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Diario di Viaggio – 9

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Diario di Viaggio – 9

Per un attimo, quando un cameriere elegantissimo mi chiede gentilmente se ho prenotato, rimango un po’ titubante. L’interno del locale è gremito di giapponesi che cenano. Il locale stesso è alquanto atipico per il Giappone, mentre a me richiama memorie di casa. Di fianco all’ingresso una rastrelliera porta in bella mostra una serie di vini italiani pregiati. Gli avventori usano forchetta e coltello al posto dei soliti hashi. Fuori, una insegna dichiara un improbabile nome italianeggiante, “Divo Diva”. Come mai siamo finiti qui? Torno indietro con la memoria ad alcune settimane prima della partenza, quando davanti ad una tazza di sen-cha il mio sensei mi raccontava di questo suo carissimo amico giapponese che gestiva un ristorante italiano a Kyoto. “Se ci passate, vi prego di salutarmelo”, mi diceva.
Ed eccoci qua. Il posto è per clienti facoltosi, e vogliamo soltanto portare i suddetti saluti. Mi sforzo di tirare fuori il mio miglior giapponese, e dico al cameriere che no, non abbiamo prenotato, ma che vaniamo dall’Italia e che siamo allievi di un amico del padrone del locale. Non so se ha capito tutto quanto, ma quando sente la parola
“Italia” cambia subito espressione. “Se potete aspettare un po’ vediamo di liberare un tavolo…” Sapendo quanto possa essere costosa la cucina italiana in Giappone, cerco di nicchiare: “non importa che si disturbi, vogliamo solo salutare il signor Nishizawa…” ma quello
è già sparito. Dopo qualche minuto di attesa imbarazzata, eccolo che arriva: cappello da cuoco in testa e forchettone in mano, direttamente dalla cucina. Nishizawa-san è naturalmente anche il cuoco del suo ristorante. Ci saluta calorosamente, mezzo in italiano e mezzo in giapponese, e ci promette un tavolo libero nel giro di pochi minuti.
Ormai le chances di rifiutare l’invito sono sfumate del tutto. Mi ritrovo a sperare che gli Yen nel portafoglio bastino per pagare il conto…
Nishizawa-san è stato di parola: dopo una breve attesa ci fanno accomodare ad un tavolo rotondo con tanto di tovaglia e posate, proprio come in Italia. Meno male che il sensei ci ha assicurato che la cucina al “Divo Diva” è ottima, e non una approssimazione più o meno strana come accade di consueto.
In Giappone si possono assaggiare cucine di tutto il mondo. Di una particolare popolarità gode la cucina italiana (solo a Kyoto ci sono più di venti ristoranti italiani, o presunti tali). Putroppo spesso i piatti presentati come italiani hanno solo una vaga rassomiglianza con quelli che noi conosciamo bene.
Ai camerieri non pare vero di avere a disposizione due autentici italiani coi quali mettere alla prova la loro conoscenza della lingua.
Alcuni sono proprio bravi. Tutti ci coprono da attenzioni. Un breve sguardo al menù e capisco subito che nel portafogli non resterà molto alla fine della serata. Tanto vale fare i signori per una sera almeno…
Ordino un piatto di pasta al ragù e una bistecca. Rimango sbalordito: mai mangiato così bene, nemmeno in Italia! La pasta è superba, e la carne si scioglie in bocca. Il cameriere che ci aveva accolti all’inizio si fa in quattro per mantenere il vino nei bicchieri ad un livello costante. Dopo tre o quattro bicchieri di ottimo rosso, comincio a sentirmi piuttosto allegro. I camerieri sono molto simpatici, e quando hnno un attimo di pausa si fermano a conversare con noi. Faccio un sacco di meritati complimenti per la qualità dei cibi e del vino. Ridendo e scherzando, il tempo vola: dopo aver preso un caffè, ritorno alla realtà e faccio mentalmente un paio di conti.
Ad occhio e croce dovrei averne per circa 10.000 Yen. Simulando disinvoltura, chiedo al cameriere il conto. Nishizawa-san è ancora occupato in cucina. Spero di riuscire a salutarlo prima di andarmene.
Ormai siamo rimasti praticamente solo io e Mauro. Il conto arriva, sul canonico piattino. Con occhio tremante lancio uno sguardo preoccupato al biglietto e, sorpresa! Una calligrafia minuta e precisa ha scritto
