KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Il pensatore

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Il pensatore

Giacca. Cravatta. Orologio al polso. Sono le sette e trenta, sono in ritardo. Mi chiudo alle spalle la porta di casa e mi butto nel traffico.
Semaforo rosso, sono in coda. Un marocchino sta passando tra le auto con il suo cappello a chiedere qualche soldo. Si trova qui tutte le mattine e come sempre si sta avvicinando alla mia Fiat. E’ due auto avanti a me, un auto, abbasso il finestrino, ho la mano colma di monete. L’uomo e’ di fronte a me, allungo il braccio, ma lui mi salta, non mi guarda, come se non esistessi. Bastardo!
Il semaforo e’ verde. Le auto si muovono. Sono arrivato in ufficio.
"Buongiorno signor Mestizi."
"Salve!"
"Ho preparato del caffè, ne vuole?"
"No, grazie."
"Stamani sul giornale ho letto che per la notte di San Silvestro ci sarà una fantastica festa che riunirà tutta la città."
"E chi se ne frega."
"Io credo di andare. Perché non mi accompagna? Portiamo un paio di bottiglie di spumante…"
"Non rompa Tripudi!"
"Lei e’ veramente un uomo dal carattere forte. Mi e’ proprio simpatico."
Apro il primo cassetto in alto della mia scrivania: conti, conti, conti, conti…al diavolo.
Sono stanco. E’ un lavoro inutile.
"Tripudi!"
"Mi dica Fausto? La posso chiamare col nome di battesimo, vero? Dopo tutti questi anni nello stesso ufficio…"
"No!"
"Oh, bene. Dimmi."
"Niente Tripudi. Va all’inferno!"
E’ meglio alzarsi e uscire.
"Se ne va di già Fausto?’
"Siii…"
"Se si sente indisposto potrei finire io il suo lavoro?!"
"Senta Tripudi lei mi ha scocciato con tutto questo entusiasmo per questo lavoro inutile e poco remunerato, oltretutto. Mi spieghi una cosa: per chi svolgiamo queste pratiche? A chi servono? Nessuno. Non esiste nessuno che parli con noi tranne noi stessi. Perché diavolo e’ contento?…e si tolga quel dannato sorriso stampato sul volto!"
"Fausto siediti. Sei nervoso. Tutti nel periodo delle festività sono nervosi: la corsa ai regali gli ultimi giorni, la preparazione del cenone, il lavoro da finire, non preoccuparti tra poco ci mandano in vacanza e vedrai che assieme alla tua famiglia passerai un Natale indimenticabile."
Lo devo fare. Gli devo dare un diretto ben piazzato in pieno muso. Carico il braccio tirando indietro il gomito come fosse una balestra, serro la mano a pugno e parto veloce e incazzato. Sento la rabbia concentrarsi nella spalla, passare per il braccio fino ad arrivare alla mano chiusa che sta per sferrarsi contro quell’odioso pupazzo parlante.
"No, no. Aspetti Fausto! Parliamone…"
Ho quasi raggiunto il bersaglio, quando lo vedo abbassarsi, schiva. Pieno centro sul colletto bianco alle sue spalle.
L’uomo dondola, prima su un piede poi sull’altro, infine cade gettando all’aria decine di fogli.
Rimango un paio di minuti a fissare il suo corpo disteso a terra, inerme, come se lo avessi ucciso, mi asciugo il sudore dalla fronte e mi avvicino per soccorrerlo.

"Mi dispiace! Sul serio mi dispiace tanto!…Ha bisogno d’aiuto?" Nessuna risposta.
"Ehi. Amico! Hai bisogno d’aiuto?"
L’uomo si alza ancora stordito, gli sanguina un occhio, ma sembra non curarsene. Si sistema il nodo alla cravatta, raccoglie i fogli e continua meccanico verso la scrivania col nome Giorgio Bianchi.
"Ho creduto…per un momento ho creduto che…almeno lui…"
"Fausto. Fausto. Fausto. Hai bisogno di una bella camomilla. Siediti comodo sulla mia poltroncina che te la vado a prendere"
"Cazzo, Tripudi. Perché non se ne va ‘affanculo! So io dove mettertela quella camomilla!"
"Ah!…Anche queste sono gioie della vita: sfogarsi col tuo migliore amico, anche in modo violento, senza preservare rancore…Ti voglio bene Fausto!"
Sta avanzando verso di me con le braccia aperte e quel fastidioso perseverante sorriso. Ha le mani quasi sulle mie spalle, sembra voglia addirittura baciarmi.
