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Altri uomini

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Altri uomini

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Titolo:        “Altri uomini” (Italia 1997)
Regia:        Claudio Bonivento
Interpreti:    Claudio Amendola
Ennio Fantastichini
Veronica Pivetti
Sceneggiatura:    Franco Ferrini, C.B., Furio Scarpelli
Fotografia:    Sergio D’Offizi
Produzione:    International Dean Film
Distribuzione:    Columbia
Durata:        1h e 31′

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Tra le numerose pellicole che hanno inondato il mercato alla fine di questa calda estate 1997 ho scelto un film italiano. Non è un successo di cassetta, non è niente d’eclatante, “Altri uomini” è l’interessante esordio come regista del produttore Claudio Bonivento. Il film porta nelle sale la trascrizione cinematografica della vera storia del pentito Epaminonda e del boss Francis Turatello.
L’ambiente è una Milano tutta nebbia, pioggia, gelo ed estese periferie sature di costruzioni edilizie. Certamente questa pellicola s’inserisce nel nostro tradizionale filone dell’Italia della malavita, ma niente mafia, niente intrecci di potere. E’ più una storia di banditi che lottano per società illecite, per zone dove esercitare il proprio potere, per la conquista del rispetto e di guadagni facili.
Michele Croce, con il viso di Claudio Amendola, discretamente perfetto nella parte (la sua mimica facciale lo aiuta considerevolmente), inizia una delle prime “chiacchierate” che i collaboratori di giustizia hanno intrapreso con la magistratura proprio agli inizi degli anni ottanta.
Il film si apre nel buio di una stanza della caserma, dove si svolge l’interrogatorio e che inghiotte completamente la figura del giudice istruttore e metà del viso del pentito. Si scoprirà, poi, essere una figura umana non così negativa come siamo portati immediatamente a pensare. Fortunatamente manca della solita retorica dei film di genere. Michele non è per sua natura crudele, malefico o assassino: è semplicemente troppo caratterialmente irruento per ingoiare situazioni di dispotismo metropolitano. La sua è una ricerca di notorietà, sia essa positiva o negativa: sarà che “i cattivi si raccontano meglio degli uomini buoni”, come lo stesso Amendola ha affermato in un’intervista. Ama la sua famiglia, anche se la trascura: l’importante
è non fargli mancare niente a livello economico! Diventa così un tutt’uno con i suoi uomini. Gli interpreti della sua banda sono volti noti al pubblico italiano, da Ricky Memphis ad Ennio Fantastichini, che possiedono ormai le stigmate per questo genere di film. Non manca la storia d’amore tra la bella (Veronica Pivetti) e il boss, anche se, a mio parere, un po’ troppo romanticizzata ed enfatizzata.
Dal punto di vista tecnico ci sono inquadrature discrete e sobrie, abbastanza secche, ma fedeli al vero, primi piani con sguardi in macchina e fotogrammi fermi sul volto di chi si racconta e racconta.
Discreta è anche l’ambientazione del periodo storico, con brevi accenni ad episodi della vita italiana dell’epoca. In conclusione è un film, come si dice, senza infamia e senza lode, che vuole narrare da un’altra prospettiva l’Italia degli anni settanta, sommersa in quel periodo dalle canzoni di Mina e Battisti, ma anche da una serie di problemi politici e sociali, che quelli della mia età hanno vissuto da lontano.
In breve è una storia di carcere e carcerati che s’inserisce in una serie di pellicole dedicate alla vita in galera, che, al Festival di
Venezia, hanno costituito una buona fetta della produzione italiana presente alla manifestazione. Una proliferazione dell’argomento che ha visto lo stesso attore impegnato in un’altra pellicola “Santo Stefano” che narra una diversa situazione ambientata in prigione. Chissà perché poi tanta attenzione su questo soggetto?

Beatrice di Venosa

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