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Giapponese

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Giapponese

Salve a voi, cari lettori, e bentornati al nostro piccolo corso di lingua giapponese. Come procede il vostro studio? Vi state cominciando ad abituare ai caratteri sillabici? Spero proprio di sì. Prima di cominciare questa quarta lezione, vi invito a dare subito un rapido sguardo alla soluzione dell’esercizio che vi ho proposto il mese scorso. Fate clic col mouse sulla figura qui vicino e controllate se avete fatto errori.
Bene, questo mese finalmente cominceremo a vedere un po’ di grammatica, dato che ormai i caratteri sillabici sono finiti (purtroppo altrettanto non si può dire degli ideogrammi, ma pazienza). Prima però devo accennare ad un paio di cose: ad esempio cosa sono i Furigana. Mi sembra già di sentire le vostre proteste: ma come, un altro sillabario?
Tranquillizzatevi, niente di tutto questo. I Furigana altro non sono che caratteri Hiragana (o talvolta Katakana) che vengono scritti molto piccoli vicino ad un ideogramma. Se il testo è scritto dall’alto in basso, i
Furigana stanno alla destra dell’ideogramma a cui sono riferiti, mentre se il testo è scritto orizzontalmente, vengono posti sopra. A che cosa servono? Sono semplicemente un aiuto per chi non conoscesse la pronuncia di quell’ideogramma. Infatti coi Furigana si indica come bisogna leggere l’ideogramma in questione. Purtroppo non sempre gli ideogrammi sono corredati di questo ausilio per la pronuncia; anzi, quanto più il testo è indirizzato a persone adulte e colte, tanto più gli ideogrammi sono “al naturale”, lasciando al lettore l’arduo compito di leggerli. Prendiamo ad esempio il mondo dei fumetti: quelli destinati ad un pubblico molto giovane, hanno Furigana su quasi tutti i Kanji (ovvero gli ideogrammi; non vi avevo ancora detto come si chiamano in giapponese? Che sbadato!). I fumetti destinati ad un pubblico più adulto presentano invece pochissimi
Furigana, confidando sulla preparazione del lettore. Faccio notare che i giapponesi continuano ad imparare ideogrammi per tutta la durata della scuola dell’obbligo; ad esempio nei sei anni di scuola elementare vengono insegnati circa novecento ideogrammi diversi.
Bene, l’altra questione di cui volevo parlarvi riguarda ancora i caratteri sillabici che già conoscete. Sebbene le tavole che avete trovato nei miei articoli vi consentano di riconoscere i caratteri sillabici e di leggerli, mancano tuttavia di una importante informazione su come scriverli. Infatti l’ordine con cui si tracciano i segni non è indifferente; al contrario, esiste una sequenza ben precisa di tratti per ciascun carattere. Per non dilungarmi eccessivamente sugli alfabeti sillabici, ed anche per questioni tecniche, ho preferito evitare una trattazione approfondita di questo aspetto. Nelle prossime puntate cercherò tuttavia di rimediare in qualche modo, perchè conoscere l’ordine in cui vanno eseguiti i tratti dei caratteri sillabici è indispensabile per poterli scrivere bene.
O.K., e adesso cominciamo con un po’ di grammatica! Vi ricordate ancora la frase che vi anticipai nella prima puntata del corso? Era un esempio che seguiva questo modello del tutto generico:

A wa B desu.
che significa:

A è B.

Al posto di A e B potete mettere due nomi qualsiasi. Ora che siete esperti di alfabeti sillabici, possiamo vedere come risulta questa frase-tipo se scritta con gli Hiragana:

AOBG9w

Il pallino alla fine della frase è l’equivalente giapponese del nostro punto.
I più attenti si saranno già accorti che c’è qualcosa di strano. Come mai, infatti, ho utilizzato il carattere O per scrivere il “wa”, e non invece il carattere o come ci si aspetterebbe consultando la tabella degli Hiragana? Sappiate che la sillaba “wa” si indica con il carattere
“ha” in un caso particolare (e precisamente quello di cui sto per parlarvi). Attenzione che la pronuncia resta “wa”, e non bisogna quindi leggerlo “ha”.
Come avremo modo di scoprire nelle prossime lezioni, la lingua giapponese fa uso di molte “particelle” (monosillabiche) che seguono le parole e che hanno la funzione di specificarne la funzione logica all’interno della frase (sembra difficile, ma non lo è, fidatevi). La particella “wa”
(scritta però con il carattere O) serve per far sapere che la parola che la precede è il tema della frase o del discorso, su cui chi parla desidera parlare. Ad esempio se dico:

Watashi wa Kotaro desu. o?7 O 3?m G9w
(Io sono Kotaro).
il “wa” segue la parola “watashi”, che significa “io”; in questo modo determina che “io” è il tema della frase. Una traduzione più letterale suonerebbe come “Per quello che mi riguarda, sono Kotaro”. Attenzione che non sempre la parola marcata da “wa” è il soggetto grammaticale della frase. Vediamo un esempio:

Kare wa mimashita ka?
+l O _
(E lui, lo hai visto?)
dove “kare” è il pronome singolare maschile (“lui”), “mimashita” è la forma passata cortese del verbo “miru” (“vedere”) e “ka” è una particella che si colloca alla fine delle domande e che ha pressapoco la stessa funzione del punto interrogativo (che ho messo ugualmente, anche se ridondante, per maggiore chiarezza). Lasciate perdere per il momento il verbo, tanto ci ritorneremo sopra fra qualche tempo. Notate invece come il soggetto grammaticale della frase (anche se è sottinteso) sia “tu”. La particella “wa”, in questo caso, serve solo ad enfatizzare “kare”, ovvero il complemento oggetto.
Bene, vediamo ora di precisare meglio l’uso del verbo “desu”. Naturalmente va tradotto col verbo “essere” dell’italiano, ma occorre fare attenzione, perchè non sempre “essere” si traduce con “desu”. Qualcuno di voi si ricorda cosa si intende con verbi copulativi (e predicativi) e relativi predicati nominale e verbale? No? Ah, la grammatica… D’accordo, i verbi predicativi sono quei verbi che hanno un significato preciso anche da soli; i verbi copulativi hanno invece bisogno di un nome o di un aggettivo. Ad esempio, nelle frasi:

Io mangio.
Voi dormite.
Il campanello suona.
i verbi mangiare, dormire, suonare sono verbi predicativi; danno da soli, infatti, un senso compiuto alla frase. Se dico invece:

La casa è…
Quell’uomo sembra…
i verbi essere e sembrare non riescono a trasmettere da soli il significato della frase. Ci sarebbe bisogno di nomi o aggettivi, ad esempio “La casa è nuova”, oppure “quell’uomo sembra un orso”.
Il verbo essere è alquanto singolare, dato che può avere sia funzione copulativa, sia funzione predicativa. Confrontate queste due frasi:

Il sole è caldo.
Il libro è sulla scrivania.

Nella prima frase, il verbo essere ha funzione copulativa; nella seconda ha invece funzione predicativa. Nel secondo caso infatti, “essere” ha il significato di “esistere”, “trovarsi”, “stare”; nel primo caso invece ci si aspetta di vederlo seguito da una specificazione (“caldo”) che descriva meglio il soggetto della frase (“il sole”).
Tutto questo per dirvi che, mentre in italiano il verbo “essere” è unico, in giapponese viene espresso da verbi diversi a seconda della sua funzione, copulativa o predicativa. Più precisamente, il verbo “desu” è il verbo “essere” con funzione copulativa, ovvero lo si usa per tradurre frasi come “la mela è buona”, “lui è mio amico”, ecc…
A dire il vero bisognerebbe fare una precisazione sulle frasi copulative contenenti aggettivi, ma questo fa parte della prossima puntata. Per quello che riguarda invece il verbo “essere” con funzione predicativa, sappiate per ora che lo si deve tradurre col verbo giapponese imasu se il soggetto della frase è un essere vivente, oppure col verbo arimasu se il soggetto è qualcosa di inanimato. Ad ogni modo, la coniugazione del verbo la vedremo più avanti; per questo mese ci limiteremo ad esaminare quella di desu.
Dunque, per prima cosa dovete sapere che per tutti i verbi giapponesi esiste una forma cosiddetta “piana” (che è poi quella che trovate nei dizionari) e una forma cortese. La lingua giapponese è estremamente più ricca dell’italiano per quello che riguarda espressioni di cortesia e di rispetto. Si può dire che il corretto uso di tali forme sia forse uno degli aspetti più difficili del giapponese. Per il momento sappiate solo che la forma piana si può usare solo con amici di lunga data, altrimenti correte il rischio di sembrare scortesi, maleducati o addirittura offensivi. Utilizzando sempre la forma cortese eviterete di trovarvi in imbarazzo. Ad ogni modo è bene conoscere anche la forma piana, per poter consultare il dizionario; inoltre, se volete cimentarvi con fumetti o animazioni in lingua originale, aspettatevi di trovare più forme piane che cortesi. Le buone maniere si fanno sempre più rare…
La forma piana del verbo “essere” (copulativo) è semplicissima: “da”.
Vediamo come diventa il modello di base:

A wa B da.
AOB@w
(A è B).

E quindi, per esempio:

Watashi wa Kotaro da. o?7 O 3?m @w
(Io sono Kotaro).

Prima di vedere la forma negativa di desu, vediamo un’altra piccola particella molto frequente: “mo”. Sostituendolo al “wa” (scritto O) si ottiene il modello generico:

A mo B desu.
AbBG9w

Che significa:

Anche A è B.

Questo genere di frase segue di solito una affermazione (anche se può essere sottintesa):

Watashi wa otoko desu.
Kare mo otoko desu.
che significa:

Io sono un uomo (=otoko).
Anche lui è un uomo.