"Ma spostati!" gli urlo mentre lo spingo indietro e con uno scatto che non si addice alla mia età esco di fretta da quel maledetto ufficio.
Lascio l’auto parcheggiata e m’incammino per questa città indifferente.
Fa freddo da morire. Morire. Dovrei pensare a morie, ma forse sono già arrivato.
Mi dirigo verso il centro, dove la città e’ riempita di luci, la gente frenetica, stipata nei negozi, nelle strade e negl’autobus.
La vedo ridere, consultarsi, ma non la sento.
Metto le mani sotto le ascelle per scaldarle un po’ di più. Cammino lento, controcorrente. Le persone mi spintonano fanno gesti con le mani. Cerco di provocarli, ma si ostinano a non guardarmi.
C’e’ un’anziana donna, in fondo alla via: capelli bianchi, abbigliamento vagamente tirolese, sguardo vuoto. Cerca di raccogliere qualche soldo suonando il sax.
Posso solo immaginare le danzanti note che ne escono. Le vedo uscire, fluttuare nell’aria, emanare sentimenti profumati, solleticarmi l’udito ed infine sovrastare delicatamente la mia testa bagnandola di solitudine.
Nessun’altro se ne accorge. Le passano davanti come ad un vecchio monumento, giusto i piccioni se ne potrebbero interessare.
Rimango seduto accanto a lei per ore, fissando inebetito quei suoi occhi spenti, portati al sorriso grazie alle gonfie guance riempite d’aria. Rimango li per ore, nel silenzio più assoluto.
Mi accorgo di essermi addormentato soltanto quando, a causa del freddo, non avverto più la gamba sinistra.
Mi metto in posizione eretta e batto i piedi a terra, con forza, per far circolare di nuovo il sangue. Sento la faccia come fosse di marmo: fredda e rigida.
La donna se n’e’ andata, a dirla tutta la piazza e’ quasi deserta. Dev’essere ora di cena. Torno a casa.
Apro la porta del mio appartamento, un ristorante tepore mi avvolge. C’e’ odore di stufato, dev’esserci anche un dolce.
Appendo il cappotto umido, cambio le scarpe, mi dirigo in salotto per la mia cena famigliare, contento di essere tornato anche oggi.
Marta e Luca sono seduti a tavola, li vedo riflessi nello specchio del corridoio. Lei e’ affascinante, da sempre.
"Ciao. Sono a casa." E’ una frase istintiva.
"Oggi il lavoro non e’ stato un granché…per fortuna che ho voi." Mi chino e do’ un bacio sulla testa a Luca.
"Chissà come sei bravo a scuola…"
"Hai preparato un dolce, vero cara?" la guardo ammirato. "Crostata! Mele o cioccolato? Mele, scommetto e’ la mia preferita!"
Sto per sedermi a tavola, ma e’ preparata per due. Niente piatto, per me.
Abbasso lo sguardo, strascico i piedi sino alla cucina. Armadietto: pane. Frigorifero: formaggio e insalata. Ripiano bibite: birra.
Mi sdraio sul lato freddo del letto matrimoniale, morsico il panino, guardo il soffitto, penso e sprofondo nel sonno.

Giacca. Cravatta. Stamattina devo prendere la metropolitana.
Un vortice di gente mi assale, mi trascina quasi contro la mia volontà sulle carrozze sotterranee.
Cinque fermate e sono arrivato. Tre fermate. Un gruppo di persone scende, mi spinge vorticosamente all’esterno.
"Macchéffate!?" La metropolitana riparte. Vado a piedi.
L’ufficio non e’ troppo lontano, ma stamattina sono particolarmente nervoso. Non sopporto più questo silenzio.
"Fausto! Bentornato. Stamani la vedo molto meglio. Dormito bene?"
"Già al lavoro, eh?"
"Sa, avevo delle pratiche da finire, cosi stamattina presto presto sono venuto in ufficio."
"Lei mi fa proprio venire la nausea."
"Forse ha mangiato pesante ieri sera ed e’ andato a dormire senza aver digerito."
"Forse sua madre non aveva digerito quando ha messo al mondo lei caro…com’e’ il suo nome di battesimo?"
"Sono lieto che finalmente stiamo diventando amici. Io l’ho sempre ammirata, guardavo il suo lavoro tenace e diligente, impeccabile. Cosi dissi un giorno a mia madre…"
"Il nome di battesimo…!"
"…Sono cosi emozionato…"
"E’ soltanto un nome."
"Certo. ma lei…"
"Tripudi lasci perdere. Avanza il suo cognome. Glielo garantisco…"
"Gaudenzio."
