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Via dei Serpenti

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Via dei Serpenti

Via dei Serpenti, a Roma, è una strada lunga e stretta e che si tuffa, letteralmente, da Via Nazionale giù verso Via Cavour e se, fino all’entrata in vigore della legge Merlin, era gioiosamente o tristemente famosa, dipendeva dai punti di vista, perché ospitava le meno e le più esclusive case chiuse della capitale ( chi non ricorda"Totò cerca casa" ?), ora lo è in quanto ne è, della "Caput Mundi", una delle vie più in auge.
Il toponimo?Boh!, anche se a guardarla bene dà proprio l’impressione di essere una nera biscia che si crogiola al sole nel quotidiano compito di mettere in moto un metabolismo annacquato dalla lunga e fresca notte capitolina. E il basolato, in nera pietra lavica e che riporta alla mente la pelle a scaglie di un serpente, non fa che avvalorare tale sensazione.
Lo studio fotografico Ricca, per chi imbocca la strada da Via Nazionale, è situato proprio all’inizio della stessa in un palazzo dei primi del diciottesimo secolo. L’ingresso è discreto: nessuna insegna roboante; nessuna foto di bellona in bella mostra ma solo una minuscola targa in ottone anticato – scritta in uno strano stile grafico certamente ideato dallo stesso Ricca – che sottostà al pulsante del campanello, anch’esso in ottone, e costituito da una semisfera incassata nel muro sul lato destro del portoncino in legno di noce italiano. Uno spioncino, il classico occhio di pesce, campeggia inquietante, ad altezza d’uomo, al centro dello stesso.
Marco, ancorato, con una massiccia catena d’acciaio, "il cinquantino" all’anello in ferro che sovrasta un’antica pietra miliare, è di già, anche se sono da poco scoccate le otto, pronto a pigiare il tasto del campanello e lo fa dopo aver aspirato, voluttuosamente, l’ultimo tiro da una "nazionale" senza filtro.
Wow!!! Qual buon vento e come mai a ‘stora? – E’ Norina che lo accoglie, con un sorriso, dopo aver spalancato l’uscio e ancor prima che il trillo del campanello si perda totalmente all’interno dello studio smettendola di sovrastare, con il suo tono stridulo, una splendida canzone di Fabrizio De André: La guerra di Piero.
Eleonora, Norina per gli amici, non è affatto una bellezza: è piatta come una di quelle tavole che i muratori usano per mettere su i camminatoi quando innalzano le impalcature; ha un muso leggermente prominente ed il sottile labbro superiore è sovrastato da una leggera peluria nera che si guarda bene dall’estirpare. La statura è minuta ma il sedere è veramente da "Oscar" e lei, complici i pantaloni in tela di Genova elasticizzati, non si esime certo dal metterlo in mostra. La preparazione professionale, l’intelligenza viva e pronta , la simpatia ed un indubbio fascino, poi, non le fanno certo difetto. E Marco avverte il tutto al punto da esserne totalmente infatuato. M a stamane è incazzato nero.
Senti No’-, dopo averle mollato un appassionato bacio stringendola a sé ed afferrandole con forza le natiche sode, – stamattina me devi da spiegà come cacchio hai fatto a fa regge quella foja mentre scattavate la foto ? Porca mignotta sò du’ settimane che me sto a scervellà. Faccio er fotografo da na’ vita e tu e er padrone tuo nun me dovete pijà pecculo. Porca zozza si nun è un fotomontaggio, si la foja nun è attaccata ar soffitto con un filo de nailonne, si nun è appiccicata allo sfondo con pezzo de scocce, ma come cazzo avete fatto? Embé si stamattina numme lo dici, quanno è vero iddio, te manno a quer paese -.
Ciò blaterato, si lasciò andare sul nero divano in morbida pelle di bufalo africano ed iniziò a fissare, rapito e come faceva dal momento in cui – due settimane, appunto – aveva messo piede in quello studio, la splendida foto che campeggiava sulla parete di fronte e accortamente illuminata in modo da accentuarne la bellezza ed il senso di mistero che emanava.
Ad un profano la foto – faceva, da mesi, bella mostra di sé sui muri dell’intera penisola -, che pubblicizzava una nota marca di sambuca poteva dire non più che tanto e quella foglia di eucalipto posta , come sospesa in aria, dietro una bottiglia dello sciropposo e candido superalcolico era , ove si fosse posto il problema, il frutto di un semplice trucco da…fotografo. E nulla più. Ma lui, Marco, era uno del mestiere e sapeva bene che se era un trucco, ed indubbiamente a suo pensare lo era, non era di quelli usuali. Perciò ci sformava.
Norina, lo accarezzò con lo sguardo, e sorridendo esclamo’: " Nada muchacho, niente da fare. Io er posto nun me lo gioco. Si lo voi sapé peddavero sposame e cicciarculo. Me metto a lavorà cotté e buonanotte ar Ricca. Emmò famme ‘na cortesia arza le chiappe e datte che er capo sta pevvenì. Abbiamo appuntamento con due pirla del Ministero della Marina per visionare i provini del Vieni in Marina e girerai lo…mondo. Due palle che non ti dico!".
Ciò detto aprì il portone d’ingresso e con un scherzoso inchino lo invitò ad accomodarsi fuori dello studio.
Marco non si fece pregare, si rendeva conto che se si fosse trattenuto l’avrebbe messa veramente in difficoltà, si staccò dal comodo divano e varcò l’uscio lasciandosi avviluppare dalla calura asfissiante che un leggero ponentino non riusciva a mitigare. Poi, prima che la sua ragazza serrasse la porta, lanciò un ultimo sguardo alla foto. Era sempre là inquietante, e la foglia, sì la foglia di eucalipto, non campeggiava più dietro la bottiglia di sambuca ma ora…era mollemente appoggiata su di essa.
Non credeva alle sue pupille, premette con forza , con i due pollici, i bulbi oculari al fine di schiarirsi la vista, volse lo sguardo verso Norina e le sembrò che due lampi di luce, mentre sorrideva misteriosa, per un attimo le illuminassero gli occhi.

Michele Ciorra

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