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Complaint: SEC contro Parmalat

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Complaint1: SEC contro Parmalat
Molti confondono una cattiva gestione con il destino
Kin Hubbard
"La Parmalat Finanziaria S.p.A. è una società italiana di Parma (con sede in Milano, n.d.a), la cui maggiore controllata, la Parmalat S.p.A. (con sede in Collecchio-PR n.d.a.) vende prodotti lattiero-caseari nel mondo, ha 36.000 dipendenti e svolge attività in trenta Paesi, inclusi gli Stati Uniti. Il 24 dicembre 2003 è stata iscritta al "registro notizie di reato" del Tribunale di Parma, l’ipotesi di bancarotta della Società, e il 27 dicembre 2003, il Tribunale stesso ha dichiarato la Parmalat S.p.A. insolvente2".
Queste, in sostanza, le prime parole del
Complaint3 presentato dalla SEC4 americana nei confronti di Parmalat, attraverso le quali è possibile ricostruire la causa scatenante del "caso Parmalat", definito, in seguito, dalla stessa SEC "una delle più vaste e sfacciate truffe finanziarie della storia5", realizzata con un meccanismo tanto semplice quanto inverosimile.
La ricostruzione degli antefatti del crollo indica la Società di Collecchio attivamente presente negli Stati Uniti fin dal 1996, quando essa sponsorizzò una offerta sul mercato di American Depositary Receipts ("ADRs6"), tramite la Citybank, N.A., con sede a New York, come fiduciaria del deposito7 dei titoli finanziari.
Inoltre, dal 1998 a tutto il 2002, la
Parmalat8 aveva indotto gli investitori statunitensi ad acquistare proprie obbligazioni e azioni per un controvalore complessivo di circa 1,5 miliardi di dollari. Infine, da agosto a novembre 2003, la querelata Parmalat Finanziaria S.p.A., agendo attraverso alcuni suoi dirigenti di grado più elevato, inclusi l’ex-presidente e amministratore delegato Calisto Tanzi e suo figlio Stefano Tanzi9, offrirono titoli di debito (proprie azioni privilegiate) negli stati Uniti per un controvalore di 100 milioni di dollari10.
Ma questo vero e proprio "castello di carte" comincia a ondeggiare giusto negli ultimi mesi del 2003, quando, continua la "querelante" SEC, il 9 dicembre 2003, Calisto Tanzi, insieme a suo figlio Stefano Tanzi, si incontrò con i rappresentanti di una società di New York (di investimento, intermediazione privata e di consulenza finanziaria), per concordare una possibile vendita di una parte della Parmalat. Nel corso della riunione, in risposta a un commento di uno dei Tanzi sui problemi di liquidità della Parmalat, uno dei rappresentanti della società di New York notò che le dichiarazioni finanziarie della Parmalat mostravano che la compagnia aveva un larga disponibilità di liquidi. In risposta, Stefano
Tanzi11 affermò che non vi era liquidità e che in realtà la Parmalat disponeva soltanto di 500 milioni di euro liquidi12.
Infine13, la Parmalat riconosceva in un comunicato stampa (datato 19 dicembre 2003), che la sua situazione finanziaria (emergente dalla relazione di revisione del bilancio 2002), era sovrastimata di almeno 3.95 miliardi di euro (circa 4.9 miliardi di dollari al tasso corrente di cambio). Inoltre, alla fine del 2003 la Parmalat affermava (falsamente), nelle previsioni sulle azioni e sulle obbligazioni, che avrebbe utilizzato le proprie "eccedenze di bilancio di cassa" – in realtà inesistenti – per rifinanziare/rimborsare obbligazioni per 2.9 miliardi di euro (circa 3.6 miliardi di dollari), quando in realtà non rifinanziò nulla e i titoli rimasero non pagati. Infatti, alla fine del 2002 la Parmalat deteneva fittiziamente 3.95 miliardi di euro (circa 4.9 miliardi di dollari) di liquidità e di titoli in un conto presso la Bank of America di New York, aperto dalla società ‘Bonlat Financing Corporation‘ ("Bonlat"). La Bonlat è interamente posseduta dalla Parmalat e costituita presso le Isole Cayman14. I rendiconti finanziari del 2002 della Bonlat furono certificati da revisori dei conti compiacenti, e basati sulla falsa conferma che la Bonlat detenesse questo patrimonio presso la Bank of America. I rendiconti finanziari e gli ingenti capitali non esistevano e la dichiarazione fittizia di conferma era stata falsificata. Per di più, la Parmalat – allo scopo di sovrastimare compiutamente l’ammontare del capitale nei suoi rendiconti finanziari del 2002 e del 30 giugno 2003, consultabili dagli investitori statunitensi – fornì loro nell’agosto 2003 un memorandum15 sull’investimento privato che conteneva numerose disinformazioni materiali16 sulla situazione finanziaria della società.