"Cosa?!"
"Il mio nome. E’ Gaudenzio."
"Ma e’ assurdo!"
"Cosa?"
"Perfino il suo nome mi fa incazzare."
"Ne sono felice. Anche tu provi qualcosa per me."
"Cosa vuoi dire Tripudi?"
"Oh…no, no…non fraintendermi…anche se…dicevo come amici che si confidano."
"Vuole forse dire come uniche persone che possono parlarsi. Perché se dipendesse dalla mia sola volontà il suo nome capeggerebbe s’una lastra di marmo. Adesso zitto che ho il mal di testa."
"Va bene."
"Zitto!" Controllo gli schedari: pieni di lavoro. Lavoro da finire per oggi, domani e’ vacanza. Come passava le vacanze Robinson Crusoe? Come si salvo’ da quell’isola? Come riuscì a comunicare con Venerdì? In questo momento vorrei essere Defoe. In questo momento vorrei essere…mi fa senso solo pensarlo…Tripudi. Che schifo.
"Tripudi lei ha mai pensato di diventare qualcun’altro?"
"Certo che no. Ah…aspetti. Tranne quel divo della tv, quello bello, che presenta?…"
"Si va bene, lasci stare." Perché gliel’ho chiesto? Mi sento cosi male… Inutile. Solo, e questo mal di testa si fa sempre più forte.
"Credi in Dio, Fausto?"
"Ma mi faccia il piacere. Che stronzate sono?"
"Sai, Lui e’ la nostra salvezza" Ci mancava solo questo.
"Vado a pranzo. Arrivederci."
La mia assenza dura non più di trenta minuti, ma al mio ritorno lui e’ ancora alla sua maledetta scrivania, con quel maledetto sorriso, con quella sua stomachevole gentilezza.
"Scommetto che il pranzo lei se lo e’ portato da casa e lo consuma sul posto per non perdere tempo?"
"Certo!"
"Gliel’ho prepara sua moglie?"
"Certo che no. Come potrebbe…E poi non sono neanche sposato. Vivo da solo io, da quando e’ morta la mamma."
"Insomma: lei non ha nessuno a casa, non ha hobbies, si alza all’alba per venire in ufficio a fare uno schifo di lavoro," cominciavo ad usare un tono aggressivo "può parlare solo con me, e si ostina ad essere sorridente, garbato e rompicoglioni!"
"Se mi permette l’ultima cosa che ha detto, e’ il solo che me l’ha fatta notare."
"Si svegli Tripudi!" Mi pulsa la testa, sudo, mi tremano le mani. "Siamo soli!" L’ho preso per il colletto della camicia e lo sollevo leggermente dalla sedia "Circondati da persone che non ci ascoltano, che non sentiamo. Si muovono comandati, insensibili; io ho paura, non ho più fiducia, non ho ragioni per sorridere" lo scuoto forte con entrambe le mani "voglio andarmene da qui. Da questo ostruzionismo. Come fa a non capire?!" Lo lascio andare a peso morto. Ha ancora il suo stupido sorriso. Si rassetta. Si alza mentre io mi siedo. Si avvicina.
"Fausto, non dovresti pensare cosi tanto. Pensare fa venire le rughe." Si siede accanto a me. Mi cinge le spalle con un braccio. "Non c’e’ niente da capire. C’e’ solo da fare. Porsi domande non ci aiuta. Prenda me come esempio: mi ha visto mai senza questo splendente sorriso? Certo che no. Perché io sono sano, laborioso…ed ho un piccolo segreto."
"Che segreto?"
"Be’, non so…qualcuno potrebbe sentirci."
"Me lo dica! Avanti!"
"Insomma," si guarda in giro. Abbassa la voce "sono in grado di produrre la gioia."
"Perché? Perché? Perché, l’ascolto. Mi domando perché sto qui ancora ad ascoltarla…" Ho il volto tra le mani, tiro i capelli indietro in modo nevrotico "forse perché e’ l’unico che posso ascoltare…"
"Non e’ che devi credermi…pero’ ricordati che sono il tuo migliore amico."
"L’unico amico."
"Che sottigliezze." Sospira. Si fruga nelle tasche, ne estrae un bigliettino rigido. "Questo e’ il mio indirizzo, se avessi bisogno…puoi venire quando vuoi. Domani iniziano le vacanze natalizie, arriva il Gesù Bambino, e ben presto l’anno nuovo. Chissà quante sorprese ci porterà."
