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FEFF/FFF – Festival a Confronto

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L’undicesimo Far East Film Festival di Udine mi da l’occasione di parlare anche del Futur Film Festival di Bologna di quest’anno, che in parte ho seguito (ma che fino ad ora non ero riuscito ad illustrare), segnalandovi, in fondo all’articolo, alcune pellicole da me visionate.
I due Festival hanno molto in comune: nascono insieme (entrambi hanno festeggiato il traguardo dei dieci anni e sono all’undicesima edizione), e per molti aspetti sono complementari. Il Festival di Udine propone annualmente le pellicole locali di maggiore incasso nelle varie cinematografie orientali, ma attua anche la scelta, soprattutto per quanto riguarda certi mercati (Giappone in testa), di non occuparsi dell’animazione (sempre in testa ai botteghini),  ruolo invece svolto dal Futur Film Festival. Di conseguenza le pellicole proposte dai due Festival sono spesso intercambiabili. Al FEFF di Udine si è sempre assistito alle proiezioni di live action tratti da grandi successi manga ed anime (come “Death Note” o “Nana”), argomenti trattati anche dal FFF di Bologna (si ricordi il “Nana day” di un paio di  anni fa). E viceversa anche Bologna propone pellicole, come “20th Century Boys” versione live action o “Paco and the Magical Book” di quest’anno, che si sarebbero potute tranquillamente visionare anche ad Udine. Ma se il FEFF di Udine conferma ogni anno un successo crescente ed un’organizzazione ormai consolidata, sembra invece che il FFF di Bologna non riesca ancora a trovare una sua strada delineata. Negli ultimi anni le sedi di proiezioni sono sempre mutate, le presenze sono contraddittorie ed incostanti, con proiezioni, soprattutto negli eventi del fine settimana, che alternano sale esaurite e code all’ingresso, a sale pressoché vuote. Quest’anno ad esempio il Futur Film Festival aveva approntato strutture meno capienti rispetto all’edizione del 2008, che mi avevano indotto a pronosticare un’insufficienza numerica per soddisfare questo tipo di evento. Invece ho dovuto constatare che, tutto sommato, la capienza è risultata sufficiente. Il che mi lascia un po’ perplesso, e conferma che in tutti questi anni il FFF non abbia inciso in maniera decisiva sul pubblico, e non abbia creato una buona e costante base, tale da garantire continuità ed aumentare il prestigio che meriterebbe. Eppure c’è l’impressione che il pubblico che si interessa ai due Festival sia il medesimo, sono entrambi generi e cinematografie “di nicchia”, nel senso che utilizzano poco i canali ufficiali delle sale cinematografiche per farsi conoscere, ma piuttosto internet, e sia il cinema orientale che l’animazione trovano molti amanti e riscontri positivi proprio in rete. Quindi non riesco a darmi una spiegazione precisa di come i due Festival abbiano un differente successo. Certo, l’animazione giapponese che è molto popolare in rete è soprattutto quella seriale, e per ovvi motivi di tempo non è possibile trasmetterla ai Festival se non in maniera incompleta, ma anche i lungometraggi hanno molto successo in rete. Forse per alcuni aspetti, il FFF è ancora troppo legato ad una proposta ed una promozione di tipo televisivo, e non riesce completamente a svincolarsi dalla logica di un genere d’animazione indirizzato ad un pubblico prevalentemente di bambini, logica in Italia, a mio parere, ancora ampliamente cavalcata, nonostante sia largamente dimostrato che il genere d’animazione sia stato sdoganato nei concorsi ufficiali dei maggiori Festival Internazionali (Cannes, Venezia, Berlino). Forse il FFF di Bologna non ha sempre i mezzi per assicurarsi le uscite più rilevanti che possano fare da richiamo. Ricordiamo che il Festival di Venezia si è un po’ sostituito in questo ruolo, proponendo lavori di registi molto importanti da Miyazaki a Satoshi Kon. Ma al di là di queste considerazioni, le proposte bolognesi rimangono comunque di grande interesse, ed anche ad un Festival come quello di Annecy, considerato forse il Festival d’animazione più importante d’Europa, vengono presentati eventi già proposti al Festival di Bologna di quest’anno (“Genius Party” e “Sword of the Stranger” fra gli altri). Quindi la qualità c’è, il fatto di avere l’impressione di presenze minori ed incostanti (anche se andrebbero valutati dati precisi) probabilmente è da imputarsi alla struttura di un Festival ancora un po’ acerbo. È stato dimostrato, infatti, che l’organizzazione e la riuscita dei Festival in Italia è determinata anche dalla capacità di investire su personaggi e strutture. Il caso di Torino è emblematico, un Festival consolidato da vent’anni, ma che non riusciva più a trasmettere nuovi stimoli, con la sola presenza di un direttore nuovo come Moretti, ha notevolmente aumentato le presenze e l’interesse generale, nonché anche la qualità proposta. In un periodo storico in cui i Festival del cinema sembrano essere molto amati, l’augurio è che anche il FFF di Bologna possa ben presto trovare una struttura consolidata come quella del FEFF di Udine, perché l’interesse c’è e la proposta è allettante, e se si ha voglia di condurre il cinema verso platee più ampie e riportare le sale al centro del movimento cinematografico, contrapponendosi ad un mercato cieco ed arrogante che non ha più senso di esistere, sfruttando anche le esperienze ed i materiali che magari si raccolgono nella rete, sono convinto che inevitabilmente si passi anche da queste manifestazioni.
Descrivendo un po’ più nel dettaglio questa undicesima edizione del FFF, è stata caratterizzata dal ritorno del 3D stereoscopico (quello, tanto per spiegare, in cui bisogna indossare gli occhialini), con un’intera giornata dedicata al tema, il “3D Day”, genere in cui ormai le case cinematografiche sembrano puntare decisamente per il futuro. Personalmente non credo che possa rappresentare qualcosa di particolarmente innovativo, soprattutto se fine a sè stesso. Infatti anche in questa edizione, le cose migliori le ha fatte vedere il più classico cinema giapponese.
 
