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Bambine e babbione

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Bambine e babbione

Le sei di mattina. Capitava sempre più spesso di svegliarsi a quell’ora. Avrebbe dovuto fare qualcosa. Ma cosa? alzarsi, la soluzione migliore. Una doccia bollente, la prima edizione del telegiornale. Il satellite, immagini notturne della CNN. Dodici anni, dovevano essere passati dal soggiorno londinese. Tutto, capiva ancora perfettamente.
Si fece l’ora di uscire, come sempre, quaranta minuti per andare al lavoro.

Quattro anni che conduceva un’esistenza normale. Quattro anni che si riservava il benessere di una piccola quotidianità. Non ne era felice, come aveva fatto a ridursi in quel modo? Ritornava a casa tutte le sere, da dove? e la mattina era già arrivata.
Era stato con Anna, per qualche tempo. Una storia normale, che non era mai finita per non essere mai iniziata. Senza parole, una vignetta da settimana enigmistica. Nemmeno uno sguardo e si erano trovati tra le lenzuola. Né prima, né dopo. Avevano anche riso, il giorno seguente. Non si era fatta più vedere, un mattino di tre anni più tardi. Si ricordava di lui? le capitava di pensarlo? se lo era chiesto una marea di volte. Anche adesso, se lo stava chiedendo.
Stava per sposarsi, quando la rivide. Doveva essere la seconda volta che lo faceva.
Con un materasso di sesso.

Compose un numero che ricordava a memoria, la segretaria dell’ing. Vandelli arrivava sempre per prima, "dica all’ingegnere che non sarò in ufficio, ho 38 di febbre". Ascoltò paziente le raccomandazioni della segretaria: un latte caldo e sotto le coperte. Appese il ricevitore, fuori doveva essere una bella giornata.

A volte gli capitava di fermarsi allo specchio, immaginava che un giorno non avrebbe avuto nemmeno il benessere della sua giovinezza. Si domandava sempre più spesso se quel giorno fosse già arrivato.
Fermò la sua auto nel parcheggio del più vicino centro commerciale. Aveva bisogno di musica e di qualche libro. Leggere lo aveva sempre imbarazzato, stare bene, tanto bene, con un oggetto tra le mani. Si decise velocemente per un paio di tascabili. Fu più complicato con la musica. Complessi, una miriade di cui non sospettava nemmeno l’esistenza. Troppo depresso per affrontare la classica, si lasciò convincere dagli autori con cui era cresciuto.
Recuperò l’uscita con una certa soddisfazione. Era ancora una bella giornata, fuori. Sarebbe stato meglio controllare le gomme, prima di partire.

Il sabato era il giorno più lungo. Si svegliava presto, senza sapere cosa fare. Cosa fare? nulla di particolare, non aveva voglia di vedere nessuno. Le ore scivolavano via e si scopriva a rimpiangere la frenetica attività di un lavoro che detestava.
Qualche volta, la sera, gli capitava di uscire con un amico, con un qualcuno a cui non aveva nulla di importante da dire.

Guidò per tutta la giornata. Non pensava a niente, non voleva pensare a nulla.
Era buio quando fermò l’auto lungo uno dei canali di Amsterdam. Più del previsto, impiegò per ritrovare l’albergo dove aveva dormito parecchi anni prima. Era stanco, troppo stanco, sarebbe stato più saggio prendere l’aereo. Il padrone era sempre lo stesso, negli anni sessanta avevano girato un film con Anthony Perkins, ricordava a tutti i clienti. Sorrise, si fece preparare la camera del film.
Dalle sette alle nove, la colazione.

Rimase per un po’ a fissare il canale ghiacciato. Gli sembrava di aver gettato via tanto tempo, di non aver combinato nulla di buono. Si sorprese persino per tutta quella tristezza. Qualcosa, un cazzo di qualcosa era entrato nella sua testa, gli aveva fatto dimenticare le sue emozioni.
Il suo sguardo incrociò i caratteri della radiosveglia: undici del mattino. Aveva fame, si era accontentato di un boccone in Germania, il giorno prima. Di cibo non capiva un fico di niente. Gli era sempre piaciuto, mangiare in Germania.
Si vestì rapidamente, voleva raggiungere il centro.

Le strade erano affollate, la gente sceglieva i regali per l’imminente Natale. Pensò che sarebbe stato carino comprare qualcosa per Anna. Anna era sposata, non ricordava? meglio non creare situazione imbarazzanti.
Era così bello essere lì, ad Amsterdam, a metà dicembre senza nulla da fare. Si chiese cosa si mangiava in quel posto, era sempre venuto a combinare altre cose. Troppa fame, si fermò nel primo fast-food.

Camminò per tutta la giornata, finendo sempre negli stessi posti. Ogni volta prendeva direzioni diverse, ripercorrendo tragitti dettati dalla memoria. Entrò in qualche negozio, si lasciò convincere da una camicia e da un paio di scarpe sportive. Non fu difficile, per Anna comprò un maglione striato di rosa. Pensò di ritornare nella zona rossa, più di una volta, ma gli sembrò troppo presto per tentare la sorte.
Era quasi buio quando si fermò su una panchina in piazza dell’università. Faceva freddo per leggere uno dei tascabili. Troppo freddo, mentre ragazzi e ragazze continuavano a passare sulle loro biciclette. Da qualche parte sentiva che avrebbe dovuto fare qualcosa, che cosa? prima che fosse irremidiabilmente troppo tardi. Assolutamente fermare quello che stava accadendo.
Tornando verso l’albergo si fermò in un coffee shop. Anni che non fumava, aspettò il tepore della sua camera per recuperare l’ennesima soddisfazione di quella vacanza.

Anche la mattina seguente si svegliò alle undici. Gli sembrò uno stramaledettisimo buon segno. Preparò il suo zaino, pagò la pensione, si fece indicare un posto dove lasciare la sua auto. Non era lontano. Dal parcheggio camminò per strade secondarie fino al porto. Fu molto semplice comprare un biglietto per Londra. Ci sarebbero volute un paio di ore più dell’aereo, ma non gli importava.
Aveva abbastanza soldi per rimanere un paio di settimane, qualche giorno di meno se si fosse concesso qualche piccolo lusso. Sperava che Londra non fosse cambiata, aveva contato almeno quindici posti che desiderava rivedere. Si ricordava di tutte le persone che aveva conosciuto, delle persone con cui aveva vissuto. Con tutta probabilità non le avrebbe mai più riviste.

Durante il viaggio continuò a domandarsi cosa aveva sbagliato per tutto quel tempo, come aveva potuto permettersi di ridursi così.



Modena, 16 gennaio 1999

Raffaele Gambigliani Zoccoli

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