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Godin… Godet… Godot

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Godin… Godet… Godot

L’8 ottobre al Teatro delle Passioni di Modena la Compagnia degli Artesi ha portato in scena "Godin…Godet…Godot". ispirato a "Waiting for Godot" di Samuel Beckett.
La rivisitazione dell’opera di Beckett proposta dagli Artesi, nonostante i cambiamenti, rimane molto fedele all’originale. L’ambientazione nuova, una discarica ai margini della società, resa da una scenografia sì minimalista ed essenziale, ma molto colorata e varia (come del resto i costumi dei personaggi) lascia comunque intatto e non allegerisce quanto di tragico è presente nei personaggi di Beckett.
Tra i rifiuti ammassati alla rinfusa nei pressi di un albero, si aggirano due dei personaggi dell’opera, Livy (Maria Giovanna Vannini) e Gogo (Enzo Francesca), reietti, che trascorrono i loro giorni, in una dimensione fuori dal tempo. Persi in preoccupazioni banali, aspettano che si verifichi l’incontro che cambierà la loro vita; impazienti nella loro immobilità, meditano più volte di partire senza decidersi a farlo, e prendono in considerazione l’idea del suicidio, come eventualità non più tragica delle altre, equivalente a partire o ad aspettare.
Oltre all’ambientazione, altra novità introdotta dagli Artesi è il personaggio di Livy (che nell’originale è un uomo). La scelta di inserire una figura femminile accentua, in un certo modo, il senso di consolazione che forse i due emarginati trovano nella loro surreale amicizia, nella loro incomprensibile compagnia, e dà una dimensione differente alle loro solitudini.
I molti momenti di silenzio, sono interrotti, da rumori di barattoli e vetri rotti, e da stentati discorsi frammentari e ripetuti, monologhi surreali, il più delle volte privi di consequenzialità, che sottolineano l’impossibilità di una vera comunicazione, l’incomunicabilità di persone che passano la vita insieme e tentano, senza riuscirci, di entrare in contatto con gli altri.
Il fluire monotono dei giorni è interrotto solo dall’incontro di due grotteschi personaggi Pozzo (magistralmente rappresentato da Graziano Arletti), arrogante e tronfio, e Lacky (un bravissimo Euro Bertesi), costretto dal suo padrone a ballare, pensare o non pensare a comando. I due compaiono una volta nel primo e una volta nel secondo atto, per intraprendere con Livy e Gogo assurde conversazioni, narrare loro incomprensibili storie, inscenare uno strano gioco delle parti.
I quattro personaggi aspettano, simboli di un’esistenza priva di significato, aspettano che arrivi la vita vera, la svolta, e nel frattempo vivono, senza quasi accorgersene la loro unica vita, tesi a un incontro che forse non avverrà mai, ma del quale hanno bisogno per andare avanti.
Nell’assurdo e lento trascorrere di giorni tutti uguali, lo spettatore si rende conto che senza l’attesa forse vana di quell’incontro, senza questa seppure debole speranza, le loro esistenze non avrebbero significato.

Con questo difficile testo, ben rappresentato, la Compagnia degli Artesi si chiede: cosa aspetta in realtà l’uomo di oggi? O meglio, l’uomo di oggi, è ancora in grado di aspettare, di sperare? O giudicando vana l’attesa potrebbe decidere di passare all’azione?

Stefania Gentile

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