"Chissà…!" Aggiungo un gesto con la mano come se stessi mescolando l’aria.
"Bene e adesso di nuovo al lavoro." Mi sono calmato. Mi alzo, mi asciugo il volto con un fazzoletto, mi tolgo la cravatta.
"Non per me." Preparo la borsa. "Ci si vede" E me ne vado.
Recupero l’auto che avevo lasciato il giorno prima. Deposito la borsa sul sedile posteriore. Metto in moto. Accendo la radio. Maneggio con il pulsante per cercare le stazioni: nessuna voce, nessuna musica. Le lucine dei comandi sono accese, i pulsanti scorrono perfettamente: nessuna voce, nessuna musica. "Maledizione!" Do’ un colpo secco e deciso sul frontalino. Non serve. E’ tutto inutile. Entro nel primo negozio di liquori che incontro: lascio i soldi sul banco per le mie sei birre. Quando arrivo a casa sono già alla terza.
"Marta. Tesoro. Sono tornato." Mi gira la testa. "Vieni che facciamo l’amore." Marta e’ di spalle, prepara l’insalata. Mi avvicino, silenziosamente. "BUH!…" la spingo leggermente "Ti ho fatto paura?" Con la mano destra si scosta i capelli. Taglia le carote. "Marta!" Adesso la guardo negl’occhi tenendole strette le spalle "Io, ti amo" Guarda diritto avanti a se "Marta parlami ti prego…ho bisogno di te." Rimane immobile tra le mie braccia, la bocca socchiusa, le braccia distese lungo il corpo. Guarda avanti a se. "Marta! Cristo. Marta!" Urlo, mi agito, la dimeno. Cerco di svegliarla dalla sua assenza. "Mio Dio, fai che emetta un suono. Un gesto. Ti prego…Marta"
Sto piangendo, allento la presa. Indietreggio. "Perché non puoi sentirmi!?" Sono isterico: tiro calci all’aria, mi strappo i capelli, mi volto. C’e’ un bicchiere: lo scaglio violentemente contro di lei. La manco. La prendo per i capelli, con la bocca sopra i suoi occhi urlo di nuovo il suo nome "Marta!!!"
In cucina entra Luca. Apre il frigorifero, prende il latte. Esce.
Rigidi, immobili, come due statue, ci fronteggiamo. Ho il respiro affannato, le narici dilatate. La mano con la quale la tengo stretta mi sta tremando. Luca torna, per prendere l’insalata.
Un respiro profondo, spezzettato, poi le lascio i capelli. Se li sistema, raccoglie i cocci di vetro. Stringo gl’occhi, li strofino. Esco.
Sono stanco, stordito, ho finito le birre. Giro in auto, senza direzione.
Semaforo rosso. Verde. Rosso. Passa gente. Verde. Rosso. Passano auto. Passa gente. Verde.
La testa mi pesa, mi accosto alla strada. Mi appoggio al finestrino umido per rinfrescarmi. Le auto mi passano vicine, veloci; ognuna rappresenta almeno una persona, una storia: una vacanza, un’amore, un fottuto incidente…ma fuggono, nello stesso momento in cui succedono, svaniscono.
Perché ci hanno messo qui? Lasciandoci crescere da soli, dividendoci tra buoni e cattivi…produttori e consumatori. Mi guardo nello specchio retrovisore, l’immagine più fastidiosa che un uomo possa vedere. Mi scaccio con la mano.
Forse ho ancora qualche soldo per bere, mi perquisisco
. Tasca sinistra: fazzoletto di stoffa, carta di chewing gum, cento…duecento lire. Tasca destra: "Rag. Gaudenzio Tripudi/via Dellerose 5"
Mi e’ rimasto giusto questo. Mi rimetto in corsia, stando attento a non rimanere schiacciato tra due auto. Ci sono luci che lampeggiano, enormi Babbo Natale, draghi, arpie fiammeggianti, cieli caustici, angeli ubriachi…
"Tripudi, apri. Apri bastardo." Schiaccio con forza il campanello del citofono. "So che ci sei. Figlio di puttana" Do un calcio al portone. "APRI!!!" Urlo guardando sopra la mia testa, a pugni chiusi.
"Si? Chi e’?" Si e’ affacciato alla finestra del terzo piano.
"Chi cazzo vuoi che sia. Apri." Do un altro calcio al portone.
"Oh! Caro amico, sei tu. Ben trovato. Ti apro subito." Ritrae il mezzo busto. Il portone scatta, si e’ aperto. Come una furia mi precipito per le scale. Inciampo. Mi rialzo, faccio più forza di prima sulle gambe. Al terzo piano una porta si apre. Sulla soglia lui: giacca da casa, pantofole, l’ignobile sorriso.