Vediamo ora la forma negativa cortese di desu:

A wa B dewa arimasen.
AOBGO”j

Che significa:

A non è B.

E’ da notare come il “wa” di “dewa” è sempre la solita particella enfatizzante, per cui va scritto con il simbolo O. Nella lingua parlata, spesso “dewa” si abbrevia in “ja”, quindi si potrebbe anche dire:

A wa B ja arimasen.
AOB8c”j
con lo stesso significato dell’esempio precedente. La forma più cortese resta però la prima. Una variante alla frase negativa di base fa uso della forma piana negativa, che è:

A wa B dewa nai.
AOBGOJ$w

Questa frase è però molto brusca e quindi sgarbata; per addolcire il tono si aggiunge “desu”, che in questo caso funge da ausiliare di cortesia:

A wa B dewa nai desu.
AOBGOJ$G9w

Il risultato è sufficientemente cortese, ed è anzi molto usato nella lingua parlata. E’ possibile anche qui usare “ja” al posto di “dewa”
(perdendo un po’ in cortesia) e dire quindi:

A wa B ja nai desu.
AOB8cJ$G9w

Il massimo della maleducazione (naturalmente dipende a chi vi state rivolgendo!) è rappresentato quindi da:

A wa B ja nai.
AOB8cJ$w

Ovviamente tutte queste varianti significano “A non è B”! A seconda di quale si usa si può dare però una impressione molto diversa… Io vi consiglio di utilizzare sempre la forma cortese, a scanso di spiacevoli equivoci.
Vediamo ora di completare la coniugazione di desu (e del suo corrispondente da) con la forma passata.

A wa B deshita. (forma cortese)
AOBG7?w
A wa B datta. (forma piana)
AOB@C?w
che significano entrambe:

A era B.

Per la frase negativa, abbiamo:

A wa B dewa arimasen deshita. (forma cortese)
AOBGO”j
A wa B dewa nakatta. (forma piana)
AOBGOJ+C?w
che significano:

A non era B.

Ok, vedo che la stiamo facendo lunga… ancora un’ultima cosa e poi la smetto! Ne ho già accennato prima, comunque vorrei rivedere l’uso di una terza piccola particella, cioè “ka”. Mettendola alla fine di una frase, la si rende interrogativa (si fa cioè una domanda). Ad esempio:

A wa B desu.
AOBG9w
A è B.

A wa B desu ka.
AOBG9+w
A è B ?

La seconda frase diventa una domanda. Notate come non sia necessario (ma neanche proibito) mettere il punto interrogativo dopo “ka”. Inoltre, a differenza di molte lingue europee, la frase non va incontro ad alcuna inversione dei suoi elementi quando viene trasformata in domanda: tutto resta come prima, basta aggiungere “ka” alla fine. Infine, una piccola nota sulla pronuncia: se ricordate quello che vi ho detto nelle scorse puntate, non vi sorprenderà sapere che la domanda appena vista va pronunciata:

A uà B dess’kà?

Per la risposta, si utilizza “hai” (O$) nel caso sia affermativa e
“iie” ($$() se invece è negativa, come nell’esempio seguente:

– Kare wa nihonjin desu ka?
– +lOK[s8sG9+x
– Hai, (kare wa) nihonjin desu.
– O$v(+lO)K[s8sG9w
oppure:

– Iie, (kare wa) nihonjin dewa arimasen.
– $$(v(+lO)K[s8s
GO”j

Le frasi appena viste significano, rispettivamente:

– Lui è giapponese (=nihonjin)?
– Sì, (lui) è giapponese.

– No, (lui) non è giapponese.

Le parti tra parentesi si possono sottintendere. La risposta può essere semplificata sostituendo l’intera proposizione con la parola “soo”, che equivale circa all’italiano “così”. Ad esempio:

– Kare wa nihonjin desu ka?
– +lOK[s8sG9+x
– Hai, soo desu. (“sì, è così”).
– O$v=&G9w
oppure:

– Iie, soo dewa arimasen. (“no, non è così”).
– $$(v=&GO”j

Bene, e con questo direi che per stavolta possa bastare… Ricordate, se avete dei dubbi o delle domande, scrivete pure alla redazione di Kult e io vi risponderò su questa rubrica.
Ehi, un momento! Non penserete mica che mi sia dimenticato dei vostri esercizi, vero? Non sia mai detto!.. Provate dunque a tradurre in giapponese (e utilizzando gli hiragana, mi raccomando) le seguenti frasi:

– Io sono studente (=gakusei).
– Anche lui è studente?
– Sì, è così.

Io non ero bravo (=joozu).
Lui è maestro (=sensei).
Neanche tu sei una donna. (=on’na)

– Lei (=kanojo) è una donna?
– Sì, è così.

Non mi rimane che augurarvi buon lavoro, e a risentirci fra trenta giorni! Sayoonara!

Kotaro

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