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Zugzwang

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Zugzwang


"Zugzwang" è il termine che negli scacchi designa "quella situazione tattica o strategica per la quale, inevitabilmente, chi la subisce è forzato alla perdita di materiale e, perciò, alla sconfitta." (S. Mariotti – Manuale degli scacchi)

Copenhagen. Un giorno imprecisato del 1923 due tra i più grandi giocatori di scacchi dell’epoca stanno per iniziare la loro partita:

[Event "Copenhagen"]
[Date "1923.??.??"]
[White "Samisch, Friedrich"]
[Black "Nimzowitsch, Aaron"]
[Result "0-1"]
[ECO "E06"]


1. d4 Nf6 2. c4 e6 3. Nf3 b6

Un tempo … un tempo questa città aveva un nome. Un nome, degli abitanti, una vita, dei rumori, dei suoni, dei colori. Il fiume era un’aorta di linfa vitale che nutriva i palazzi di acciaio e vetro. La città, così titanica nelle sue dimensioni da soffrire di gigantismo, era un immenso calderone di razze mischiate, di promiscuità e di eccessi; esaltazione della tecnologia fino alla sperimentazione più schizoide ed inimmaginabile. L’unica città della Terra ad avere un satellite per il controllo del microclima. Il satellite, la città, il fiume: uniti tra loro da trame invisibili, in simbiosi perfetta.
Così, quando il satellite si guastò, tutto andò in rovina. Una zona di alta pressione s’instaurò perennemente sulla città, i venti cessarono di spirare e di acqua piovana neppure l’ombra. L’afa crebbe, il calore con lei e l’umidità raggiunse livelli al limite della sopportazione. La gente cominciò ad andarsene e tutto si trasformò in un deserto.

4. g3 Bb7 5. Bg2 Be7 6. Nc3 O-O

Osservo la schiuma del Lethe ritirarsi dalla banchina in calcestruzzo e affondare nella corrente verde. Un tempo anche questo fiume aveva un nome diverso, poi tutti iniziarono a chiamarlo il fiume infernale e infine Barrell, l’ultimo Custode rimasto in questa dannata città, decise di ribattezzarlo Lethe. Un fiume morto, come i palazzi fra cui scorre. I vortici si susseguono a onde di spuma grigiastra che riportano in superficie alghe e pesci capovolti. Le ultime imbarcazioni incrostate ondeggiano sull’acqua oleosa, un tempo avrei pagato qualsiasi cosa per possederne una.

7. O-O d5 8. Ne5 c6 9. cxd5 cxd5

Stacco gli occhi dal fiume e guardo in cielo un dirigibile di controllo sorvolare radente i grattacieli a specchio. Il pachiderma si allontana silenzioso scivolando tra due torri gemelle. Imitandolo mi alzo in piedi e mi incammino sull’asfalto polveroso alla ricerca di un bar ancora aperto. Non tutta la popolazione di questa titanica città se ne è andata, alcuni rimangono, tentano la sorte, sperano. Io sono uno di loro. Ma la maggior parte di chi vive ancora qui è solo feccia, un ammasso di balordi, diseredati, vagabondi, morbosi, bastardi, maleodoranti, fottuti, derelitti, voraci mangiamerda. E perché tutta questa gente non se ne va? Bella domanda.

10. Bf4 a6 11. Rc1 b5 12. Qb3 Nc6

Sento delle sirene e mi fermo ad attendere che passi il furgone della MetroPolizia. Sicuramente è stato pescato un altro cadavere nel Lethe: una puttana forse, oppure un tossico imbottito di ipno/visual, la nuova droga. Ipno/visual, il nome è bello, è di Barrell, la droga molto meno. Ne fa uso circa l’85% degli abitanti della città. E’ una polvere verde che provoca allucinazioni audio-visive e spasmi psicomotori. Non è raro vedere qualcuno lanciarsi in danze salmodianti in onore di divinità pagane. Follia.
Comunque sia, il furgone mi passa accanto come una freccia blu elettrico e io riprendo la mia passeggiata. C’è ancora una polizia qui in città, ma non mantiene più l’ordine da anni. Si limita a tenere pulite le strade dai cadaveri di uomini e topi. Penso che i poliziotti siano una trentina appena. Rimangono qui solo perché sono pagati dieci volte lo stipendio ordinario.