“20th Century Boys” di Yukihiko Tsutsumi (Giappone, 2008).
Uno dei titoli più attesi, primo film della trilogia live action tratta dal famoso manga di Naoki Urasawa, serie di 22 volumi (più un’ulteriore serie di due volumi “21st Century Boys”) considerata un autentico capolavoro, eccezion fatta per un finale che ha lasciato diverse perplessità e giudizi molto contrastanti nei fan. Questo primo film rimane molto fedele al manga, e mantiene quindi tutte le caratteristiche affascinanti della storia. Il gioco di un gruppo di bambini, che dalla loro base segreta scrivevano e disegnavano un futuro in cui salvavano il mondo da una terribile minaccia, diventa la nuova Bibbia. Anni dopo infatti, qualcuno sta cercando di realizzare il loro gioco, qualcuno che conosceva il contenuto del loro quaderno, qualcuno che utilizza i loro simboli e le loro storie per conquistare il potere. Questo qualcuno è l’Amico e si nasconde dietro una maschera. Riusciranno a fermarlo?
Storia fantastica, apocalittica ed inquietante, perché rappresenta il potere e le sue degenerazioni, le pericolose menzogne che un lider può innestare su una massa suggestionabile. Come al solito, è la volontà di pochi singoli, animati da un grande senso di giustizia, a poter contrastare il male che incarna il potere della società.
 
“Genius Party” di Atsuko Fukushima, Shoji Kawamori, Shinji Kimura, Yoji Fukuyama, Hideki Futamura, Masaaki Yuasa, Shinichiro Watanabe (Giappone, 2007).
“Genius Party Beyond” di Mahiro Maeda, Kazuto Nakazawa, Shinya Ohira, Tatsuyuki Tanaka, Koji Morimoto (Giappone, 2008).
Sono due film di animazione ad episodi sul genere del progetto “Animatrix”, diretti dai migliori animatori indipendenti giapponesi. Molto interessanti per la tecnica e la grande varietà stilistica e di linguaggi utilizzati. Rimane sempre un po’ il limite, per questo tipo di pellicole, della frammentarietà del discorso, ancora più accentuato in questo caso, dal tema libero in cui gli autori dovevano cimentarsi.
 
“Angel on the Run” (titolo provvisorio) di Yoshinobu Yamakawa (Giappone, 2008).
Interessante pellicola tratta da un manga di Shinichi Hiromoto e prodotta dalla MadHouse. Protagonista è una liceale che viene proiettata in una scuola infernale, popolata di bizzarri personaggi, tra cui un preside caricatura di Elvis Presley. Lavoro non lineare, in alcuni punti di non facilissima comprensione, ma estremamente suggestivo, con una grafica “schizzata” estremamente affascinante.
 
“Sword of the Stranger” di Masahiro Ando (Giappone, 2007).
Completamente differente dal precedente “Angel on the Run”, sia negli argomenti che nella grafica pulita delle produzioni classiche, questa raffinata pellicola affronta uno dei temi classici della cinematografia d’animazione giapponese. Film storico, ambientato nel Giappone feudale, dove un guerriero vagabondo ed un bambino devono affrontare un misterioso intrigo, che vede protagonista un esercito straniero nemico.
 
“Paco and the Magical Book” di Tetsuya Nakashima (Giappone, 2008).
Tetsuya Nakashima non è nuovo agli schermi italiani, già visto al Far East Film Festival di Udine con le sue due precedenti pluripremiate opere,  “Kamikaze Girls” e “Memories of Matsuko”.
Il suo genere alterna momenti comici e demenziali a momenti sentimentali e drammatici, il tutto rappresentato in chiave molto colorata e a tratti psicadelica. In questo film viene utilizzato in maniera consistente anche la computer graphics, per descrivere una favola commovente, ma anche divertente, dove una bambina che ha perso la memoria, riuscirà con la propria dolcezza a conquistare il cuore di tutti gli strampalati protagonisti che le gravitano intorno.
 
La cinematografia giapponese è quella che a mio parere offre sempre gli spunti più interessanti, anche se ovviamente non monopolizza il Futur Film Festival. Tanto per citare altri titoli di quest’anno le produzioni e coproduzioni targate USA hanno rappresentato altrettanti eventi importanti. Pellicole come “Igor” di Tony Leondis (USA-FRANCIA 2008), “The Tale of Despereaux” di Sam Fell e Robert Stevenhagen (UK-USA, 2008), nei nostri cinema dalla fine di aprile, “Bolt – Un eroe a quattro zampe” di Chris Williams (USA, 2008), film di Natale proposto qui a Bologna nella versione 3D, sono ottimi rappresentanti, anche se non straordinariamente originali, di uno stile consolidato e di un prodotto di sicuro richiamo al botteghino. Unico rammarico è di non essere riuscito a vedere l’ultima opera di Bill Plympton “Idiots And Angels”, uno degli esponenti più originali del cinema underground di animazione americano.

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