Agendo in tal modo, la Parmalat, direttamente o indirettamente attraverso i suoi funzionari, ha violato le norme anti-frode del Securities Act del
193317. La SEC fa richiesta, tra le altre cose, che la Corte Distrettuale ingiunga alla Parmalat di astenersi dal commettere ulteriori violazioni delle leggi federali sulla sicurezza dei mercati, e che obblighi la Parmalat a pagare una adeguata penale monetaria, sulla cui entità, peraltro, la Securities Commission non si esprime (anche se le cifre miliardarie del caso parlano da sole).
Oltre a ciò, sono rimbalzate in Italia le denuncie presentate allo stesso Tribunale di New York da un gruppo di risparmiatori americani che chiederanno risarcimenti
miliardari18, in qualche caso già "agganciate" da investitori italiani19.
É curioso ricordare, come sia la seconda volta in un secolo che un
parmigiano20 riesca a truffare gli investitori americani. All’inizio degli anni Venti, fu Carlo Ponsi – più noto col nome adottato in America di Charles Ponzi – ad ingannare tanti risparmiatori di Boston. Divenne così famoso da essere, ancor oggi, citato in molti testi universitari, e da avere diversi siti internet a lui dedicati: Ponzi games e Ponzi finance sono i casi in cui il debitore paga gli interessi sul debito solo facendo nuovi debiti, almeno finché ci riesce. Perché questo è sempre vero quando si fa "finanza alla Ponzi": il fallimento è certo, se non viene fermato in tempo al costo dei necessari sacrifici. La crisi della Parmalat aveva da anni le caratteristiche di un gioco alla Ponzi. Ma con un’aggravante: la struttura stessa del complesso aziendale/societario.
Infatti, a ben vedere, e secondo l’opinione di qualche autorevole
tecnico21, nel caso Parmalat, qualunque addetto ai lavori esperto di fiscalità internazionale avrebbe potuto individuare con un anno di anticipo, una struttura a rischio d’insolvenza o comunque congegnata per fini non genuini, ben lontana dagli standard etici minimi richiesti a una società quotata. L’utilizzo di decine di piccole società e, soprattutto, alle sedici tra holding22 e subholding del gruppo Parmalat. Non tutte queste strutture trovano una chiara giustificazione commerciale. Si tratta di veicoli usa e getta, esenti da controlli, che non hanno nessun significato se non quello di permettere il transito di denaro su conti correnti. Un "puzzle geofinanziario" di così ampie dimensioni avrebbe dovuto generare grandissima prudenza negli operatori, specialmente in quelli bancari, inducendoli a porre domande e a pretendere risposte dagli amministratori.
Questo, in estrema sintesi e semplificazione, è solo l’aspetto iniziale del gigantesco "caso Parmalat", che si rivela ogni giorno più complesso e ramificato, e rischia di minare le fondamenta stesse del sistema economico
italiano23. Ma, a questo punto, deve essere la politica (le istituzioni europee e nazionali) a fornire la soluzione sistemica, perché di crisi sistemica si tratta, e non solo la Magistratura, chiamata invece a perseguire e a punire individualmente chi ha commesso specifici reati. Anche perché la dimensione e l’eco del crack Parmalat sono così ampie che rappresentano bene il paradigma della globalizzazione dei mercati finanziari. Il tracollo, infatti, è stato reso possibile da una rete mondiale di complicità e omissioni da parte di primarie banche e istituzioni finanziarie internazionali, e da parte di controllori interni ed esterni. Non è solo il frutto di frodi di falsari isolati, che decidono di "scappare con la cassa". L’internazionalizzazione dei mercati finanziari permette, infatti, ai truffatori di nascondere informazioni o di manipolarle facilmente, utilizzando paradisi fiscali nei quali controlli e trasparenza sono principi "molto poco conosciuti ed applicati".
Tutto il resto (e non è poco ciò che sta ancora emergendo…) è cronaca "giudiziaria" quotidiana, e la storia (nostro malgrado) continua…
Alberto Monari
Talvolta l’uomo d’affari di successo fa i soldi grazie alla propria abilità ed esperienza,
ma di solito li fa per sbaglio
Gilbert Keith Chesterton