"Quale gradita sorpresa." Allarga le braccia per accogliermi. Mi scaravento su di lui, mani al collo, fiato grosso. "Voglio strapparti gl’angoli della bocca, cosi non potrai più sorridere." La mano destra e’ sulla bocca. "Voglio il tuo maledetto sorriso per me. Lo voglio indossare." Siamo a terra: io su di lui. Spingo violentemente i miei pollici contro la sua giugulare. "Voglio sapere quel segreto. Voglio la gioia. Devi dirmelo!" Improvvisamente il buio.
Mi sveglio con il sole nel punto più alto, un forte mal di testa, la gola secca.
"Buongiorno, caro Fausto. Sta meglio stamattina?"
"Che ore sono?…che cosa e’ successo?" Mi siedo sul letto. "…Mi dia qualcosa da bere."
"Colazione pronta: caffè, succo d’arancia, marmellata, acqua, burro e pane tostato."
"Se ci metteva anche una rosa, cominciavo a preoccuparmi…"
"Chessimpatico!"
"Si, si…Prendo solo il caffè e l’acqua. Grazie." Prendo i due bicchieri e mi siedo s’una poltroncina.
"Senta…ieri sera, devo essere stato alquanto sgarbato. Non ero in me…avevo bevuto…"
"Non ti devi scusare con me, Fausto. Io ti capisco…mi sono solo dispiaciuto quando hai cercato di non farmi più respirare…"
"Già!"
"ed anche quando volevi sostituire le nostre bocche…"
"E’ vero anche questo…" Sostituisco il bicchiere dell’acqua con quello del caffè. "Poi cos’altro e’ successo?"
"Oh, niente di particolare: ho dovuto romperti il vaso dei miei finti giacinti in testa. Cosi. Per farti calmare…non sarai in collera con me, vero?"
"No, no. Ha fatto la cosa più giusta. Rischiavo di ucciderla, di non conoscere più quel suo segreto."
"Faauusto. Ancora con questa storia. Ti ho detto che potevo produrla, non che te l’avrei data."
"Cosa!" Balzo in piedi. "Abbiamo parlato tanto di amicizia e adesso mi volti le spalle? Sapevo non c’era da fidarsi di uno con quel nome: Gau-den-zio. BLAH! E’ stomachevole."
"Fausto, mi meraviglio della tua intelligenza. Non voglio darti la gioia per il tuo bene," Si siede al mio posto, accavalla le gambe. "potresti rimetterci la vita."
"La vita?" Inclino la testa mentre gli parlo. "Quale vita? Non ne vedo nessuna in giro."
"Non e’ il momento di ridere." Mi dice improvvisamente serio, sistemandosi la vestaglia.
"Non rido infatti. Voglio quel segreto, voglio la gioia, per qualsiasi prezzo. Sono stanco di perire nella solitudine, di piangere ogni notte per quell’insopportabile silenzio che mi perfora i timpani. Se devo pagare un prezzo, che sia." Finisco in un sorso il caffè ormai freddo, appoggio la tazzina.
"Vedi Fausto…" Tripudi e’ ora accanto alla porta. "…non sono sicuro, che ti gioverebbe…"
"Non m’importa un fico di quello che pensa tu," ho le sopracciglia abbassate, la voce alta, scandisco le parole "o mi dai quel che chiedo o finisco ciò che ho iniziato ieri sera." Il mio sguardo e’ duro "Ci siamo intesi?"
"Se credi di aver deciso…l’unica cosa che ti chiedo in cambio e’ di tenere sempre con te, sin da ora, questa busta indirizzata a mia sorella. Non devi lasciarla mai. E’ l’unica condizione." Me la porge.
"Va bene, basta che s’inizi" Ripongo la busta nella tasca degl’unici pantaloni che possiedo.
"Ci vorranno almeno cinque giorni…"fa il conto con le dita "credo. Lavati che poi s’inizia con una bella gitarella."
"Come?"
"Basta perder tempo! Nell’armadio ci sono scarpe e tuta da ginnastica, indossali e quando sarai pronto raggiungimi in salotto…" e aggiunge in modo eccitato: "…starò facendo le parole crociate."
Non ne capisco il senso, ma eseguo. Doccia, barba, abbigliamento da jogging.
Arriviamo in macchina in un piccolo paese pochi chilometri fuori città, parcheggiamo di fronte ad una trattoria. Appena fuori dalla porta c’e’ un vecchio, sembra faccia la guardia.
