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Le avventure di Banedon – VIII – Scheletri

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Le avventure di Banedon – VIII-
Scheletri

Il gruppetto avanzò cautamente nella grotta umida, alla luce mutevole delle pareti umide che riflettevano i bagliori delle torce. Proseguirono quasi in linea retta per circa cento metri senza trovare nulla, dopo di ché la grotta si stringeva e si inseriva in una serie di curve. Avanzando in questa nuova sezione di corridoio, Banedon notò un forte odore di animale. Si bloccò, e guardando i compagni vide che anche Lorelin stava annusando l’aria.
La caverna stava diventando ancora più piccola, e l’odore animale si faceva sempre più forte. Era difficile definirlo, ma tutti ebbero anche la sensazione di un profondo respiro. All’unanimità, senza bisogno di accordarsi, l’intero gruppo si ritrovò immobile e in silenzio. Gli avventurieri si scambiarono occhiate interrogative, poi fu Ratz a sussurrare: – Magari ci torniamo dopo. E mantenendo il religioso silenzio, si girarono e tornarono sui propri passi. Mozart, in fondo al gruppo, continuò a voltarsi per molti passi per controllare che da quell’anfratto non uscissero sorprese.
Tornarono all’antro dove Ratz era stato vittima dell’agguato di Lorelin, e s’incamminarono nella caverna di sinistra. Qui la grotta proseguiva curvando lievemente verso sinistra. Dopo pochi minuti di lenta avanzata, Wolf, in testa al gruppo, indicò alla propria destra. C’era una larga apertura sulla parete che conduceva verso l’interno della grotta.
– Okay, stiamo attenti – comandò Ratz a bassa voce – Mozart, mettiti contro la parete opposta e coprici le spalle con la tua balestra. Lorelin, senti niente di strano?
La ladrà avanzò un passo verso l’apertura e tese l’orecchio, scuotendo poi la testa per indicare che non sentiva nessun rumore.
– Bene, passami la torcia. Non è che hai qualche arma pronta, mago?
– Eh? Ah, sì… Datemi un momento – rispose Banedon. Si concentrò, pronuncio le parole e fece i gesti necessari, e improvvisamente all’altezza della sua spalla comparve un piccolo dardo luminoso, fluttuante nell’aria. Un’arma valida tanto quanto una pugnalata, per quello che Banedon aveva potuto sperimentare. E con il non indifferente vantaggio che una volta avvistato il bersaglio e lanciato il dardo, il colpo non veniva mai mancato.
– Bellino – mormorò Lorelin.
Wolf si infilò nella grotta con entrambe le mani sulla spada, e Ratz gli andò dietro con la torcia alta e una mazza pronta nell’altra mano. A qualche passo di distanza, Banedon e Lorelin seguivano affiancati.
Dopo pochi metri, il cunicolo si allargava in una stanza buia. Muovendo la torcia, Ratz illuminò un’area pressoché vuota.
– Non dovrebbe esserci pericolo – disse.
Il gruppo entrò al completo nella stanza. Larga come un paio di camere da letto, la stanza sembrava essere stata predisposta per furtive riunioni, con una serie di pietre disposte in cerchio a mo’ di sedie.
– Hmm… il covo dei briganti – accennò Banedon – dubito che abbiano lasciato qualcosa di interessante.
– Eppure qualcosa c’è – rispose Lorelin – guardate qui.
Avvicinandosi a un angolo della stanza, poterono vedere che due scheletri giacevano a terra, parzialmente coperti da stracci vecchi e impolverlati. Due pugnali giacevano semiarrugginiti accanto a loro.
– Uh oh, ciao ciao ragazzi. Avete qualcosa per noi? – scherzò Lorelin, frugando tra gli stracci dopo aver rapidamente indossato un paio di guanti leggeri di pelle. Dopo qualche momento, si rialzò tenendo tra le mani un bracciale.
– Non è un granchè, ma è un inizio. Dò un’occhiata in giro.
Wolf raccolse i pugnali, li picchiò qualche volta per terra per far cadere un po’ di polvere e poi li porse a Banedon, senza dire una parola.
– Li tengo io?
– Non me ne faccio niente – rispose il barbaro.
