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Pena di morte

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Pena di morte o omicidio autorizzato?

“Quale può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i propri simili?” Così si esprimeva già nel 1764 Cesare
Beccaria, autore dell’opera “dei delitti e delle pene”, in cui dichiarava la sua opposizione verso la pena di morte e la tortura e dichiarava la necessità di mitigare le pene corporali. Oggi, XX secolo, la pena di morte sussiste in molti paesi fra cui l’America, simbolo di sviluppo, progresso e civiltà. Essa è l’uccisione premeditata e a sangue freddo di una persona da parte dello stato, è un enorme potere concesso allo stato che può privare un individuo della vita. In molti stati è usata in modo discriminatorio contro i poveri o le minoranze etniche e razziali, spesso diventa strumento di repressione politica. La natura irrevocabile della pena di morte impedisce non solo il diritto della vittima a battersi per dimostrare la sua innocenza, ma anche la possibilità per la giustizia di correggere i suoi errori.
I governi che mantengono la pena capitale perlopiù affermano che essa
è necessaria per soddisfare un particolare … della società ed esso varia da paese a paese, e a seconda dei diversi periodi storici: prevenire ed evitare omicidi, sconfiggere il traffico di droga, impedire atti di terrorismo politico, ostacolare la criminalità economica. In realtà non vi sono prove che dimostrino che le esecuzioni abbiano un maggior effetto deterrente rispetto all’ergastolo, anzi per alcuni reati, come quelli a sfondo politico, o gli atti di terrorismo o di fanatismo, la loro minaccia e la possibilità del martirio politico possono persino facilitare la commissione del crimine. Lo stesso Cesare Beccaria affermava: “Non è il terribile ma passeggero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà che ricompensa con le sue fatiche quella società che ha offeso che è il freno più forte per i delitti”. La pena di morte crea anche l’illusione che si stiano prendendo delle misure forti contro la criminalità e distoglie l’attenzione dalla necessità di misure ben più complesse che potrebbero arginare e prevenirla.
Molti affermano che dietro la pena capitale, specie per i reati di omicidio, vi sia il desiderio di vendetta mascherato da principio di giustizia, specie dei familiari della vittima, ma in parte anche della società civile. Questo desiderio può in certi limiti essere compreso ma certo lo stato deve resistere alla tentazione di vendicarsi. Se i codici moderni non ammettono come pene lo stupro di uno stupratore o la tortura di un torturatore non è certo perchè tollerano tali reati, ma perchè la società si deve basare su un sistema di valori diversi da quelli che condanna, “le leggi per allontanare i cittadini dall’assassinio ordinano un pubblico assassinio” (Cesare Beccaria). Se si dice che alcuni criminali meritano di morire lo stato deve poter determinare esattamente quali sono queste persone ma tutti i sistemi giudiziari sono vulnerabili verso la discriminazione e l’errore, la realtà della pena di morte è che nella scelta di chi verrà giustiziato o no giocano spesso fattori estranei alla natura del crimine, come l’ambiente etnico e sociale, i mezzi finanziari, le opinioni politiche del reo o le esigenze elettorali di alcuni governatori. Come se tutto questo non fosse sufficiente a convincere sull’ingiustizia della pena di morte bisogna considerare anche il fatto che essa vìola la convenzione dell’O.N.U. sui diritti umani del 1948 la quale afferma che nessun individuo potrà essere sottoposto a torture o a trattamenti o punizioni inumane o degradanti. Se appendere una persona per le braccia finchè non provi un dolore insopportabile è condannato come tortura come si può allora definire l’impiccagione? Se applicare 100 volt di elettricità alla parti più sensibili del corpo di un uomo provoca disgusto e sdegno, quale deve essere la reazione quando sono applicati 2000 volt al suo corpo per ucciderlo? Se una pallottola paralizzante o una sostanza chimica iniettata per provocare dolore prolungato sono strumenti di tortura come devono essere chiamati quando sono usati per uccidere per mezzo del plotone di esecuzione o dell’iniezione letale? C’è da chiedersi se la presenza di un procedimento legale può davvero giustificare la loro disumanità.
C’è chi afferma che la pena di morte debba essere applicata solo per i reati più efferati, ma i diritti umani valgono e devono valere sia per i peggiori sia per i migliori degli uomini, perchè proteggono tutti noi. Spesso è l’opinione pubblica che richiede la pena capitale e questa giustificazione fa riferimento a sondaggi, ma il rispetto dei diritti umani non può dipendere dall’opinione pubblica; se una persona compie un gesto terribile può “meritarsi” di essere torturata o imprigionata senza processo o uccisa a vista? Credo che si debba necessariamente concordare con Beccaria quando afferma che “non è l’intensità della pena che fa il maggior effetto sull’animo umano ma l’estensione di essa, perchè la nostra sensibilità è più facilmente mossa da minime ma replicate impressioni che da un forte ma passeggero evento”. Serve quindi per arginare la criminalità non il ricorso alla pena di morte ma pene certe e misure di prevenzione dei reati come il lavoro su importanti fattori socio-economici quali la povertà, la disuguaglianza sociale, disoccupazione, emarginazione, discriminazione e l’effetto stigmatizzante delle istituzioni carcerarie che possono essere fattori criminogenetici.

Francesca

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