"In questo piccolo paese io ci sono nato. Non e’ stupendo?"
"Wow! Una figata!" Tripudi mi guarda con occhi sbarrati. "La sto prendendo per il culo…amico"
"Divertente. Divertente, davvero." Mi da una pacca sulla spalla. "Ma adesso andiamo, il resto sarà ancora più spassoso." Si avvia di gran passo per la campagna. Mi sta distanziando. Una discesa: comincia a correre. "Vieni Fausto. Forza." Ho sempre odiato correre, sin da bambino. Corro.
Arriviamo, dopo buoni quindici minuti, ad uno spiazzo. Mi getto a terra sfinito.
"Cheffai, Fausto? Adesso stretching." E’ in posizione gambe divaricate, piega il busto sino ai piedi, prima a sinistra poi a destra, ancora a sinistra, a destra.
"La ditta prima di assumerla le ha fatto fare un corso di autostima? Io quelle cose non sono in grado di farle e neanche ne ho voglia."
"Forza amico mio, attraverso il benessere fisico si elimina l’ansia." Cambia posizione "E’ il primo passo verso il nostro traguardo." Mi alzo. Faccio ginnastica.
Non parliamo fino a che non ritorniamo al paese, all’imbrunire.
"Cosa ne dici di questa giornata? Splendida vero?"
"Sono a pezzi ed ho fame" Inarco la schiena all’indietro, mi aiuto con le mani.
"Guarda Fausto!" Mi indica la piazza "Una sagra!" Sussulta. "Ci sarà cibo e musica"
"Tripudi…!" Disapprovo, inarco il sopracciglio sinistro. Non posso replicare, siamo già seduti ad un tavolo: uno di fronte all’altro.
"Tripudi." Non risponde. "Tripudi!" Non risponde. "Tripudiii!!"
"Non ti sento, la musica e’ troppo alta, parla più forte!" E sorride. Batte il piede, segue il ritmo.
"Tripudi la smetta…ho fame"
"Mangia la frutta, il pane, bevi il vino sul tavolo. I piaceri semplici hanno lo stesso sapore di quelli raffinati." Adesso dondola anche la testa.

Guardo alla mia sinistra: il vecchio che sedeva fuori dalla trattoria, se ne sta seduto appoggiato al suo bastone. Guarda il fisarmonicista. Guardo a destra: due bambini, vicino a loro il padre, presumo. S’ingozzano di salumi. A fianco di Tripudi: una giovane donna col fidanzato, due anziane comari.
Sbuffo, prendo una mela, la morsico. Ci sono persone che danzano vicino all’orchestra. La mela e’ succosa…anche la seconda…ed il vino rincuorante.
Credo di sentirla anch’io la musica: morbida, frizzante. Cingo le spalle dell’uomo a sinistra. Dondola assieme a me. Alzo il bicchiere.
"Grazie Tripudi."
"Come? Non ti sento!" Tende l’orecchio.
"Ho detto che vado a ballare."

Quando mi sveglio, il mio caro amico, e’ sul terrazzo.
"Perché la trovo sveglio sempre prima di me?"
"Forse perché sono le tre e mezza del pomeriggio." Lascia cadere la testa da un lato mentre lo dice.
"Cosa sta facendo sul terrazzo? Fa freddo."
"Oh. Le mie piante devono comunque bere."
"Piante? Bere?" Non capisco. "Cosa intende dire?"
"Intendo dire che la c’e’ un regalo per te." Mi indica un tavolino.
"Se non sbaglio mi ha indicato il tavolino, ma sul tavolino c’e’ solo una delle sue piante."
"E’ tua adesso. E’ un’altro passo." Si volta, mi penetra con lo sguardo. "I fiori ci assomigliano: ognuno di loro a un nome, invecchiano, si difendono, si evolvono…si riproducono," Mi schiaccia l’occhio. "e poi ci insegnano la bellezza, l’amore, affinano i nostri sensi. Casa credi che chi li ha inventati non ci abbia pensato? Ne vedi pochi in giro perché hanno avuto una pessima pubblicità."
E’ meglio non fare altre domande. Prendo la pianta, la porto in camera mia.
Per tutto il giorno non faccio altro che guardarla, sospirare, parlarle. Mi sembra che l’aria sia più leggera. Mi sembra che entri più luce.
"Lo sa Tripudi: mi sembra diventato troppo saggio. Mi fa paura, ma anche piacere."
"Bene," dice alzandosi "il piacere e’ un principio congenito." Sorride, come sempre. "Buonanotte."