Banedon prese i pugnali e tentò di infilarli nella cintura, ma le dimensioni delle armi gli creavano un notevole impiccio. Provò a infilarli nelle calzature, e a fare qualche passo, ma nemmeno così si sentiva a proprio agio. Wolf lo guardava, leggermente divertito. Alla fine, sconsolato, il mago ripose i pugnali nella propria sacca.
– Nient’altro – sospirò Lorelin, parzialmente delusa – Ci sono passaggi segreti, Mozart?
Il suo collega scosse la testa.
– Dunque… credo che possiamo proseguire.
Ratz annuì, e indicò a Wolf l’uscita. Il gruppo riprese la formazione precedente, e si avviò fuori. Il dardo magico fluttuava ancora a poca distanza dalla spalla di Banedon, ma era leggermente meno luminoso, come se si fosse addormentato.
Gli avventurieri tornarono sul cammino principale, osservando in entrambe le direzioni prima di proseguire verso l’interno della caverna.

L’eterogeneo manipolo di esploratori ignorava la storia della grotta. Originariamente una formazione naturale, era stata adottata da diversi gruppi di briganti dei dintorni come un luogo sicuro dove ripararsi dopo un colpo o dove poter spartire il bottino raccolto, che si trattasse di monete, armi, o giovani fanciulle. La tradizione venne portata avanti per molte generazioni, e col tempo piccoli miglioramenti – come i reggitorce infissi nel muro – vennero finalmente introdotti nella "sede" underground dei banditi.
Una generazione di banditi ebbe la fortuna di avere la collaborazione di un mago con poche ambizioni scientifiche ma senza troppi scrupoli per quanto riguarda i modi di ottenere bottini facili e di conservarli. Questo mago si preoccupò di apportare uno speciale miglioramento ai metodi di sicurezza della grotta. Per ironia della sorte, proprio a quel punto, con la sede centrale in fase di sviluppo e tutti i presupposti per una rosea evoluzione dell’attività, i banditi assalirono un convoglio sbagliato. Cose che capitano, del resto. Un signorotto venne derubato con successo, ma, vendicativo, tornò poco tempo dopo sullo stesso sentiero… con un piccolo esercito di arcieri e spadaccini sapientemente occultato all’interno di apparentemente innocue e succose carrozze. I banditi caddero nella trappola e vennero sommariamente sterminati. Un paio di loro, ad acque calme, tornarono nella grotta nella speranza di recuperare il poco bottino rimasto in zona. Si accorsero a loro spese che i sistemi di sicurezza funzionavano ancora, e funzionavano bene.

– Qui c’è qualcosa di sicuro.
Dopo un’ennesima curva nella caverna, Wolf aveva fatto cenno a Ratz di sporgersi e il chierico, sbirciando, stava osservando una grossa porta sulla parete sinistra, a malapena illuminata dalle torce degli avventurieri. Con un piccolo sforzo di immaginazione, non era difficile intuire che se c’era una porta in un posto così isolato – con tutta la comprensibile fatica necessaria per costruirla – c’era sicuramente qualcosa che valesse la pena di essere chiuso dentro. Oltre la porta, la caverna era chiusa. Di fronte alla porta, la grotta si allargava in un atrio di forma semicircolare con un raggio intorno ai tre metri.
– Lorelin, puoi vedere se ci sono trappole?
La ladra avanzò, e si mise a osservare con attenzione la porta. Gli altri si allontanarono, e Lorelin cominciò il suo lavoro. Dapprima estrasse da una tasca interna una borsetta di cui si poteva intuire rapidamente il contenuto. Vi pescò alcuni attrezzi e ferretti e li appoggiò per terra. Poi, da un’altra tasca interna, estrasse una specie di maschera che indossò coprendosi il viso fino al collo. Indossò in testa anche un altro apparecchio strano, composto di una fascia elastica e due grossi pezzi di vetro o plastica colorati di giallo, che finivano per coprile gli occhi. Infine, infilò le mani dentro un paio di sottili guantini per lavori di precisione.
Mentre Lorelin tastava con attenzione il profilo della porta, Banedon, affascinato, constatò che quella era una che sapeva fare il suo lavoro. Poi si girò e scrutò verso l’atrio. Qualcosa in quella semioscurità lo lasciava inquieto. Il dardo tornò ad essere luminoso, ora che la tensione del mago saliva. Con l’altra mano, Banedon reggeva innanzi a sé una torcia.
