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Dialogo con Dio – Luca Grancini

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Ed. LietoColle, 2009, 5 euro
 
Fa pensare, questo libro, agli esordi della filosofia, nella culla greca del  VI-V secolo, alle radici della cultura occidentale.
Mi riferisco all’indagine sul Principio unificatore delle cose, dapprima connaturato al tangibile –acqua, aria, fuoco…-, poi metafisico, esame che muoveva dal bisogno di cercare la Verità, l’Assoluto.
Il tentativo di rispondere alle domande sul senso dell’essere umano nel cosmo e della natura spinse allora la riflessione.
Allo stesso modo, la ricerca di Dio, quale Ente unificante, compresa la personale convergenza nell’ordine universale, hanno mosso la mano del poeta. Ma a differenza della filosofia, per fortuna, la poesia ha percorsi più drammatici. Segue il filo dell’emozione piuttosto che quello sempre rigoroso della ragione. Mancano gli assiomi categorici. Mancano le certezze.
L’approdo del poeta alla sfera dell’ineffabile, dunque, non è scontato, attraversato da dubbi e timori. Possiamo affermare, allora, che il contrappunto tra finito e infinito e l’oscillazione tra basso e alto, che tormenta di continuo l’animo di Grancini, costituiscono la sostanza emozionale ed emozionante della raccolta.
Spesso in bilico tra l’agnosticismo dell’uomo di scienza (l’autore è cardiologo presso un importante ospedale milanese) il cui corpo dondolava minaccioso / attratto dalla gravità e la caparbia aspirazione ad una sfera più elevata di quella animale, il N. sin dagli  albori della coscienza comincia la sua ardua indagine su Dio, perfetto per definizione, che non può essere espresso dalla parola imperfetta dell’uomo. Nemmeno la mente lo contiene. Di tale limite si rende subito conto.
Altrove Luca Grancini volge l’attenzione alla miseria dell’umanità.  Soffre per i limiti posti alla creatura, un essere finito, chiamato solo al sudore e alla fatica, del quale nulla rimarrà.
Questo giunge a dire quando il pendolo tende al punto più basso, esprimendo il timore che quando avrà superato l’ultima soglia non ci sarà verità, destinato al nulla della distruzione, deluso per l’ultima volta nella sua ansia di capire  il senso della vita e della morte.
Altrove fa capolino una luce. Pur guardando alla inesplicabile condizione dell’uomo, nella quale pare evidente un’immane crudele distanza di Dio dal male della terra, spera ugualmente che nell’istante della sua confluenza nel flusso dell’universo possa comprendere ciò che giudichiamo coi nostri limitati mezzi, senza ottenere per questo risposte convincenti.
Il punto della morte sarà rivelazione?
Al di là della personale strada intrapresa, il poeta sembra certo che  esiste uno slancio incomprimibile dell’uomo verso il soprannaturale, nonostante il dolore, le ingiustizie e il peccato. Indicativa a questo proposito è l’epigrafe contenente alcuni versi di Clemente Rebora, appunto dedicati al bisogno di eterno della trottola umana.
Nonostante la tragedia della vita, alla fine anche Luca Grancini  si riconcilia con l’idea di un Esistente, che, pur in lande irraggiungibili, conserva il senso della nostra storia e la luce dell’eternità.
Il percorso indicato dal poeta è una preghiera e un atto di umiltà, ossia il riconoscimento del miracoloso ordine cosmico e il sentirsi parte di una simile architettura prodigiosa: un gesto di sottomissione della formica della terra, che è poi un microcosmo. A chi cerca con tenacia, immettendosi nel circuito dell’eternità, non può che toccare la Grazia.
Già il titolo dell’opera ci indica il riavvicinamento possibile tra terra e cielo, l’individuazione dell’Assoluto, ma anche del proprio frammento immortale che, libero dalla morsa del sangue, riesce ad  innalzarsi al cospetto dell’infinito.
Le dieci poesie della raccolta descrivono dagli esordi questo personale itinerario spirituale, da quando rannicchiato tra le cose concrete il poeta, che sin da giovane s’interroga, teme di alzare lo sguardo per paura di rimanere deluso. Ma la poesia di chiusura è sintesi di concordia raggiunta.
Vorrei sottolineare il carattere solitario della raccolta per due motivi: prima perché il mondo e i compagni di viaggio entrano nell’opera solo in maniera indiretta  in quanto entrambi parti del tutto. I fatti della quotidianità e le esistenze contigue non sfiorano la pagina. Inoltre è piuttosto raro trovare una confessione tanto esplicita sull’itinerario verso la salvezza della propria anima.
La naturalezza, la misura, il controllo dell’emozione e dello stile, nonostante una materia tanto rovente, indicano un lungo esercizio di preparazione a questa opera prima, che quindi si presenta già compiuta.
 
Roma, 14 ottobre 2009

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