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Cinema italiano: tra documentario e finzione

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Cinema italiano: tra documentario e finzione

Al
Torino film festival, edizione 2000, abbiamo avuto occasione di verificare, ancora una volta, lo stato di salute di certo cinema italiano "giovane", sia in senso anagrafico (con riferimento agli autori) che dal punto di vista delle modalità di racconto e dei temi trattati.
Il cinema di finzione, con storie spesso sospese tra passato e presente, sembra appassionarsi alla rappresentazione di quei soggetti che sono più marginali, per scelta, vocazione o destino, tra le figure del nostro panorama sociale, e delle storie di incontri con lo "straniero" da noi: e questo anche a livello di grosso successo di pubblico, basti pensare al caso di Pane e tulipani. E’ come se le figure sociali più centrali nella nostra società venissero rappresentate solo dalla e nella televisione – quiz, reality shows – e dal cinema per la televisione: medici, commesse,…
A Torino abbiamo visto l’ultimo film di Corso Salani, Occidente, di cui sono protagonisti una
ragazza rumena immigrata ad Aviano (lembo d’Italia quasi americano per la presenza della base militare Nato), che si aggrappa al suo passato per tirare avanti, in un presente che ha deluso le sue speranze per il futuro; ed un professore di inglese fuori sede (lo stesso Salani), figura anch’essa abbastanza marginale nel nord-est delle piccole imprese e delle partite iva, affascinato dallo sguardo inquieto della ragazza, con cui non riesce però a comunicare e ad entrare in rapporto: questa irresolutezza sembra contagiare anche il film, in certi momenti.
In un altro lavoro di un giovane autore italiano, La precisione del caso di Cesare Cicardini, c’è un incontro tra un ragazzo ventenne – che si mette in viaggio alla ricerca di una vita non già predeterminata – e una migrante dall’est che, insieme ad altri personaggi un po’ irregolari a loro modo, rappresenta il suo unico vero contatto umano, tra ansie di fuga alla Salvatores, verso esotismi più ravvicinati (la costa adriatica, fuori stagione), ricerca di qualcosa di indefinito e mutazioni di pelle, indossando le vite di altri.
Il documentario è oggi l’aspetto forse più interessante della produzione cinematografica italiana, spazio di ricerca dove si sperimenta, si guarda al passato per comprendere meglio il presente e gettare dei ponti verso il futuro.
In particolare, sembra essere il recupero della memoria storica di un impegno politico sociale dei decenni scorsi uno temi più ricorrenti, tra i lavori visti a Torino ed in altri festival recenti.
Sirena operaia, di
Gianfranco Pannone4 racconta le lotte operaie degli anni 60 e 70, l’autunno caldo, attraverso il ricordo affettuoso ed ironico di un sindacalista Cgil: in quegli anni, gli operai sembrano riuscire a modificare quella che veniva detta una democrazia a metà, che non garantiva a tutti i suoi cittadini uguali diritti e dignità.
Arriva poi il 1980, i 35 giorni di lotta alla Fiat, spartiacque di una stagione del nostro paese: i vincitori (padroni e dirigenti e quadri dalla loro parte) si prendono tutto, per gli operai non sembra esserci più posto, sono destinati a sparire, a non essere più visibili, a perdere il terreno conquistato con anni e anni di battaglie. Oggi se ne ritorna a parlare, per recuperare la memoria rimossa dai vincitori e da una parte dei vinti (partiti della sinistra e sindacati), desiderosi di passare oltre e dimostrare di essere diventati finalmente moderni e affidabili.
Guido Chiesa3 (insieme a Daniele Vicari) aveva presentato proprio a Torino l’anno passato (e al fiorentino Festival dei popoli quest’anno) il suo Non mi basta mai, che racconta quella storia attraverso le testimonianze di cinque ex operai, che non si sono arresi al pessimismo e alle inutili rievocazioni nostalgiche.
Quest’anno le immagini eretiche di quei giorni sono tornate a Torino con il film Fiat, autunno 80 di Pierfranco Milanese e Pietro Perotti, sorta di Heimat operaia ed atto di giustizia verso la memoria rimossa, da far conoscere ai ragazzi di oggi (lavoratori interinali, part time, para subordinati,…) che spesso devono ripartire daccapo per ottenere quei diritti per cui hanno lottato anche le generazioni passate.

Paolo Baldi

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Ancora lui. Ne abbiamo già parlato, ne parliamo anche questo mese.

4
E’ quello raffigurato sotto questo articolo.

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