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Guerra nel Golfo e Diritto Internazionale Umanitario: lezione da

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Guerra nel Golfo e Diritto Internazionale Umanitario:
lezione dal passato

«Le sole bombe intelligenti sono quelle che non esplodono»
(Anonimo)

La II Guerra del Golfo è stata ormai dichiarata ufficialmente conclusa anche se soldati di entrambe le parti (e non solo!) continuano a morire. Anzi, dai dati che la stampa internazionale ci fornisce, il numero delle vittime dalla conclusione delle ostilità risulta assai superiore a quello dei caduti in battaglia.
Strano! Ma neanche troppo!
Riordinando tra le carte del mio Studio, mi sono trovato tra le mani le pagine del resoconto steso nel 1996 dopo una missione in Iraq da un giovane giurista, sostenitore dei diritti umani, idealista di sani principi, fautore della possibilità di un nuovo ordine internazionale, che stava girando il mondo attraversando i campi di battaglia di mille guerre alla ricerca di esempi di applicazione o violazione delle norme giuridiche regolanti i conflitti armati: un insano turismo, direi, ma una meravigliosa esperienza di vita.
Inutile dire che questa relazione, insieme ad altre riflessioni condotte dallo stesso giovane, sia poi divenuta parte della sua
tesi di laurea1 e che, nonostante gli anni e le ulteriori esperienze vissute, quel giovane abbia conservato i suoi ideali e i suoi principi.
Oggi, proprio alla luce di quello che sta ancora accadendo in Iraq, e di quello che accadrà altrove, desidero solo riproporre quelle pagine, senza commento, ma disponibile, anzi disponibilissimo al confronto con chiunque vorrà aprire un dibattito.

«[…] durante il conflitto del Golfo, le forze armate delle potenze occidentali hanno sottoposto il territorio iracheno, e la città di Baghdad in particolare, ad un tale bombardamento aereo che difficilmente si sarebbe potuta mantenere la promessa della precisione dell’intervento che non avrebbe dovuto causare danni non necessari e, in particolare, alla
popolazione civile2.
Considerando il fatto che il quantitativo di ordigni lanciati sembra essere stato, in una settimana di bombardamenti su Baghdad, superiore a quello utilizzato dall’aviazione anglo-americana in cinque anni durante la
II Guerra mondiale3, e che tutte le potenze interessate (U.S.A., Regno Unito, Francia, Italia, etc.) sono parti non solo alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, ma anche ai due Protocolli addizionali del 1977, ed in particolare al I, si può individuare un comportamento non rispettoso del diritto internazionale da parte delle stesse forze. Gli articoli 52.1 e 57. 1 del I Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra dispongono infatti che "Les biens de caractère civil ne doivent être l’objet ni d’attaques ni de reprsailles.(…)" e "Les operations militaires doivent être conduites en veillant constamment à épargner la population civile, les personnes civiles et les biens de caractère civile.(…)". Tecnicamente si può, in questo caso, parlare di una violazione del diritto internazionale umanitario quale risulta dal sistema del diritto di Ginevra, essendo questo applicabile, a seconda dei casi, alle situazioni di conflitto armato, internazionale o non-internazionale, anche se simili azioni militari, i relativi danni apportati e le conseguenti perdite di vite umane, anche tra la popolazione civile, erano inserite in una operazione di polizia internazionale finalizzata al ripristino del diritto internazionale, violato dallo stesso Governo iracheno con l’occupazione del Kuwait, avente la copertura del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Si ricordi, infatti, quanto prevede l’art. 2, comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, per il quale "la présente Convention s’appliquera en cas de guerre déclarée ou de tout autre conflit armé surgissant entre deux ou plusieurs des Hautes Parties contractantes, même si l’étât de guerre n ‘est pas reconnu par l’une d’elles (…)".
Si consideri il fatto che l’unico strumento reale che si occupi dell’assoggettamento delle forze armate partecipanti ad operazioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite al diritto internazionale umanitario si ritrova nei Regolamenti per le singole operazioni; questi si rifanno tutti al modello emanato per la forza di intervento ONU in Egitto nel 1956-1957, nel quale all’art. 44 si legge che: "I membri delle Forze sono tenuti a rispettare i principi e lo spirito delle convenzioni internazionali generali relative alla condotta del
personale militare4". Tale formulazione è, però, sicuramente insufficiente.
Comunque sia, non vi dubbio che un comportamento similare tenuto in una situazione definibile di conflitto armato e riconducibile sotto il regime del diritto di Ginevra sia configurabile come una violazione dello stesso, aggravata dal gran numero di vittime civili (in maggior parte donne e bambini).
Per restare alle violazioni commesse dalle forze annate occidentali durante il conflitto del Golfo, si deve segnalare quella che potrebbe dimostrarsi avere le conseguenze più disastrose per i fanciulli non solo iracheni, ma anche statunitensi.
Si tratta dell’uso da parte del contingente militare americano di munizioni contenenti uranio impoverito, un metallo utilizzato per la sua resistenza e forte densità da industrie di vari settori, ma mai impiegato sino ad ora, almeno ufficialmente, in una
operazione militare5.
L’uranio impoverito ha una bassa tossicità chimica e radiologica, ma le polveri che produce in caso di scoppio e incendio sono facilmente trasportate dal vento e altamente radioattive e, in caso di inalazione da parte di esseri umani, danno inizio a processi genetici degenerativi che portano, nel giro di un periodo di tempo che va dai due ai cinque anni, all’insorgere di leucemie piuttosto che di
malformazioni genetiche ereditarie6. E questo è ciò che si è potuto riscontrare in molti soldati americani tornati dal Golfo: un aumento inspiegabile dei casi di leucemia fulminante e di bambini nati con gravi malformazioni tipiche della contaminazione da radioattività che si aggiungevano ai casi segnalati da numerose ONG operanti in Iraq7. Quindi, una contaminazione radioattiva sia della popolazione irachena sottoposta a bombardamento, che delle truppe, irachene e americane, in campo.
Tutto
ciò8, se considerato alla luce delle obbligazioni derivanti dal diritto internazionale consuetudinario, poi codificato in strumenti convenzionali, quali ad esempio l’articolo 35 del I Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra, di non causare mali superflui o danni eccessivi in rapporto allo scopo perseguito, di non usare armi che colpiscano senza discriminazione e di distinguere in ogni caso tra popolazione civile e militari9, deve riconoscersi la gravità dell’atto compiuto proprio in relazione alla vastità delle conseguenze dello stesso, conseguenze che andranno a ripercuotersi a distanza di anni anche su persone, tra cui molti bambini, che con il conflitto non avranno avuto nulla a che vedere.
A questo punto rimane da analizzare una spinosa questione, quella dell’embargo e della situazione in cui ora si trova 1’Iraq a causa di questa misura, situazione che può definirsi di economia di guerra nonostante il conflitto si sia concluso ormai da cinque anni.
I più recenti rapporti delle Agenzie delle
Nazioni Unite10 hanno evidenziato lo stato di pre-carestia che sta attraversando il Paese a causa della mancanza di beni di prima necessità cui il Governo ha cercato di ovviare con larghe distribuzioni di derrate alimentari. Ma la situazione risulta aggravata anche da altri fattori: l’aumento della mortalità infantile sotto i cinque anni (triplicata dal 1990), l’abbassamento del tasso di apprendimento nelle scuole primarie, l’aumento dell’evasione dell’obbligo scolastico, l’aumento del lavoro minorile, la ricomparsa di malattie che si pensavano debellate e che ora portano alla morte (quali la diarrea, il marasma, etc.11), tutti dati che fanno pensare e riflettere, in particolare quando si ha l’occasione di attraversare i villaggi iracheni a piedi, o di visitare una scuola elementare o le corsie di un ospedale.
Non è certo questa la sede per discutere la questione del fondamento giuridico delle sanzioni, effetto delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 661 del 6 agosto 1990 e n. 687 del
3 aprile 199112, ma in base agli obblighi derivanti dall’articolo 23 della IV Convenzione di Ginevra e dall’articolo 54 del I Protocollo addizionale, che prevedono la possibilità di invii di medicinali, viveri e capi di abbigliamento e la protezione dei beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile, ci si deve chiedere a quale concetto di legalità internazionale rispondano le modalità di applicazione di tali sanzioni quando, come nel caso di specie, a pagarne le conseguenze sia una popolazione civile inerme, impossibilitata ad influire sul processo decisionale tanto in politica interna quanto in quella estera, ed in particolare la sua fascia più debole, vale a dire i bambini.
Bambini che, in questo caso, non vengono tutelati da nessun punto di vista ed il cui
interesse superiore13, principio cardine della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, che dovrebbe guidare ogni azione dei grandi della terra, viene schiacciato in nome del ripristino del diritto internazionale violato.
Quando si vede che anche l’elementare diritto al gioco non è reso possibile, perché mi risulta impossibile che dei bambini possano giocare serenamente in una discarica tra rifiuti di ogni genere e topi, allora ogni genere di domanda sul senso della legalità da ripristinare pare vana, e si ha solo voglia di donare un sorriso a quei piccoli monelli bruni e di tirare con loro quattro calci ad un pallone […]».