1
V. il testo integrale della querela, con traduzione non ufficiale, (03 CV 10266 (PKC) COMPLAINT) in http://www.cittadinolex.kataweb.it/ gennaio 2004

2
L’insolvenza consiste nell’incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, e rappresenta un presupposto per la dichiarazione di fallimento (art.5 legge fallimentare, R.D. 267/1942). In particolare essa deriva dalla mancanza, nel patrimonio del debitore, dei mezzi occorrenti per effettuare i pagamenti dovuti e dall’impossibilità di procurarsi tali mezzi altrove, mediante, per esempio, il ricorso al credito degli istituti bancari o di altri soggetti.

3
"Complaint", tecnicamente, corrisponde al nostro termine "querela"; esso è stato presentato presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti per il distretto Sud di New York (UNITED STATES DISTRICT COURT FOR THE SOUTHERN DISTRICT OF NEW YORK), competente per gli illeciti commessi nell’ambito della Borsa valori di Wall Street.

4
La Securities and Exchange Commission (SEC) è l’ente statunitense che vigila sul corretto funzionamento dei mercati mobiliari ufficiali. Costituita nel 1933, autorizza, tra le altre cose, le offerte al pubblico di titoli e azioni. Sito Internet: http://www.sec.gov . E’ l’equivalente della nostra Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB).

5
"…in one of the largest and most brazen corporate financial frauds in history…"

6
American Depositary Receipts (ADRs): ricevute di deposito di titoli azionari esteri quotati alla Borsa di Wall Street. I loro detentori non posseggono materialmente i titoli ma esercitano tutti i diritti degli azionisti.

7
Il depositario (la banca) fornisce servizi di trasferimento come l’emissione e l’estinzione degli ADR, mantiene un registro di detentori, e distribuisce i dividendi in dollari americani.

8
"…attraverso l’opera di alcuni suoi alti dirigenti e direttori, inclusi Calisto Tanzi e il suo tesoriere Fausto Tonna, che hanno attivamente pubblicizzato le azioni e obbligazioni agli investitori statunitensi…"

9
"…La Parmalat, per offrire e vendere le azioni ha partecipato a numerosi eventi pubblici negli Stati Uniti, e in numerose occasioni ha indetto, presso la sede centrale italiana vicino Parma, i dovuti incontri di rito per gli acquirenti statunitensi delle obbligazioni…"

10
L’operazione 2003 è, poi, fallita a causa dell’assenza di qualsiasi garanzia specifica sulle azioni, dopo che i revisori dei conti sollevarono pesanti dubbi, non solo sull’ammontare dell’attivo (falsamente sovrastimato) di Parmalat, ma anche sul passivo, che si scoprirà in seguito essere stato "materialmente" (con dichiarazioni false) sottostimato.

11
Evidentemente di fronte all’ipotesi di vendita di un ramo aziendale, i signori Tanzi hanno dovuto fornire un quadro quanto più veritiero possibile della situazione…

12
Luciano del Soldato, allora direttore finanziario di Parmalat, nella stessa riunione, affermò che il debito della Parmalat ammontava allora a 10 miliardi di euro, debito molto più alto di quello risultante dal bilancio ufficiale presentato. Il Sig. Del Soldato indicò che il bilancio era falso anche laddove riportava che la società aveva rifinanziato (rimborsato) i 2.9 miliardi di euro delle obbligazioni emesse, rimborso in realtà mai effettuato.