Avvicinandosi alla parete di fronte, notò una piccola superficie bianca che spuntava dalla roccia. La parete in quel punto era terrosa, probabilmente una cavità riempita artificialmente dopo essere stata scavata. Allungando la mano libera, scosse la terra intorno alla superficie bianca per cercare di liberare l’oggetto. Ma con una smorfia, capì: era un teschio. Diede ancora qualche colpo alla terra a e il viso ossuto di un antico cadavere venne quasi completamente alla luce.
– Sembrerebbe pulita – disse Lorelin – aspetta… lì sopra, c’è una sporgenza. Non mi piace per niente, non sembra naturale. Qualcuno di voi è così gentile da prendermi in spalle, e sollevarmi?
Wolf si fece avanti, e chinandosi permise che la ladra appoggiasse i piedi sulle sue spalle. Poi si rialzò, mentre Lorelin si appoggiava al muro per non perdere l’equilibrio.
Banedon si voltò nuovamente versò il teschio e cominciò a scuotere la terra più in basso. Esattamente come pensava, ben presto altre ossa comparvero alla vista. Non c’era solo il teschio, un intero cadavere era stranamente appoggiato in piedi appena al di sotto della superficie terrosa.
– Che strano. C’è uno scheletro seppellito in piedi – disse per richiamare l’attenzione dei compagni.
Ratz ebbe un sussulto. L’idea di uno scheletro seppellito in piedi gli evocava spiacevoli associazioni, ma non riusciva a mettere a fuoco di quali esatte associazioni si trattasse. Si voltò verso Banedon come per cercare ispirazione, e fu l’unico a vedere per intero ciò che successe subito dopo.
Parlando, Banedon si era girato per metà verso la compagnia. Poi si era voltato indietro, e aveva allungato la mano per scuotere ancora un po’ di terra, preso dalla curiosità.
Ma in quel momento il braccio scheletrico ancora coperto era scattato fuori dalla parete e gli aveva afferrato la mano, serrandola in una gelida stretta. Banedon era riuscitò a cacciare un urlo prima che l’altra mano scheletrica gli afferrasse la gola, togliendogli la voce e per un attimo il respiro. Quando poi sentì una terza mano scheletrica – il contatto di quelle estremità dure e sottili era inconfondibile – che gli afferrava i capelli e gli tirava indietro la testa, si sentì perduto, colto dal panico più totale.
Nello stesso istante in cui le braccia del primo scheletro erano scattate in avanti, appena dietro le spalle di Banedon due altre figure scheletriche erano piombate fuori dal nulla oscuro delle pareti in una gran nuvola di polvere, e avevano allungato le loro mani sul mago.
Ratz, che stava fissando in quella direzione, rimase colto un momento di sorpresa dalla rapidità con cui le creature erano passate all’azione, ma subito dopo passò all’attacco richiamando l’attenzione dei compagni.
– Scheletri! Su Banedon! Aiutatelo!
e raccogliendo il proprio simbolo sacro, appeso al collo, cominciò a declamare a gran voce formule liturgiche.
Wolf disarcionò all’istante Lorelin (che agilmente riprese l’equilibrio e cadde a terra su entrambi i piedi) ed estrasse la spade lanciandosi con due grandi passi sugli avversari.
Banedon si sentì inondato di freddo e incapace di reagire, mentre la mano sulla gola lo stringeva sempre più stretto. Sentì un momento di incoscienza mentre altre mani fredde lo toccavano, ma un istante dopo ci fu un grossa vibrazione e le mani dietro di lui svanirono. Wolf aveva colpito con un robusto colpo di spada uno dei due scheletri alle spalle del mago, e le ossa della creatura avevano scricchiolato rumorosamente. Entrambe si erano voltate nella direzione della compagnia. Wolf non perse altro tempo e con un secondo forte colpo all’altezza del costato spezzò lo scheletro, che cadde a terra in vari pezzi. Un istante dopo, Ratz alzò la propria voce fino a un livello quasi insopportabile e con un gesto deciso puntò il proprio simbolo sacro verso l’altro scheletro a lui più vicino. Quello fece un rumore come una piccola esplosione e le sue ossa, liberate dal nero potere magico che le teneva unite, crollarono a terra e cedettero in pochi attimi a tutto il potere di corrosione che il tempo non aveva ancora avuto modo di esercitare su di loro.
