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Il Kosovo

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Il Kosovo
fa "Komodo" o è "sKomodo"?


Cronaca di un passaggio in Kosovo nel 1989.
La mia vuole essere solo una cronaca già abbozzata da molto tempo e in questi giorni rielaborata. Ho cercato di mantenermi nei termini espressivi che già avevo fissato qualche anno fa senza cedere alla tentazione di esprimere giudizi influenzati dai fatti terribili di oggi.

Qualche anno fa dalla Grecia diretto a Dubrovnik con la moto attraversai tutta l’area attualmente sotto i bombardamenti della Nato.
È un paesaggio che mi si è fissato bene nella mente perché unico nella coerenza di vita con la gente che ci vive schietto e inalterato dal tempo come la sua gente.
Kilometri e kilometri senza incontrare auto. Solo muli e carri trainati da buoi o cavalli. Carri con ancora le ruote di legno rivestite da ferro battuto. Spesso trasportavano fieno o altro dove i bambini giocavano e i vecchi si riposavano dalle fatiche di un’economia che non poteva che esser basata sul lavoro dei campi essendo il panorama completamente privo di costruzioni industriali. I campanili affusolati dei minareti spiccavano un po’ ovunque indicando una prevalenza di cultura musulmana. Le donne coperte in viso lasciavano intravedere sguardi che nulla avevano a che fare con altri che si incontravano nelle strade della vicina Europa.dell’Est.
I covoni tirati su a mano erano anni che non li vedevo più abituato ormai alle balle quadrate o alle ancora più recenti forme cilindriche. A qualche decina di km da Pristina ormai con la riserva agli sgoccioli finalmente un distributore. Uno delle pochissime stazioni di rifornimento probabilmente sufficiente per il traffico locale. Il tipo sul posto riforniva le sporadiche auto non con una pompa ma con una tanica di forse 20 litri munito di un imbuto per un travaso più preciso. Decine e decine di taniche simili vuote o forse piene erano ammucchiate da un lato dello spiazzo adibito a distributore. Lungo le strade di montagna infossate fra gole e precipizi spesso incontravamo gruppi di uomini che lavoravano in miniere.o cave di pietra. Miniere che apparivano chiare per aver sventrato una montagna o spaccato una valle. Si poteva intuire di arrivare nei pressi di una cava perchè qualche kilometro prima il panorama boschivo cominciava ad essere leggermente infarinato da uno strato che copriva ogni cosa sino a che nell’immediata vicinanza della cava la polvere bianca dava l’effetto di uno spettrale paesaggio lunare. Kilometri quadrati di vegetazione boschiva completamente atroffizzata con centinaia di alberi seccati e bruciati dalla condinzione costante dovuta ai lavori di scavo .Gli uomini si riposavano a sedere sul ciglio della strada bianchi come fantasmi con gli sguardi spossati dal duro lavoro e salutavano i pochi turisti di passaggio. Erano con le vesti che ricordavano le movenze del mondo arabo e noi imbragati dentro alla tuta siamo stati in una sosta forse il motivo di discussione per il tempo della pausa lavoro.
Qualche bar si proponeva lungo il percorso con praticamente nulla da scegliere. Qualche cosa di commestibile appariva su di un tavolo dove a decine ronzavano le mosche ed il calore di Ferragosto innalzava l’olezzo a profumi di alimenti forse ancora vagamente commestibili. L’acqua minerale in bottiglia era introvabile i bicchieri in trasparenza lasciavano la sensazione che forse era meglio patire la sete.ma come avrebbe reagito il tipo di là dal bancone ? Probabilmente non avrebbe avuto nessuna reazione meno ne fa e meglio è visto che il locale mi sembrò d’aver capito gestito,come altri da persone stipendiate dallo stato quindi impegnate dal guardarsi bene da incentivare un lavoro che non gli portava che grane.
Poi la sosta a Pristina dove ricordo bene le strade e i tantissimi bambini disseminati a scorazzare e lanciare sassi verso tutto. Una città quasi fantasma dalle finestre con i vetri quasi tutti spaccati. Era tutto dall’aspetto fatiscente abbandonato al degrado e la stessa impressione la ricevevi nel guardare le poche auto, le biciclette, l’asfalto, i lampioni ed i negozi, molti con vetrine vuote o chiusi con spranghe incrociate e inchiodate. specchio di una economia votata alla pura sopravvivenza. La curiosità sfrenata verso turisti in moto da parte della popolazione apparve chiaro segno che Pristina era meta lontana da itinerari di massa. Le domande dei bambini l’insistenza a chiedere e toccare con arroganza tutto quello che avevamo sino quasi a dare l’impressione di voler portarlo via ci fece subito allertare. Presto il cappannello di gente che avevamo attirato si fece prepotente sin da decidere di filarsela a gambe levate con il cuore in gola e con molti ragazzotti che ci rincorreva e ci prendeva a sassate.
Le facce poco rassicuranti e i loro vezzi poco garbati ci fece evitare altre soste se non necessarie in centri abitati, preferendo invece il silenzio maestoso di kilometri di natura praticamente incontaminata fra montagne e gole sotto cui scorrevano impetuosi immacolati torrenti.nel cui letto spesso stavano carcasse di automezzi pesanti automobili o altre ferraglie indefinite.
Poi dopo un divagare forsennato tra tortuose carraie alla ricerca di una improbabile segnaletica che almeno vagamente indicasse la direzione, dall’alto di un dirupo, su strade dagli asfalti sbriciolati a strapiombo su precipizi senza parapetti di alcuna fattura lo spettacolo meraviglioso della baia di Dubrovnik
Il sole rosso si rifletteva su di un mare costellato da frammenti di terra in un tramonto da lasciare senza fiato. Qui sembro’ di entrare in un’altra dimensione.
Dubrovnik fu meta di un soggiorno fantastico, una città dal fascino mistico… poi qualche tempo dopo fu anche lei vittima di una guerra che la sconvolse