Davide Caocci

1
Cfr. D. Caocci, La protezione dei fanciulli nei conflitti armati: diritto internazionale umanitario vigente e analisi di alcune situazioni di crisi, tesi di laurea in Giurisprudenza, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, 1996.

2
Cfr. N. Lefkir-Laffitte e R. Laffitte, L’Irak sous le déluge, Paris, 1992, p. 59 e segg.

3
Ivi, p. 32 e segg.

4
Cfr. P. Verri, Appunti, cit., p. 109 e segg.

5
Cfr. W. M. Arkin, The desert glows wirh propaganda, in Bulletin ofdromic Scientist, mai 1993, p. 63 e segg.

6
Spiegazione del dottor Siegwart-Horst Gunther, esperto in malattie infettive ed epidemiologia.

7
Cfr. General Accounting Office, Operation Desert Storm: Army Not Adequately Prepared to Deal with Depleted Uranium Conraminarion, Washington D. C., 1993, p. 25 e segg.

8
Cfr. anche N. Lefkir-Laffitte e R. Laffitte, Armes radioactives contre l’"ennemi irakien", in Le Monde diplomatique, avril 1995, p. 22.

9
Cfr. P. Verri, Appunti, cit., p. 42 e segg.

10
Cfr. UNICEF, Emergency Activities in Iraq, 1991-1995. Baghdad, 1995; FAO, Valutazione della situazione alimentare e nutrizionale in Iraq. Tradotto a cura dell’ONG Un Ponte per Baghdad, Roma, 1995, p. 5 e segg.

11
Ivi, p. 7.

12
Cfr. Associazione Europea Giuristi per i diritti dell’uomo e la democrazia nel mondo, Lettera agli Stati membri dell’Onu: "Sull’embargo all ‘Iraq si pronunci la Corre dell’Aja". Traduzione a cura di D. Gallo, Roma, 1995, p. 2.

13
Cfr. testo relativo all’articolo 3 in UNICEF, Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.

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