KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

B.R.M.C.

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B.R.M.C.
Black Rebel Motorcycle Club
(Virgin, 2001)

La storia dei B.R.M.C. prende il via da San Francisco nel novembre del 1999, quando Peter Hayes (chitarra, basso e voce) e Robert Turner (basso, chitarra e voce) cominciano a suonare in pianta stabile con il batterista e percussionista inglese Nick Jago. I tre ragazzi, tutti attorno ai vent’anni, si creano presto una fama che non rimane confinata a lungo nel solo ambito locale: incidono un demo di 13 brani e, prima ancora che debbano preoccuparsi di cercare un contratto discografico, si trovano subissati di richieste da parte di varie labels, incuriosite dal giudizio lusinghiero che dei tre hanno fornito nomi eminenti quali Jim Reid e Johnny Marr. Le loro frequenti esibizioni live nell’area di San Francisco e Los Angeles vengono momentaneamente accantonate quando i B.R.M.C. entrano in studio per registrare il proprio debut album: non appena questo vede la luce sono invitati ad unirsi ai Dandy Warhols in numerose date del loro tour statunitense. Il loro 2001 culmina con la partecipazione al Sundance Festival: niente male per tre musicisti il più anziano dei quali non ha che ventitré anni…
Se non si sapesse che vengono dalla California, i Black Rebel Motorcycle Club (che prendono il nome da quello della gang di Marlon Brando in The Wild One) potrebbero dirsi inglesi: non è forse un caso che ai loro estimatori citati prima si aggiunga anche il venerabile Noel Gallagher, il quale con la sobrietà che lo contraddistingue li ha etichettati senza mezze misure come "la migliore band del mondo". Ad essere onesti però non è principalmente agli Oasis che i B.R.M.C. possono essere accostati: le atmosfere psichedeliche di brani quali Awake portano piuttosto dritti alla memoria dei primi Verve, visto che anche l’approccio vocale a tratti appare non eccessivamente distante da quello di Richard Ashcroft. Ecco allora una White Palms che potrebbe uscire da A Northern Soul, il penultimo album licenziato dalla band di Wigan quando ancora il successo planetario di Bittersweet Symphony e lo scioglimento non erano previsti ne’ prevedibili; mentre la successiva As Sure As The Sun richiama magari gli Starsailor, che della psichedelia del terzo millennio paiono oggi come oggi essere tra gli alfieri più accreditati. Ma sono molti altri, la maggioranza direi, i pezzi riconducibili a questi scenari.
Non che in questo lavoro ci sia solo british psychedelia. Già il singolo d’apertura, l’ottimo Love Burns, pare evidenziare influenze remotamente new wave (Robert Hayes spiega di essere cresciuto ascoltando in particolare i Clash, Bob Dylan e, guarda caso!, i Joy Division) e una grande passione per suoni fumosi e sbavati: le ondate di feedback si inseriscono nervosamente nel tessuto del brano, rendendo le sonorità opportunamente grezze. La formula viene replicata, senza però ottenere esiti così insidiosamente melodici, in Whatever Happened To My Rock’n’Roll [Punk Song]. Spread Your Love invece catapulta l’ascoltatore indietro nel tempo: sembra si materializzino i Free di The Hunter, con quei robusti e monolitici giri blues che paiono avvolgersi su se stessi all’infinito e quello sporco intervento dell’armonica…
Black Rebel Motorcycle Club è un disco d’esordio interessante. Non pare avere, così a prima vista, un enorme potenziale commerciale: questo potrebbe giovare non poco alla band, tenendola lontana dal centro dell’attenzione per il tempo sufficiente a maturare e ripresentarsi magari con l’album della consacrazione. Quanto proposto fin qui getta premesse non da poco: piacerà a chi ama i suoi grezzi e ruspanti, senza troppe sofisticazioni, ma darà soddisfazione anche a chi guarda con crescente interesse alla nuova british invasion guidata da quei gruppi che hanno eletto le sonorità eteree, melodiche e decadenti a proprio campo d’espressione privilegiato.


Fabrizio Claudio Marcon

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