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Perché sto con Ariel Sharon

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Perché sto con Ariel Sharon

Penso di essere uno di quelli che sempre staranno dalla parte degli "indiani", la mia simpatia da sempre è caduta morettianamente sulle minoranze.
Penso che già nell’essere minoranza, nell’archetipo della parola vi sia scritta la sua nobiltà.
E’ francamente difficile riuscire a districare il proprio pensiero in una vicenda così grave, così dolorosa e così tortuosa come la vicenda mediorientale e in particolar modo nel contenzioso arabo-israeliano.
Ho sempre appoggiato un serio e plausibile piano di pace palestinese-israeliano, da sempre asserisco che un grave ostacolo alla conduzione in porto di tale piano sia l’esistenza in territorio palestinese delle cosiddette colonie ebraiche, per lo più abitate da ortodossi; anzi l’aver continuato una politica di esproprio territoriale e di nuova urbanizzazione di territori appartenenti all’autorità palestinese non ha fatto altro che esacerbare gli animi, accrescere un sentimento di rabbia mista ad umiliazione, creare i presupposti di un ritorno alla intifada.
Adesso però e venuto il momento di cambiare idea, mi sorregge in questo il detto "solo i cretini non cambiano mai idea", è qui in gioco l’esistenza stessa dello stato di Israele.
Solo una capace campagna massmediatica, tutta a favore dei palestinesi, ha potuto far credere che siano loro in questo caso la cosiddetta e tanto amata minoranza.
Israele, a me piace chiamarlo Eretz Israel -Terra di Israele- come lo chiamano gli ebrei della diaspora che agognano a farvi ritorno, nasce nel 1948 dopo l’immaginabile ventennio di terrore della Sho’ha’, nasce su grande sforzo dei numerosi ebrei che già popolavano all’epoca la palestina, sulla ferrea volontà di chi sa di essere in perenne credito con la storia, con l’europa, con la chiesa cattolica, con il passato e il futuro, sulla meravigliosa voglia di vivere degli scampati e dei sopravvisuti.
Israele nasce e, su disegno degli inglesi, deve nascere insieme a uno stato palestinese.
Non starò qui a scrivere un trattato di storia, dirò solo che da allora gli stati arabi mossero uniti nell’odio del nuovo stato, muovendo in guerra e rendendo impossibile di fatto la nascita di uno stato palestinese.
Due fatti hanno segnato nei tempi recenti in modo irrimediabile il processo di pace: l’assassinio di Rabin per mano di un colono ultraortodosso mosso dall’odio in lui instillato anche dall’irresponsabilità di politici come Netanyau o Sharon e il rifiuto da parte di Arafat di controfirmare gli accordi di Camp David con Clinton e Barak.
Veniamo ai giorni nostri: i territori dell’autonomia palestinese, da quando tali sono diventati, hanno conosciuto una crescente crisi economica, l’incapacità della classe politica palestinese ha portato il paese sull’orlo (e forse oltre) del collasso economico, nel momento più nero della sua storia la palestina ha organizzato la nuova intifada per compattare il proprio popolo dietro al leader Arafat.
L’"amata" palestina è quel luogo dove la corruzione è a livelli stratosferci, è quel luogo dove un popolo, come nell’underground di kusturica, è tenuto antistoricamente da Arafat in campi profughi dove più facile è montare l’odio verso il nemico, è quel luogo dove i bambini studiano sopra libri ove la carta geografica magicamente fa scomparire lo stato di Israele, è quel paese dove le ambulanze trasportano oltre confine kamikaze e ordigni, è quel paese il cui leader sbandiera l’ulivo in televisione ed esalta il terrorismo in patria, è quel paese dove il leader chiede aiuto al mondo e compra armi per i terroristi, è quel paese dove il leader chiede il diritto ad una patria e al momento di averla sbatte la porta e torna ad armare l’odio verso Israele ( come si può ancora credere che arafat voglia uno stato è un mistero purtroppo davvero doloroso, come si può ancora dare credito a uno che ha preferito ancora la via dell’odio piuttosto che controfirmare il più generoso dei piani mai prima di allora escogitati è una cosa che solo forse i manifestanti, i pacifisti dell’ultima ora sapranno spiegare) è quel paese ove ogni giorno la televisione inneggia al martirio dei kamikaze, è quel paese dove la vita non ha alcun valore, dove la gente fa la fila per essere arruolata nelle falangi armate pronte al "martirio", è quel paese dove ancor prima che nascesse lo stato di Israele si tramava e si agiva con attentati contro la popolazione ebraica, i primi attentati sono datati 1921!
