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Bosna I Ercegovina (2)

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Bosna I Ercegovina

Domenica 4 giugno 1995 ore 19.00, titoli di testa del TG3- “karadzic risponde con le bombe.”

Sono passati esattamente quattro anni da quel giugno del 1991 quando incominciarono i primi scontri al confine croato- serbo fra gli eserciti di queste due nazioni, sono passati quattro anni dai primi bombardamenti serbi sulle città di Spalato, Dubrovnik e Zara e nulla sembra essere mutato in questo scenario di guerra .
Completamente anestetizzati assistiamo ai telegiornali, veri e propri bolletini di guerra, impassibili assistiamo al devastamento di città come Sarajevo, Tuzla e Gorazde, la morte della gente di Bosnia è diventata la nostra compagna di viaggio in questa nostra nazione ammalata di berlusconismo, buttiglionismo e celodurismo, e non ci accorgiamo della tragedia che avviene al di là dell’Adriatico.
Ma tutto questo è retorica e allora proviamo a fare una breve analisi di quanto è successo e di ciò che è possibile fare adesso per fermare il massacro in quella che una volta era la Repubblica degli slavi del sud. (Socijalisticka Federativna Republika Yugoslavija).
Innanzitutto una breve premessa, chi vi scrive è figlio di un’istriana e fino all’esplodere del conflitto ha frequentato con assiduità quei posti ora teatro della guerra e ho conosciuto un’infinità di ragazzi e ragazze, croati e serbi e tutti mi dicevano che un giorno li sarebbe successo l’inferno,ma non perchè i balcani siano la polveriera d’Europa come sbrigativamente si tende a dire adesso quasi come per giustificare che nulla si può fare per fermare la guerra fra due popoli che non vedevano l’ora di scannarsi,ma per ragioni più complesse che proverò brevissimamente ad illustrare prima di vedere cosa si può fare ma soprattutto che cosa non si doveva fare.
Questa non è una guerra di religione, questa è una guerra di occupazione.
Non si può prescindere da questa affermazione se si vuole fare un discorso serio non farcito da facili luoghi comuni. Alla morte del carismatico Maresciallo Josip Broz “Tito” lo scenario che ci si presentava in Yugoslavia era pressapoco questo: due nazioni leader,
Slovenia e Crozia,che detenevano la quasi intera ricchezza del paese e sicuramente quelle con il maggior potenziale di sviluppo economico.
Montenegro, Macedonia e Bosna i Ercegovina le nazioni più povere e considerate dagli sloveni e croati come autentiche zavorre allo sviluppo economico del paese ed infine la grande madre Serbia, vero e proprio motore politico-militare della federazione comprendente le due unità amministrative autonome del Kossovo e della Vojvodina caratterizzate in modo significativo da un punto di vista etnico, gli ungheresi in vojvodina e gli albanesi in Kossovo. Nell’ormai lontana primavera del
1991 Croazia e Slovenia decidono di voler diventare stati autonomi con la benedizione della Germania di Khol, che vede la possibilità così di estendere la zona d’influenza del Marco.

