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Bio-Card: una tessera per lasciarsi morire

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Bio-Card: una tessera per lasciarsi morire

Tutte le tematiche relative ai "confini del morire", compresi gli aspetti clinici, medici e legali legati all’eutanasia, sono tornate nell’ultimo anno di attualità in prima pagina. Ricordiamo ad esempio gli interventi pro eutanasia del giornalista, da poco scomparso, Indro Montanelli e del Premio Nobel per la medicina Rita Levi Montalcini, o a clamorosi fatti di cronaca che hanno fatto riflettere: Su uno di questi volgiamo qui concentrare la nostra attenzione, ovvero sulla BIO-CARD, di cui tanto si è parlato su tutti i giornali. Si tratta, per chi non lo sapesse, di una tessera destinata all’attenzione della famiglia, dei medici curanti e di tutti coloro che sono coinvolti nell’assistenza del paziente, per dire loro come regolarsi se un incidente o una malattia ci riducessero in condizioni tali da non poter più esprimere la nostra volontà.
È sta una novità che ha scatenato forti reazioni, ma in fondo il cosiddetto "consenso informato" è accettato dal Codice deontologico dell’Ordine dei medici, ovvero: l’ultima parola in fatto di cure deve spettare sempre al malato.
Provate ora ad immaginarvi stesi su un letto, con gli occhi aperti, immobili, con respiro e polso regolari, a prima vista sanissimi. Ma non sapete in realtà di esistere: se vi toccano non avvertite niente. Siete morti in tutto salvo nel respiro: da anni e anni, dieci o più. Questo stato si chiama coma vigile permanente. I vostri parenti e degli infermieri sono costretti ogni giorno a lavarvi, a spostarvi da un lato del letto all’altro, a nutrirvi con un tubo gastrico. Voi non potete fare nulla e questo è tutto quello che loro possono fare per voi.
I casi di coma vigile irreversibile sono circa settecento ogni anno. Accade che le famiglie prendano in casa i "malati", altre volte essi rimangono in ospedale. In tutti e due casi il dramma della situazione appare chiara. La Bio-Card è stata pensata per venire incontro a situazioni di questo tipo. Contiene una quindicina di domande a cui rispondere sì o no, del tipo: voglio o no che tutti gli interventi medici possibili su di me siano iniziati e continuati se il loro risultato fosse un prolungamento del mio morire? E se restassi in stato di incoscienza permanente? E in uno stato di demenza avanzata senza possibilità di recupero? Vorrei essere trattato con qualunque cosa alleviasse la mia sofferenza anche se ciò anticipasse la mia morte?
Si tratta infatti di una cosa molto più complicata dell’eutanasia, in quanto nel coma vigile irreversibile non si tratta di staccare la spina; non c’è infatti nessuna spina da staccare perché il paziente respira e il suo cuore batte da solo. Sono casi che in realtà esistono solo da poco più di vent’anni e sono i "sottoprodotti" delle terapie intensive. Staccare la spina, quando una spina c’è, è una cosa che la legge consente: c’è la morte cerebrale e dunque i parenti danno il consenso e si usano gli organo per i trapianti. Ma qui la morte cerebrale non c’è. E allora qual è la soluzione?

Francesca Orlando

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