E’ quel paese che nel suo intimo volere non ha mai sopportato l’esistenza di uno stato ebraico, quest’odio ha portato come inevitabile conseguenza all’impossibilità della creazione di uno stato palestinese.
Israele è quel paese dove ogni 4 anni democraticamente un popolo elegge i propri rappresentanti, è quel paese ove la gente può manifestare contro i propri governanti (come per solito accade in posti quali Iraq, Iran, Egitto, Siria, Arabia Saudita, Libano, Libia, Algeria, Marocco e per l’appunto nella democratica palestina)
È quel paese dove uomo e donna hanno gli stessi diritti e doveri (come proprio nei sopraddetti paesi) dove tre religioni possono democraticamente convivere(idem come sopra).
È quel paese che è minoranza, una minoranza scandalosa in un contesto fatto di paesi di cultura islamica, che da sempre e in tutti i modi hanno minacciato l’esistenza di Israele proprio per il carattere intrinseco di minoranza, di estraneità che Israele porta con se.
Israele è quel posto dove 2500000 di persone vivevano pensando di aver creato il posto migliore in cui vivere fra quelli dell’area, quel posto invece è qualcosa d’altro, è un posto dove degli uomini imbottiti di tritolo si fanno saltare in aria alle fermate degli autobus, nei supermercati, nelle pizzerie, nelle sinagoghe, nei ristoranti, nelle discoteche. Israele è un paese che è stato offeso nella quotidiana pratica della vita; i bar, gli autobus, i luoghi di culto, i luoghi di divertimento sono i luoghi dove la vita di tutti i giorni compie il suo rituale tran tran, i luoghi più sicuri proprio perché costituiscono il nucleo centrale della vita sociale dell’uomo, i luoghi dove noi siamo,dove noi esistiamo.
Adesso in Israele quella vita si è fermata, la vita sociale di israele sta morendo.
Il kamikaze è una figura indegna, al di fuori di ogni nostra possibilità di comprensione, un uomo si da morte per dare morte, questo è l’abisso dell’umanità.
Israele paga un prezzo non solo in vite umane, paga un prezzo altissimo in disabili psichici e fisici.
In un attentato in cui muoiono 16 israeliani quanti rimangono mutilati irrimediabilmente nel fisico e nella mente?
Israele muore perché è senza turismo.
Israele muore perché ha smesso di vivere per la paura stessa di vivere.
Quando in Israele muoiono 16 persone in un attentato e 100 ne rimangono ferite è come se in Italia ne morissero 352 e 2200 ne rimanessero ferite.
Israele quindi adesso combatte per esistere, per urlare la propria esistenza contro chi da sempre ha voluto la sua dissoluzione.
Israele combatte contro l’antisemitismo che in questi giorni prepotentemente è risaltato fuori in tutta la sua meschinità.
Vergognose le manifestazioni intrise d’odio ma soprattutto infarcite di ignoranza di questi ultimi giorni. Vergognosa la voce della chiesa cattolica che ha parlato a sproposito di sterminio, quando il suo silenzio accompagnò sei milioni di ebrei nelle camere a gas, vergognoso non dire che nella chiesa della natività sono rinchiusi centinaia di palestinesi armati fino ai denti, quanti futuri kamikaze fra di loro? Vergognosa questa chiesa che non sa riconoscere nemmeno il suo Cristo: Yeoshua Ben Yossef, (Gesù di Giuseppe all’anagrafe romana) ebreo, di espressione aramaica, circonciso, che benedisse la sera della Pasqua Ebraica il pane e il vino come migliaia di famiglie ebraiche fanno la sera di Pesach, che recitò su un monte l’Avinu Malkenu (padre nostro re, meravigliosa preghiera ebraica) che all’età di 13 anni entrò in sinagoga a leggere il Seder Torah (bibbia) come tutti i fanciulli ebrei continuano a fare ancora oggi, che morì sulla croce ucciso dai romani!!!!! Che non disse mai di essere figlio di Dio, bensì sempre parlo con espressione aramaica di figlio dell’uomo, che non fondò nessuna chiesa, bensì secondo l’accezione del tempo sempre parlò di assemblea
Che vergogna questa chiesa che abbandona i suoi "fratelli maggiori" -Giovanni Paolo II°- Quest’antisemitismo è sicuramente il pericolo maggiore di israele, il pericolo di trovarsi contro non solo un mondo arabo da sempre ostile bensì pure un mondo occidentale che non ha mai perso nel suo carattere genetico la traccia dell’antisemitismo che fece da humus fecondo per la propaganda nazista.
Mai avrei pensato un giorno di schierarmi a fianco di Ariel Sharon, adesso però è lui che detiene il comando e mai cambiare il guidatore durante la marcia, adesso lui è Israele, l’esistenza di questo piccolo paese fatto di cultura, democrazia, storia, indicibile e sovrumana sofferenza, rispetto della vita, paese di diritto, paese di minoranza, è nelle mani di Ariel Sharon.

Matteo Ranzi

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