Magari è utile ricordare la frase “quello che non è riuscito a Hitler con le armi riuscirà a Khol con il Marco”, ovvero creare una zona di influenza del Marco che si estenda fino ai confini dell’ex U.R.S.S. coprendo così una zona che più o meno corrisponde a quel Terzo Reich voluto da Hitler.
Gli stati più ricchi e “futuribili” della federazione non ne possono più di portare sulle proprie spalle il peso economico dell’intera nazione, vogliono poter vivere in maniera autonoma basandosi sulle proprie ricchezze e la propria capacità di creare reddito, considerando il fatto sicuramente importante che gli sloveni ed i croati per tradizioni e cultura sono molto più vicini all’europa occidentale che a quella orientale.
La Serbia tutto questo non lo poteva permettere, avrebbe perso le entrate fiscali che le garantivano i due stati del nord, avrebbe perso la maggior fonte di ricchezza del paese, il turismo; avrebbe perso lo sbocco sul mare, si sarebbe venuta a trovare in una situazione d’isolamento, completamente ripiegata su di un’europa orientale con un futuro gravido di incertezze insopportabile per chi deteneva le sorti del più forte paese socialista non allineato con uno dei più attrezzati eserciti d’europa, insopportabile per chi si credeva eterno al potere.
In questo scenario è incominciata l’agressione Serba nei confronti della Croazia prima, e della Bosnia dopo, ogni guerra ha motivazioni economiche che poi queste trovino terreno fertile in ataviche rivalità religiose od etniche è un discorso secondario che fa comodo a chi non vuole entrare nel cuore del problema.
I titoli di testa di questo telegiornale di una sera della tarda primavera del 1995 sono l’immagine del fallimento della cosidetta
Comunità Internazionale. 4 anni , 48 mesi , 1460 giorni di telegiornali uguali a se stessi, immagini, fotografie, reportage che umiliano la coscienza dell’occidente, ridicolizzato dalla propria malafede e dalla propria inefficienza.
Ma cosa fare adesso? Bombardare, ecco che cosa bisogna fare, bombardare le postazioni serbo-bosniache, porre fine a questo massacro che si perpetua senza fine da 4 anni.
Hanno distrutto le più belle città della costa dalmata, hanno umiliato, offeso, massacrato un popolo, hanno stuprato donne e religiose, hanno tagliato le teste di bambini davanti allo sguardo sgomento delle madri.
Ma bombardare era l’unica soluzione anche 4 anni fa all’inizio del conflitto balcanico, la via diplomatica ha portato a questi risultati per altro perfettamente prevedibili.
Nel momento stesso in cui si è scelta la strada della diplomazia si sono create le premesse del disastro, vediamo perchè.
Non si è voluto fare distinzioni tra le forze in campo, si sono considerati tutti indifferentemente responsabili, bosniaci, croati e serbi tutti egualmente responsabili del conflitto. Ma vivaddio quando città come Zadar, Dubrovnik, Karlovac, Tuzla, Gorazde, Serajevo, Split vengono sistematicamente, scientificamente senza sosta bombardate dai serbi come si fa a dire che non ci sono responsabili, quando le inermi popolazioni civili vengono fatte saltare in aria nei mercati, negli ospedali,nelle piazze; quando i bambini vengono massacrati nei cortili come si fa a dire che tutti sono egualmente responsabili?
Da questo assunto sono iniziati i tavoli delle trattative e qui si è consumato il secondo tragico errore.
Si è voluto dare dignità di interlucutore al tavolo delle trattative a personaggi come Karadzic ed ad altri veri e propri criminali di guerra, si è inteso dare credibilità internazionale a chi pervicacemente intendeva perseguire lo sterminio di un popolo.
Perchè intendiamoci bene qui non si tratta di due eserciti contrapposti l’uno di fronte all’altro, qui siamo di fronte a continui massacri, continui bombardamenti su obiettivi civili, siamo di fronte ad uno sterminio; lo sterminio delle popolazioni civili della Bosnia ed alla distruzione delle loro città.
L’errore non sta, forse, nell’aver iniziato un processo di pace, ma nell’avervi testardamente confidato una volta che si era capito a quale gioco stava giocando il signor Karadzic.
Questo contemporaneo “Dracùl” si sedeva assieme alle mummie Carrington ed Owen (rappresentanti cosiddetta “comunita’ internazionale) e prometteva, si impegnava a rispettare tregue, moratorie e quant’altro; senonchè il giorno dopo ineffabile arrivava il massacro al mercato, lo sterminio di bambini che giocavano nei cortili di Serajevo, e il giorno seguente Karadzic sedeva di nuovo assieme alle cariatidi di cui sopra pregustando l’ennesima presa per il culo.
In questo scenario sono venute di conseguenza altre due amenità dell’ONU:
– l’invio dei caschi blu col solo mandato di peacekeeping e non di peaceimposer che avrebbe permesso loro l’uso delle armi, e forse di non diventare facili ostaggi dei serbo-bosniaci.
– il divieto di armare i Musulmani, creando così la tragicomica conseguenza che un popolo ha il dovere di farsi annientare ma non il diritto di difendersi; in quanto a questo compito dovevano pensarci i caschi blu, mai così miseramente ridicolizzati nella loro storia.
Arrivano dei momenti in cui la storia non la puoi nè subire nè assecondare ma la devi guidare, momenti in cui i responsabili delle nazioni devono prendere in mano le redini dei nostri destini, momenti in cui l’idea splendida di pace è solo l’alibi dietro al quale si nascondono i carnefici, momenti in cui bisogna avere il coraggio della guerra per potere poi godere della pace.
Bisognava intervenire con le armi quattro anni orsono, adesso l’uso delle armi ha il sapore di un qualcosa inevitabile ma completamente inutile.
Città splendide come Zara, Spalato, e Dubrovnik distrutte, popolazioni dalla cultura millenaria e gloriosa umiliate ed abbandonate al loro tragico destino, bambini privati dei loro sogni, delle carezze dei loro padri, dei baci delle loro madri.

Il sorriso beffardo di Karadzic riempie lo schermo.
La mente vaga ai ricordi d’infanzia, al suono dei gabbiani, al colore del mare al viso degli amici.
Vedo corpi mutilati.
Vedo donne stuprate.
Vedo case distrutte.
Vedo un cielo grigio per il fumo che sale dalle macerie
Vedo un mare rosso per il sangue degli uomini di Bosnia e di Croazia
Vedo gabbiani che non cantano più, solo si ode l’urlo straziante dei bambini mutilati.
Sogno il mio mare
Sogno il golfo del Quarnaro.
Sogno Opatija.

In conclusione voglio ricordare le parole di Padre Davide Maria
Turoldo
Sacerdote e poeta morto di cancro alcuni anni fa.
“Arriverà il giorno del giudizio, e quel giorno non ci sarà Dio di fronte a noi,
ci sarà una moltitudine di occhi, gli occhi dei bambini morti abbandonati, morti di fame, morti di guerra. Occhi che ci chiederanno cosa hai fatto tu perchè tutto questo non accadesse?”

Io mi addormento e vedo gli occhi di una bambina sdraiata su un letto di un ospedale di Londra.
Mi addormento e vedo gli occhi di questa bambina con la schiena spezzata.
Mi addormento e vedo gli occhi di Irma.

Irma è morta un mese fa circa, la foto che la ritraeva adagiata nel letto di un ospedale di Londra ha fatto il giro del mondo. Irma è divenuta così il simbolo della sofferenza della popolazione bosniaca.
Come la bambina vietnamita che scappa nuda dai soldati americani, come il bambino ebreo col cappello e le mani intrecciate dietro al capo messo al muro dai tedeschi, la foto di Irma diventerà il simbolo di questa nuovo ed ennesimo massacro.

Matteo Ranzi

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