Ora è cominciata un’altra guerra che forse c’è sempre stata come molte altre purtroppo sono consumate nel silenzio…. remoti angoli del mondo e di cui non si parla affatto. Oggi è guerra in "Kosovo" all’attenzione del mondo perché occupa le cronache di tutte le ore in parallello con le nostre autostrade piene di vacanzieri di là dall’adriatico. Si consumano colonne di profughi in fuga da morte certa.
Le lacune sulle motivazioni religiose, politiche o economiche e storiche per individuarne le motivazioni sono pesanti e certamente non comprensibili da chi ne vive le conseguenze solo attraverso i "midia". La politica certamente non ha fatto tutto ciò che poteva fare e naturalmente non si è fatto nulla perchè ciò non accadesse. L’America nei panni di "polizia del mondo" si trova bene e l’interesse a mettere in risalto tecnologie avanzate a far lavorare generali e macchine militari è grande per molti. Forse è un buon mezzo per tentare di recuperare un’mmagine un poco sbiadita dalle ultime ridicole vicende sessuali del presidente o nascondere la sporcizia messa sotto il tappeto nella vicenda della funivia italiana di cui siamo vergognosamente vittime come altre storie simili poco chiare del passato come Ustica ma è comunque parte del loro modo di essere. Questo non vuole sminuire forse le buone intenzioni che l’Europa e l’America esprimono con sgradevoli azioni di guerra in contrasto ad un capo di stato slavo che sembra tenere all’oscuro il suo popolo sull’andamento reale dei fatti impegnandosi poi ad accumulare fortune alle spalle di tutti quelli che soffrono.
Guardando i telegiornali la parola Kosovo riempie con pienezza la bocca di tutti. Quando il cronista la pronuncia si alza quasi sulla punta delle dita dei piedi e contorce la bocca da un lato con testa reclina da una parte, lo sguardo verso la telecamera puntato di sbieco con i gomiti rigirati in su e le punta delle dita delle mani affusolate sulla scrivania di vetro a raso lucido. E’ qui chiara la scuola della Gruber (si scrive così..?) che ha contagiato molti fantocci da palcoscenico, privi di carisma personale.
Kosovo è’ una parola che si presta bene ad essere pronunciata con una certa euforia drammatica da giornalisti di turno che sembrano rigenerati da un "buon"argomento che tira.
E la mia sensazione più forte è che di questa guerra a casa nostra ci si preoccupi perché in qualche modo è troppo vicine e tocca interessi economici importanti come il turismo e quindi l’economia di tutti. I giornalisti spesso rasentano il ridicolo con cronache in diretta ed un infinità di assurdi collegamenti ed interviste a persone che non hanno nulla da dire che serva a qualcuno.
Cronache di una bomba caduta forse ora o di un aereo che sta partendo ma che poi non parte.
L’mpressione è che la spettacolarizzazzione abbia preso il posto del fondamentale diritto di cronaca. L’impressione è che dietro alle quinte delle sale di registrazione dei telegiornali si stappi champagne euforici per un innalzamento dei livelli d’ascolto telegiornali ormai decaduti nelle più banali e squallide storie personali di tradimenti omicidi e violenze sessuali a minori.
Argomenti questi una volta trattati solo sulle pagine di testate settimanali come "Cronaca Vera" o "Visto".
Tutto questo naturalmente conseguenza del sempre più quotato disinteresse della gente verso la politica che ha raggiunto livelli di farsa tragicomica in mano a governi assurdi che cercano solo accordi per rimanere sulla poltrona.
Politica che non può che disgustare e richiamare a sé solo quelle persone che ne sono immanicati per vari ed infiniti motivi spesso personali che con la politica ed il tanto paventato "bene per il Paese" nulla hanno a che fare.
Quello che il singolo uomo sano di principi e rispettoso per il mondo in cui vive può fare di bene per sé e quindi per tutti non è certamente sostituibile ad idealismi di gruppo sempre inevitabilmente pronti a cadere nel compromesso di parte.

Gianluca Missiroli

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