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Nostalgia dell’agonismo perduto

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Nostalgia dell’agonismo perduto

Prendete un qualsiasi dizionario della lingua italiana e apritelo alla voce "Sport". Quella che vi troverete sotto gli occhi sarà una definizione del tipo "Ogni sorta di divertimento in cui vi sia esercizio del corpo". Non è certamente azzardato affermare che praticamente tutti conoscono il significato del termine "divertimento", che ha per suoi sinonimi "spasso", "svago", "gioco", "passatempo". Ma nel mondo del calcio qualcuno, anzi i più, sembra averlo dimenticato. Già, perché quel qualcuno si è arrogato presuntuosamente il diritto di cambiare l’antica etimologia della lingua italiana e così pare che "divertimento" e "sport" siano divenuti improvvisamente sinonimi di "violenza", "aggressività", "abuso", "prepotenza" e "violazione". Eclatante e clamoroso è stato, lo scorso 19 novembre, il caso del derby Como-Modena, in occasione del quale Massimiliano Ferrigno ha ridotto in fin di vita l’avversario gialloblù Francesco Bertolotti, picchiandolo negli spogliatoi a partita conclusa.
Va bene che a fare da parte integrante delle competizioni sportive è l’agonismo e va bene che il motto "l’importante è partecipare" è quasi sempre rimpiazzato, anche per istigazione degli allenatori, se non con un eccessivamente bellicoso "l’importante è vincere", quanto meno con il competitivo "meglio vincere che perdere"; ma cosa accade quando gli atti di violenza oltrepassano di gran lunga la giustificazione dell’agonismo? E soprattutto, cosa spinge gli uomini a portare in campo pregiudizi razziali, motivazioni religiose, odi e intolleranze partigiane, conducendoli a vedere come unica soluzione i pugni e le percosse?
L’integrazione europea, e soprattutto l’ipertecnologia di questo nuovo Millennio, avrebbero dovuto nell’opinione comune significare maggiore civiltà, e invece sembra che più il tempo passa, più facciamo ritorno, come per indole naturale e incontrollabile, ai primordiali istinti. La differenza è che la storia ci insegna che gli uomini dell’antichità dovevano lottare per la sopravvivenza, perché procurarsi il cibo e una dimora non era affatto cosa facile. Noi, al contrario, per cosa lottiamo? Per ideali e valori che non hanno alle spalle una struttura solida, che anzi da ideali e valori veri, quelli degni di dar vita a una salda ed emulabile morale, sono lontani anni luce.
Alla sola vista di un pallone, non appena l’arbitro fischia l’inizio dell’incontro, ecco che sulle gradinate il pubblico inizia a produrre litri di adrenalina, pronto a inveire contro il vicino, seppure sconosciuto, al solo udire una parola di incoraggiamento per la squadra avversaria, a versare sangue per difendere i colori di quegli undici giocatori in campo, dimentico del fatto che, se anche veramente procurasse gravi danni alla sua vita in loro difesa, per la squadra del cuore resterebbe comunque un perfetto sconosciuto il cui ricordo si perderebbe quasi immediatamente nel nulla.
Certo gli ideali e le passioni aiutano a vivere, questo nessuno lo nega, ma le domeniche pomeriggio dovrebbero trascorrere in allegria. Ben vengano i fischi e le urla di incitamento o imprecazione, ben vengano gli scambi animati di opinioni divergenti tra sostenitori di squadre avversarie, e ben accetta può essere la delusione di una sconfitta… Ma quello che dovrebbe accadere è che il pubblico esca dagli stadi col calore e la soddisfazione di un pomeriggio di sano divertimento, mentre da parte loro i giocatori dovrebbero concludere ogni incontro felici della vittoria o leggermente amareggiati per la sconfitta, in ogni caso sempre fieri per aver fatto del loro meglio, per aver gareggiato con l’anima e lo spirito del vero sportivo.
Ma forse quello che stiamo perdendo è proprio il vero senso sportivo, quello spirito agonistico che gli atleti antichi ci hanno insegnato, agonismo che è competizione pacifica, non accanimento e aggressività. E del resto provate a pensarvi quando rincuorate un parente, un amico o un conoscente colpito da una qualche più o meno lieve sventura; tutti nella maggior parte dei casi esordite con un "Avanti, prendila sportivamente!". E quello "sportivamente" non significa forse "lealmente", "correttamente", "cavallerescamente" e disinvoltamente"?

Francesca Orlando

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