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Radiohead

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RADIOHEAD:

esploratori cibernetici

Proviamo a cominciare dal fondo.
Solo seguendo l’invito a rallentare la nostra folle corsa, che ci viene rivolto, senza mezzi termini (“hey man, slow down, idiot slow down”), nella quieta e avvolgente “The tourist” che conclude il disco, saremo in grado di entrare nell’universo dei Radiohead e solo allora forse potremo compiere il viaggio emozionale che un lavoro come “Ok computer” propone.
La fredda voce del computer ci invita (o si tratta di un ordine?) a una maggior produttività e a un’esistenza regolata dagli schemi costruiti da chi vuole controllarci e rinchiuderci in gabbia, facendoci credere di essere felici tra le sue sbarre, come nelle peggiori utopie negative che tanti autori di fantascienza (e non) ci hanno prospettato nelle loro opere.
Nessuna sorpresa, nessuna scossa alla squallida esistenza di chi accetta tutto questo, ma non possiede forse una così bella casa e un giardino così ben tenuto? , allora “no alarms and no surprises, please”.
E doveroso rallentare, per chi è ancora in grado di farlo, fino a fermarsi per potere riflettere e chiederci se questa è la vita che vogliamo veramente o non stiamo invece vivendo come qualcun altro ci impone per poterci più agevolmente controllare: “fitter, healthier and more productive” ma con dentro “the emptiest of feelings”.

E’ questa la musica dell’anima?
Suoni elettrici, laceranti, ma anche aperture acustiche; canzoni che ad ogni ascolto rivelano una nuova chiave di lettura e, su tutto, la voce di Thom Yorke, ora placida, ora capace di impennate lancinanti e disperate (ascoltate in “Exit music” quali emozioni è in grado di far provare a chi ascolta), a conferire quel fascino ambiguo che risulta forse spiazzante ma anche di grande presa emotiva.
I Radiohead sono passati negli anni dalle più immediate e semplici canzoni di un lavoro pur valido come “Pablo Honey”, attraverso l’ottimo “The Bends”, ad un’opera di estremo spessore che la dice lunga sulle loro ambizioni e sul loro processo di maturazione compositiva spingendoci a chiederci dove potranno arrivare in futuro se già ora si dimostrano a tal punto innovativi.
Quanto detto non porti a credere che il gruppo abbia composto un insieme di pezzi ostici e di difficile ascolto, al contrario siamo di fronte a un lavoro musicalmente di grande valore, anzi lo stesso potere simbolico ed evocativo dei testi non potrebbe essere pienamente efficace se non fosse supportato, com’è, da sonorità estremamente curate, che riescono a dar vita a un’atmosfera di grande intensità.
Certo, accanto a pezzi di maggiore immediatezza come le splendide “Let down” e “No surprises”, compaiono canzoni che mostrano tutto il loro potenziale solo dopo più di un ascolto, o, per meglio dire, acquistano qualcosa nel corso di ciascun ascolto, ma in fondo questo discorso vale per tutto l’album e coinvolge quindi anche i pezzi citati in precedenza.
Melodie che agiscono in profondità, parole che colpiscono come fruste e scuotono il cuore e l’animo; tutto questo ci offrono i Radiohead: un brutto colpo a chi crede che la musica sia soltanto intrattenimento.
Ma, un momento, il computer ha messo “La Macarena”; presto ! Tutti in fila ! A ballare !!

Cesare Mortera

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