Risvegliato dall’esplosione, Banedon trovò il coraggio di sbloccarsi e con la mano libera afferrò la mano che lo teneva per la gola, cercando di allontanarla da sé. Ma la forza dello scheletro era inaspettata e non sembrava dargli scampo. Lo scheletro era ancora parzialmente dentro la parete.
– Girati, girati, ruota! Non riesco a colpirlo! – sentì Wolf gridare e allora cercò di spostarsi a destra, ma senza esito. Era già sul limite del soffocamento e sentiva un freddo dolore che dalla gola si espandeva in tutto il suo corpo. In un barlume di lucidità ricordò il dardo magico ancora fluttuante accanto a sé, e si concentrò abbastanza per scagliarlo contro la parete. Una nuvola di polvere e piccoli pezzi di terra gli esplose addosso, e lo scheletro venne liberato interamente. Il mago, con la forza della disperazione, tentò allora l’ultima mossa. Invece che tentare di allontanare la mano scheletrica la tenne ben salda, fece scivolare i piedi in avanti e si fece cadere a corpo morto all’indietro.
Per sua fortuna, funzionò. Lo scheletro rimase attaccato alla sua gola e venne quindi trascinato in avanti. Banedon atterrò dolorosamente sulle ossa sparse sotto di lui, e lo scheletro era proprio sopra di lui. Wolf intervenne e con due forti colpi di spada distrusse la creatura. Le ossa caddero a terra, tranne la mano, che continuava a stringergli la gola, anche se con meno energia di prima. Provò alcune volte a staccarla, ma il dolore che provava al collo era insopportabile.
Il chierico si avvicinò recitando ancora le parole sacre che conosceva. Ancora una volta, alzò il livello della propria voce e puntò il simbolo sacro verso la mano, che si frantumò e cadde a terra lasciando libero il collo del mago.
Banedon scattò all’indietro, allontanandosi dalle ossa, mentre Wolf distrattamente infieriva sui resti delle creature e Ratz seminava le sue parole. L’effetto combinato dei due fu tale che presto ci fu solo una grossa manciata di polvere e sassolini sul terreno. Il mago tuttavia rimase con gli occhi sbarrati a fissare l’atrio, tenendosi con una mano la gola.
– Fa vedere il collo – disse Lorelin cercando di spostare la mano del mago. Non fu facile. Senza proferire parola, Banedon rimaneva lì rigido, un fascio di nervi tesi, ancora terrorizzato dall’esperienza appena vissuta.
– Mai avuto a che fare con non-morti, eh? – accennò la ladra.
Banedon non rispose.
No. Non aveva mai avuto a che fare con non-morti. Era già scampato a un drago ed era sicuro che il mondo fosse pieno di altri pericoli… ma si aspettava pericoli solidi, visibili, creature schifose e puzzolenti e vive, organismi che si cibavano, dormivano, mangiavano. Aveva sempre pensato ai non-morti come a lenti, deformi e innocui cadaveri magicamente dotati di un minimo di movimento. Aveva pensato che i racconti di mummie e di zombie ascoltati in passato fossero esagerati dalla timorosa fantasia di menti semplici. No. Non era pronto a vedere una mano scheletrica che piombava fuori da una parete come in un terribile incubo, e ora, resosi conto che non si sarebbe svegliato da un incubo, e finita l’adrenalina della lotta, un nuova forma di sottile terrore l’aveva attanagliato, vegetalizzandolo temporaneamente.
– Dobbiamo solo aspettare un po’ – disse Ratz – Ha avuto un grosso shock, si riprenderà, gli ci vuole solo un momento.
L’insistenza di Lorelin ebbe la meglio sulla rigidità di Banedon, e infine il collo del mago fu libero e disponibile alla medicazione. Ampi segni rossi come bruciature solcavano la pelle. Lorelin trovò l’unguento adatto nella propria sacca e usando una piccola pezza ne spalmò un poco sulle ferite lasciate dalla mano dello scheletro.
Banedon continuava a non dire una parola.

Alessandro Zanardi (continua)

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