(in italiano): “Prezzo speciale – 5000 yen” (in tutto!). Ed ecco che finalmente Nishizawa-san esce dalla cucina e si piazza dietro al bancone del bar, invitandoci a bere qualcosa. Passo dieci minuti buoni a ringraziarlo per lo sconto e a lodare la sua cucina. Quando gli dico che nemmeno in Italia ho mai mangiato così bene, il volto gli si illumina di felicità. Ci offre dell’altro vino e della birra. mi sembra scortese rifiutare, anche se ormai sono alquanto euforico. C’è un’atmosfera molto intima, tutto il personale si è radunato attorno a noi per sentirci raccontare qualcosa dell’Italia, delle nostre impressioni a proposito del Giappone, sul sensei. Arriviamo addirittura a parlare di cartoni animati, e tutti sono molto divertiti dal fatto che ne conosciamo così tanti.
Ormai il locale deve chiudere, ma Nishizawa-san non è ancora soddisfatto. Ci chiede se siamo stanchi. Non verreste con me a fare due passi? Conosco un Bar molto simpatico…
In giappone i Bar non sono così comuni come in Italia, e perlopiù aprono di notte.
Sarà per l’allegria, o forse perchè Nishizawa-san è davvero simpatico, sta di fatto che non riusciamo a dirgli di no. Cominciamo a camminare per vicoli completamente deserti, illuminati dal biancore di qualche raro lampione e da poche insegne ancora accese. Il freddo della notte comincia a farsi sentire. Nishizawa-san continua a chiacchierare mentre ci inoltriamo in un dedalo di viuzze assolutamente anonime, senza un’anima viva in giro. “Vedete, in quel locale laggiù, sempre molte ragazze la sera. Piacciono ragazze giapponesi?”
Improvvisamente, in un vicolo uguale a decine di altri, Nishizawa-san entra in una porticina praticamente invisibile. “Attenti alla testa”.
Dietro, scale che scendono. Luci soffuse. Voci sommesse che chiacchierano. Scendiamo nel sottosuolo per l’equivalente di un piano, e ci troviamo in un minuscolo locale, con un lungo bancone e molti giapponesi in giacca e cravatta seduti sui classici sgabelli da american bar.
Nishizawa-san saluta il barman (evidentemente è un cliente abituale) e gli spiega rapidamente chi siamo e da dove veniamo. Il barman guarda me e mauro e poi ci chiede se siamo fratelli. Secondo lui ci assomigliamo moltissimo. Visto che in realtà siamo completamente diversi, mi chiedo se agli occhi dei giapponesi gli occidentali sembrino tutti uguali. Lo chiedo anche al barista, che in effetti ammette che è proprio così! Ormai rido senza ritegno (Nishizawa-san ha insistito per offrirmi un sakè freddo particolarmente pregiato, ed ormai il tasso alcoolico nel mio sangue ha superato il livello di guardia).
Ormai sto cominciando a pensare al letto, quando il nostro cicerone ci chiede di seguirlo in un altro locale. “Questo era Bar moderno. Ora faccio vedere locale tipico di Giappone”, ci apostrofa col suo italiano approssimativo ma comprensibilissimo.
Di nuovo sulla strada, mi accorgo di non riuscire a procedere in linea retta. “Testa gira?” mi chiede Nishizawa-san . “Hai, testa gira” rispondo io, e ci mettiamo tutti e due a ridere.
Il secondo locale sembra tratto da un manga: tutto in stile tradizionale, piccolissimo (solo noi tre lo riempiamo tutto: un banco con quattro pareti) con una piastra sul bancone per cuocere cibi tipici sul momento. Graziose suppelettili in stile riempiono ogni angolo. Il gestore è un arzillo vecchietto; anche lui sembra essere un amico di lunga data di Nishizawa-san. Saputo che siamo italiani, ammette di non conoscere molto dell’Italia, anche se ricorda bene
Mussolini. Nell’immaginario nipponico deve essere quanto di più simile ad imperatore la nostra storia recente abbia saputo produrre (sic).
Assaggio un altro po’ di ottimo sakè, caldo stavolta. Ormai “ho fatto il pieno”. Confesso a Nishizawa-san che ormai sono yopparatte. Con un sorriso sardonico paga ancora una volta il conto (ma avrà mai fine l’ospitalità giapponese? In fondo siamo due estranei per lui!) e ci accompagna fuori. Con un cenno chiama un Taxi (ormai è l’una passata, e gli autobus non sono più in servizio da molte ore) e paga l’autista in anticipo perchè ci riporti in albergo. Ormai i doomo arigatoo gozaimashita a favore di Nishizawa-san si sprecano. Mentre Kyoto scorre silenziosa dietro il finestrino, mi viene ancora da ridere. Ma non è solo effetto dell’alcool: era da tempo che non passavo una serata tanto divertente.
Nishizawa-san, tanoshikatta desu yo!

9 – Continua

Massimo Borri

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