Ci ritroviamo al mattino presto entrambi in cucina a cercare qualche avanzo. Sorride…sorrido.
"Se ti fossi visto adesso, non avresti più bisogno di me." Alza verso lo zigomo un angolo della bocca. "Che ti succede? Non riesci a dormire?"
"A dir la verità ho sognato di morire, e quando mi sono svegliato sono stato a guardare il soffitto e la sua pianta…pensavo che forse dovrei farlo." Guardo a terra, sguardo assente.
"Certo. invece di parlarne tanto dovresti farlo…la morte non e’ altro che la sua assenza."
"…E’ terribile…"
"Non esiste nulla di terribile nella vita per chi davvero sappia che nulla c’e’ da temere nel non vivere più,* l’unica afflizione e’ l’attesa."
"Intendevo dire che e’ terribile come parla."
"Oh, ci ho fatto l’abitudine." Versa del the per due. "Avrei pensato di andare al circo oggi?"
"Posso oppormi?"
"Chiaramente…"
"Allora dico di no."
"Benissimo. Stai pronto per la quattro." Chiaramente.
Il tendone non e’ molto colorato come pensavo, non c’e’ molta gente. Guardo la locandina: non c’e’ la donna cannone. Entriamo.


*da Opere di Epicuro [G.Arrighetti]
Come di rito abbiamo lo zucchero filato, le noccioline, i posti in prima fila.
Il primo numero: i cavalli. Pennacchi colorati, lustrini, piramidi umane.
Secondo numero: i trapezisti. Lei bellissima, si lancia in aria nelle braccia di lui. Senza rete, danzano mani nelle mani. Salto mortale. Doppio salto mortale. Ho finito le noccioline. E’ finito il loro numero.
"Sono stati bravissimi…e’ stata una bella idea venire qui." Sono emozionato. "Forse comincio a capire." Mi agito sul sedile.
"Datti tempo. Hai ancora molto da vedere."
Ad ogni cambio d’artista esce il presentatore. Stavolta non e’ solo. Ci sono i clown: grandi cappelli, grandi scarpe, facce colorate. Il più alto insegue il bassetto che monta s’una bicicletta a una ruota. Il più basso sgattaiola sotto le gambe dello spilungone.
"Sono forti." Sorrido. "mi piacciono un sacco. AH! Ah!" Rido. "Guardi quello spruzza l’acqua da un fiore. Ah! Ah! AH! non mi aveva detto servivano anche a quello. Ah! Ah!" Hanno terminato.
"ED ORA .. …… ….RO, BRI….. . I …. ….I" Sono inchiodato al mio sedile.
"Checcosaadetto?!"
"Chi?…Io? Niente."
"Ehi, non mi prenda in giro. Io ho sentito qualcuno che parlava…io ho sentito il presentatore." Mi ancoro al braccio di Tripudi.
"Stai calmo, perché non vuoi goderti con calma lo spettacolo." Toglie la mia mano dalla sua spalla.
"Tieni altre noccioline…per gli elefanti…adesso tocca a loro."
Usciamo dal circo, altro zucchero filato. Mi sento stanco.
"E’ sicuro che dopo questi cinque giorni…"
"Come ti senti?"
"…Strano…non lo so" Mi gratto la fronte. "Ma cosa stiamo facendo?"
"Quello che tu hai desiderato: producendo la gioia." Mi guarda di traverso. "O no?"
"Certo, certo. Ma lei vive coi beni immortali…mi fa paura…sembra che la sua vita non debba avere mai termine." Lo fisso. Dritto. Negl’occhi.
"Forse perché sono vegetariano." Alza le spalle, si dirige alla macchina. Da domani lo divento anch’io.

Sento puzza di bruciato. Vado in salotto. La stanza e’ pervasa dal fumo. Mi sembra di riconoscere l’odore: tabacco. Filo di fumo iniziale: la poltrona.
"Tripudi, non sapevo fumasse?" Si volta sorpreso.
"Oh… Fausto, mi dispiace…veramente…ho appena iniziato…" Tossisce.
"Farebbe meglio a smettere, finché e’ in tempo." Mi siedo." Io ho lasciato perdere dieci anni fa."
"Perché non ne provi una insieme a me?" Mi porge il pacchetto.
"No, davvero. Ho smesso." Scuoto la testa da sinistra a destra.
Ci divide un mobile. Ce lo appoggia sopra.
"Se cambi idea…" Tripudi tira lunghe boccate, non respira, butta fuori. Ripete.
