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Breve saggio di meccanica quantistica (prima parte)

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Breve saggio di
Meccanica Quantistica
(prima parte)

Premessa

L’idea e l’occasione di scrivere questo breve saggio mi è stata data solo qualche giorno fa da una mia corrispondente. Le avevo accennato in una precedente lettera al mio interesse per la fisica quantistica e lei mi ha invitato a spiegarle per sommi capi di cosa si tratti, cosa che mi accingo dunque a fare in questa forma.
La meccanica quantistica è uno dei campi più affascinanti ma allo stesso tempo più difficili di tutta la fisica moderna. Essendo scritto da un semplice appassionato della materia, che non ha altra preparazione specifica al di là poca fisica studiata alle superiori, questo lavoro è indirizzato esclusivamente ad altri appassionati: non ho ne’ i mezzi ne’ l’intenzione di addentrarmi nei meandri matematici della teoria, della quale cercherò di evidenziare invece solo gli aspetti più insoliti e le linee fondamentali tramite un approccio esclusivamente discorsivo. Sarà mia cura includere al termine una bibliografia essenziale per chi sia intenzionato ad approfondire gli argomenti trattati.

Introduzione storica
La meccanica quantistica nasce all’inizio del XX secolo grazie all’ingegno di scienziati del calibro di Planck, Schrödinger, de Broglie e Bohr: anche Einstein, che passerà alla storia piuttosto per la sua nota teoria della relatività, contribuirà in parte allo sviluppo della teoria, della quale però più tardi non riuscirà mai ad accettare le implicazioni più profonde e rivoluzionarie (in riferimento al probabilismo che contraddistingue l’intero impianto della fisica dei quanti avrà a pronunciare la famosa frase "Dio non gioca a dadi").
Tutto prende le mosse dal tentativo di risolvere un apparente paradosso della fisica dell’epoca, dovuto all’emissione di onde elettromagnetiche da parte di un corpo quale un forno. Seguendo le teorie riconosciute valide, un simile corpo avrebbe propagato durante il proprio riscaldamento onde in ogni lunghezza e frequenza possibile, la cui energia sarebbe andata aumentando proporzionalmente a quest’ultima. Facendo i conti risultava però che tale forno avrebbe pertanto emesso una quantità infinita d’energia, perché infinite sono le lunghezze d’onda che si possono generare tra le sue pareti interne ed ognuna di esse porta un contributo al totale dell’energia emessa, per quanto piccolo: la somma di un numero infinito di addendi, qualunque sia la loro dimensione numerica, porta comunque ad un risultato infinito. Questo calcolo era però in evidente contraddizione con l’osservazione e con la logica, dato che nessun forno (e nessun altro oggetto, se è per questo) emette mai una quantità infinita d’energia: l’emergere di infiniti all’interno di una teoria fisica è sempre sintomo di qualche sua lacuna.
Questa contraddizione portò Planck ad ipotizzare nel 1900 che non tutte le lunghezze d’onda siano in realtà possibili: solo alcune particolari configurazioni energetiche si verificano effettivamente, e pertanto l’energia totale emessa dal corpo è pari alla somma delle sole onde permesse. Questo costituisce un grande passo avanti, in quanto elimina l’infinito di cui parlavamo più sopra.
Secondo Planck perciò la distribuzione delle onde possibili non è continua ma discreta, ovvero esse non si dispongono senza soluzione di continuità lungo lo spettro delle energie possibili ma si posizionano solo in corrispondenza di determinati punti, corrispondenti a precise lunghezze d’onda e frequenze.
Ad integrazione di questo studio arrivò in seguito un lavoro di Einstein del 1905 sui fotoni (le particelle elettromagnetiche responsabili tra l’altro della trasmissione delle immagini dagli oggetti alla retina), il quale determinò che l’energia associata ad un flusso di tali particelle segue anch’essa schemi ben precisi, e può aumentare o diminuire solo in quantità fisse. Tali pacchetti di energia furono definiti quanti, e da questi prese il nome la teoria che a quel punto stava andando formandosi. Einstein concludeva ipotizzando che l’energia associata ai fotoni fosse direttamente proporzionale alla loro lunghezza d’onda.
A questo punto cominciava a delinearsi chiaramente un quesito: i fotoni sono particelle singolarmente individuate oppure onde? E’ qui che la fisica quantistica comincia ad offrire risposte interessanti ma anche ad allontanarsi di pari passo da quello che siamo soliti indicare come "senso comune"…
Esperimenti condotti su un fascio di fotoni (su cui ci si soffermerà più diffusamente nel capitolo riguardante il dualismo onda-particella) dimostrarono infatti che essi si comportano alternativamente come un flusso di particelle e come un onda, al punto che si riconosce ad essi questa natura duale senza che una prevalga definitivamente sull’altra. L’idea venne presto estesa anche ad altre particelle elementari, fino a quando Schrödinger non propose nel 1927 la cosiddetta funzione d’onda che prenderà poi il suo nome (anche se su questa questione lavorarono ed ottennero risultati assai significativi anche de Broglie e Born): stando a questa interpretazione, non solo ad ogni particella microscopica ma ad ogni corpo fisico è associata un’onda. Tutti i corpi, anche quelli all’apparenza più solidi, sono in realtà descrivibili anche in termini di onde!
Ma di che onde stiamo parlando esattamente? Di onde probabilistiche, indicanti ovvero la probabilità di trovare la particella in una posizione piuttosto che in un’altra. La certezza è bandita dalla meccanica quantistica, o per meglio dire noi non possiamo sperare di raggiungere alcun risultato certo a meno di non modificare radicalmente ciò che stiamo osservando. Il principio di indeterminazione di Heisenberg, risalente sempre al 1927, ci insegna infatti che più cerchiamo di conoscere la posizione di una particella, più disturberemo il suo moto e quindi meno riusciremo ad avere informazioni su di esso: viceversa, se ci limitiamo a determinare con precisione le caratteristiche del suo moto, la posizione effettiva della particella rimarrà per noi insondabile. Non siamo nella condizione di ottenere tutta l’informazione possibile sull’oggetto in questione, per quanto siano accurati i nostri tentativi: anzi, più precisamente misuriamo un parametro, più rendiamo incerta la rilevazione dell’altro. La coperta è sempre troppo corta.
A questo punto il quadro teorico generale della meccanica quantistica poté dirsi sostanzialmente completo. In meno di trent’anni non si era solo scosso l’edificio della fisica tradizionale (in virtù anche del lavoro di Einstein sulla relatività), ma si erano levati profondi interrogativi sulla natura ultima del mondo che ci circonda e sulle nostre pretese di arrivare ad una sua completa conoscenza.

Continua…

Fabrizio Claudio Marcon

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