della Barbie. La presi e pensai: ‘a volte bisogna sapersi accontentare: grazie Signore’. Non mi diedi pena: era la figlia del dottor Murgia una scema tutta moine e piena di nastri colorati come il padre era pieno di soldi!
Fu così che mi feci gli anticorpi. E ne ringrazio Iddio ogni sera.

La piccola fiammiferaia

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