"Non vede che cosi ci fa soffocare?" Prendo istintivamente in mano le sigarette.
"Scusa, ma ti ho detto che ho appena iniziato." Ripete l’operazione di prima. Ancora. Osservo la sua mano portare il mozzicone acceso alla bocca, stringerlo fra le labbra, respirarlo. Schiudere le labbra, allontanarlo. Attendere. Espellere il fumo…Cedo, ne accendo una.
"Le faccio vedere io come si fa." Come in un rito: estraggo la sigaretta. La batto a filtro rivolto. Passo due dita attorno alla cartina. La posiziono tra le labbra. L’accendo. Respiro.
"Com’e’?" L’amico inclina il busto verso di me.
"BUONA." Rivolgo gl’occhi al cielo. "E’ Proprio buona." Mi sento soddisfatto.
"Te l’ave.. ..tto."
"Come?"
"Dicevo: te ne sei privato per cosi tanto tempo che adesso ne assapori il vero godimento." Ride.
"Ha ragione. Credo che ricomincerò la dipendenza." Mi distendo. Piedi sul mobile, cuscino dietro la testa. Continuo a dare boccate. "Cosa si combina oggi?"
"C’e’ un altro .egal. … .." Chiudo gli occhi. Li riapro.
"Non ho capito." Faccio segno: batto il dito sull’orecchio.
".’e’ .. ..tro regalo … .e." Sorride. Mi indica un pacco.
"Un altro regalo…un altro regalo per me. Certo. Chiaro." Frettoloso, lo scarto. Sorpresa: un cane. Taglia piccola, nero, pelo corto. "Vieni Black…"lo invito a seguirmi. "giochiamo." Scodinzola. Morsica. "Grazie. E’ stupendo…non so come ringraziarla per tutto questo"
"..ai ..a’ ..endo ……..za"
"Certo…Grazie ancora." Invito il cane a seguirmi. "Vieni Black, si mangia."
La pianta, il cane, la foto della mia famiglia, che ho trovato in stanza, mi tengono occupato tutto il giorno. Esco dal mio rifugio per cena.
"Caro ……, ….?" Tripudi e’ davanti a me, sorride…credo.
"Anche a lei. Il cane deve mangiare e poi vorrei uscire…Qualche idea?"
"Spera.. .. ….dare la ..!?" Si siede sul divano, mi indica il telecomando. Mi siedo accanto a lui.
"Scelgo io il programma…se permette." Approva: mi fa cenno con la testa. Schiaccio i numeri dei canali rapidamente. Credo di riuscire a sentire delle voci. Ne trovo uno che mi piace, un varietà.
"Questo e’ l’ideale."
"… …de … …..o sen.. ….ro?" Cosa mi stava dicendo?
"Certo, certo." Aveva ragione. "Devo confessarle Tripudi che capisco poco di quel che mi dice"
"… .. …occupi"
"Preoccuparmi, forse? No certo che non mi preoccupo…e di cosa…forte quel tipo…" La tv mi piaceva. "Vieni Black"
"Rico….. .. …te.." Lo guardo. E’ serio. Sorrido. "APPLAUSO. .. ..STRA BALLERINA ….." Applaudo. "ha visto che cosce? Per non parlare del resto…WOW!"
"….. ….." Il posto accanto a me si svuota.
Guardo la tv, bevo birra. Mi addormento sul divano.
"GRANDI SCONTI DA PALPATE. SINO A ESAURIMENTO SCORTE. ACCORRETE."
"Chi e’, cosa succede?" Divano duro: mi sento stropicciato.
"…. ……" Il pupazzo parlante e’ di fronte a me, non parla più…poco male. Cerca di dirmi qualcosa.
"Non ti capisco…non me ne frega niente…Black! Dove sei?" Arriva scodinzolando.
".. .. …. ……, ……. . …."
"Certo, certo. Ma adesso non ho tempo…mi dispiace." Prendo la mia roba, esco da quella casa.

"Giacca. Cravatta, lettera di trasferimento…credo di avere tutto. Mi dispiace un po’ lasciare Fausto, ma d’altronde qui non ho più niente da fare. Bene, le chiavi sono: in questa tasca no, in quest’altra…un cioccolatino con la frase. Mi…addolcisce…la …giornata…Buono. La cartina la’ nel posacenere, il bigliettino e’ di Richard Wagner, dice: la gioia non e’ nelle cose, e’ in noi. Beh, notevole, me la devo annotare."
Barbara Burgio






























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