13. Nxc6 Bxc6 14. h4 Qd7 15.Kh2 Nh5

Le sirene si allontanano scemando e io ho raggiunto la torre del Grande Thor, il simbolo. E’ la più grande costruzione della città, 500 metri di acciaio che grattano il cielo. Un’intera città. La torre è stata concepita da Barrell il Custode e la sua realizzazione è durata alcuni anni. Lo spettacolo che offriva era immenso. Quando il satellite era ancora funzionante e programmava temporali tutti i fulmini venivano attratti dal Grande Thor che convogliava in accumulatori l’enorme carica elettrica. Chi l’ha visto funzionare dalle colline, assicura che era una visione allucinante. Lo "spillone", come lo chiamavano alcuni, era un gigantesco parafulmine che forniva energia a gran parte della titanica città. Ma ora il satellite è guasto e il sole si riflette inesorabile sui palazzi di vetro deserti, scomponendosi in mille palle di fuoco che irradiano luce.

16. Bd2 f517. Qd1 b4 18. Nb1 Bb5

Un’insegna al neon sfrigola nel silenzio delle vie, spazi vuoti fra torri cave. Entro e vengo accolto dalla nebbia dei fumatori d’oppio, dall’odore di alcool puro e sudore e dagli sguardi stravolti dei consumatori di ipno/visual. Con un cenno chiedo a quello che mi sembra il barista un po’ di alcool freddo che mi viene servito in un recipiente incrostato. Il liquido mi fresa l’esofago mentre scende con impeto verso lo stomaco, la spina dorsale si scuote e trovo un po’ di sollievo dopo la calura esterna.
Mi guardo intorno e disgustato decido di uscire, mi perdo tra le vie deserte. Il mio termometro da polso segna 40 gradi e 75% di umidità. Non c’è male oggi. La camicia di seta sbottonata mi si incolla sulla schiena sudata e i pantaloni mi avvolgono le gambe come stretti sudari.

19. Rg1 Bd6 20. e4 fxe4 21. Qxh5 Rxf2

Continuo a camminare nel caleidoscopio lucido delle torri argento-acciaio. Un uomo seminudo e macilento si avvicina. Lo ignoro ma lui continua a mormorare qualcosa di incomprensibile. Con una spinta lo stendo sull’asfalto bollente e non aspetto che si rialzi. Forse non lo farà mai più. L’alcool freddo ha ormai terminato il suo effetto e comincio a sentire di nuovo la cappa d’afa. Guardo in alto, il cielo terso e i palazzi luccicanti, testimonianza di un passato morto, di un presente in agonia e di un futuro che non esisterà. Cammino fra le colonne di R’leyh, la città dormiente negli abissi degli oceani; fra i dedali del palazzo di Minosse; le catacombe romane; l’Inferno di Dante. Non esiste un altro posto come questo.

22. Qg5 Raf8 23. Kh1 R8f5 24. Qe3 Bd3

Sento di nuovo le sirene della MetroPolizia e conto mentalmente un’altra vittima del Lethe. Seguo il rumore e ritorno sulla riva del serpente fangoso. Un’enorme scavatrice sta sollevando montagne di melma fra cui affiorano corpi decomposti di uomini, pesci e ratti enormi. Sento alcuni poliziotti parlare di vittime della rapina di due giorni fa, quando un carico di neve virtuale è stato sottratto all’esercito. Si stanno sbagliando, quei morti non c’entrano, sono tutti morti suicidi. La gente può fare solo due cose qui: andarsene o cercare refrigerio nelle acque sudice del fiume. I più sbandati salgono su un ponte, sospirano, bestemmiano e si gettano nei vortici del Lethe, poi è compito della MetroPolizia andarli a ripescare. Gli altri se ne vanno piano piano come minuscoli vermi senza ossatura. Questa città resterà senza abitanti quando anche io me ne andrò.

Epilogo: 25. Rce1 h6 0-1

Piove! E in città ci sono rimasto solo io.
C’è qualcosa di mistico, quasi estatico, nei rigagnoli che si formano lungo le vetrate del mio appartamento. Il Lethe, in secca, torna a gonfiarsi spumeggiando e vorticando. Le sue acque non sono più verdi e scorrono impetuose e fluide.
Da alcuni giorni vago fra le cattedrali di cemento, torri immaginate senza anima, montagne di nulla, vago senza incontrare vita. Né uomini, né animali, né drogati, né puttane. Sono solo, l’ultima scintilla di una città che sta affogando. Anche lei in definitiva, sta gettandosi nel fiume per cercare refrigerio. Se le piogge continueranno gli argini verranno scavalcati, le acque sommergeranno tutto, il Grande Thor crollerà sotto l’impeto dell’inondazione e tutti i peccati verranno lavati via. Anch’io me ne andrò di qui come un capitano pazzo, incapace di affondare con la propria nave. Scivolerò lontano, con una nuova identità, con una nuova vita, un nuovo fiume e il carico di neve virtuale che ho rubato all’esercito. Io l’ultimo abitante. Io il Custode.

Io, Barrell.

Stefano Boni

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