13
Basandosi su queste rivelazioni, i rappresentanti della società di New York si offrirono di aiutare i Tanzi nella ristrutturazione dell’impresa, e li informarono che Parmalat doveva rendere pubblici i fatti così scoperti, pena la cessazione di ogni rapporto. Quando fu chiaro che i Tanzi non volevano adoperarsi in questo senso, i rappresentanti della società cessarono tutti i rapporti.

14
Le Isole Cayman sono un arcipelago del Mar dei Caraibi, dal 1962 colonia autonoma della corona britannica. E’ un noto paradiso fiscale, ovvero località che offre particolari garanzie di anonimato, sicurezza, e redditività per i depositi e gli investimenti. Tali condizioni sono in genere appetibili oltre che per l’evasione dalle imposizioni fiscali, per il riciclaggio del denaro di provenienza illecita, e in generale per le movimentazioni dei capitali di cui si intende far perdere le tracce.

15
Una delle pietre angolari dell’impianto normativo statunitense sulla disciplina dei mercati finanziari è la fiducia riposta sulla responsabilità civile di coloro che diffondono al pubblico degli investitori informazioni non veritiere, quale strumento per risarcire le vittime di operazioni finanziarie illecite e come "poliziotto del mercato". Non a caso si parla di "private attorney general" riferendosi al privato (o gruppo di privati nelle "class action", vedi oltre) che, agendo in giudizio (quasi come un pubblico ministero) per il risarcimento danni, indirettamente tuteli anche l’interesse generale alla trasparenza dei mercati finanziari. Cfr. Marco Ventoruzzo "Sanzionare chi bara con i prospetti" ne "Il Sole 24 ore" del 15/01/2004, pag.2.

16
Per esempio, il memorandum afferma falsamente che: "La liquidità è elevata, con un notevole bilanciamento di valuta e di titoli commercializzabili…"

17
La disciplina statunitense dei mercati finanziari presenta un singolare connubio di modernità e arcaismo. Basti pensare che i capisaldi della regolamentazione del settore sono due leggi, il Securities Act e il Securities and Exchange Act, che risalgono ai primi anni 30 del secolo scorso.

18
Alcune norme del diritto USA chiariscono quali sono i soggetti che possono essere chiamati a rispondere, quali difese essi possono sollevare, come debba essere distribuito l’onere probatorio tra le controparti, come debbano essere calcolati i danni subiti, ecc. Sono previsti anche strumenti che agevolano il ricorso all’autotutela giudiziaria da parte degli investitori, quali le "class action", che permettono ai risparmiatori in analoga posizione di "unirsi" e procedere come un unico soggetto per ottenere una sentenza produttiva di effetti ultra partes, cioè nei confronti di tutti i membri della categoria di soggetti danneggiati. Cfr. Marco Ventoruzzo cit.

19
A differenza delle azioni legali italiane (per il nostro ordinamento non esiste una figura autonoma di responsabilità per informazioni finanziarie false), qui si chiede il risarcimento di un danno derivante da atto illecito; quindi non è una causa contro la società per fare valere il proprio diritto di credito quali possessori di bond, e perciò la partecipazione alla "class action" non è incompatibile con le cause civili o penali italiane, ecco che alcuni Avvocati italiani specializzati stanno coordinando la partecipazione di risparmiatori nostrani ai processi americani. Dopo anni di disinteresse, anche in Italia si parla in queste settimane, di un testo di legge, già in discussione in Parlamento, sull’introduzione di questo istituto nel ns.ordinamento.

20
Cfr. "L’amara lezione di Charles Ponzi" di Giacomo Vaciago, ne "Il Sole 24 ore" del 14/01/2004, pag.4.

21
Uno dei più espliciti è stato Luca Poma, dirigente della Webster Company, società britannica specializzata in riorganizzazione aziendale e pianificazione fiscale internazionale; v. l’intervista riportata a pag.4 de "Il Sole 24 ore" del 14/01/2004.

22
Società finanziaria che detiene e gestisce delle partecipazioni azionarie in diverse imprese al fine di orientare la loro attività, conformemente alla strategia globale del gruppo di imprese, collegate alla società madre.

23
Cfr. R.Brunetta e A.Preto:"Regole cercansi; vigilanza, sta in Europa la via da seguire", ne "Il Sole 24 ore" del 13/01/2004, pag.1 e 13

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