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Il curioso caso di Benjamin Button

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Amore e vita si inseguono attraverso lo scorrere del tempo, risalendo correnti diverse, direzioni opposte che porteranno ad una stessa destinazione. La morte. Benjamin Button ci arriverà percorrendo al contrario la strada dell’esistenza, nascendo vecchio e morendo neonato, il suo amore, Daisy, arriverà alla fine come tutti quanti, crescendo e ammalandosi, terminando il suo cammino in un letto di ospedale, divorata dal cancro. Tra le pagine di un diario che Daisy fa leggere alla figlia si nascondono le immagini e i ricordi del suo incontro con Benjamin  e della loro storia d’amore. Diversi narratori (Daisy, Benjamin, la loro figlia) che parlano delle cose accadute, voci che racchiudono il senso profondo del racconto e quello della memoria. Riportare nel presente, attraverso le parole, la vita vissuta, darle struttura e significati attraverso una forma, sprofondare nella pagina scritta per far riemergere il tempo passato. Ed ogni volta è questo il movimento fatto da Fincher, lo spostarsi dalle parole alle immagini che esse racchiudono, che diventano così una storia visibile a tutti, un film dunque. Il vero racconto cinematografico è quello della vita di Benjamin Button, così fantastica, piena di avvenimenti, in perenne movimento. La densità del tempo filmico è la stessa dell’acqua, non a caso Benjamin è così attratto dal mare e con lui lo sguardo del regista. Il tempo è fluido e ciclico, profondo e oscuro ma anche capace di far galleggiare la memoria, di donare luce alle immagini che sprigiona. Nel tempo si scrivono i destini delle persone, i loro percorsi, i loro incontri. Nel perenne rincorrersi di vita e morte, amore e abbandono, esistono dei periodi di stasi, di equilibrio, in cui le persone si trovano veramente e cercano di amarsi e di aggrapparsi l’una all’altra nel tentativo di fermare il tempo, di rendere eterni attimi che danno felicità e pienezza. Benjamin e Daisy ci riescono nel momento in cui raggiungono la stessa età e sono brevi anni di compensazione e gioia, racchiusi in una camera da letto, un luogo in cui il tempo non ha importanza, perché c’è l’amore a decidere la lunghezza di minuti e giorni e mesi, prima che le loro vite prendano nuovamente direzioni diverse. La vecchiaia per Daisy, la giovinezza per Benjamin.
Supportato da effetti digitali indispensabili per la riuscita della messinscena, che giocano con il volto di Brad Pitt come fosse uno scenario da inventare e trasformare in continuazione, il film ha la capacità di affrontare e gestire il tempo del racconto nella stessa maniera in cui i personaggi fanno con quello della loro vita, con sicurezza e pazienza, sapendo che il susseguirsi degli avvenimenti è insito nell’ordine stesso delle cose e che quindi l’unico modo per non interromperlo è quello di lasciarsi trasportare. La fluidità della narrazione trascina lo spettatore attraverso vari piani temporali, livelli di coscienza in cui sono racchiusi mondi perduti e vite dimenticate. Il volto di Cate Blanchett e la sua presenza così fisica, che esprime una grazia fatta di linee corporee e movimenti (è una ballerina) rendono ancora più preziosa la composizione dell’immagine, che alterna ai corpi dei due attori ambienti polverosi e densi di luci malinconiche.
La sceneggiatura ricorda, nella sua struttura e nella sua poetica, quella di Forrest Gump (il colibrì al posto della piuma, le immagini finali dei volti delle persone conosciute da Benjamin come quelle dei luoghi che Forrest aveva attraversato durante la sua vita) ed infatti è stata scritta dallo stesso autore di quella del film di Zemeckis, Eric Roth, che dona al suo protagonista la stessa caratteristica principale di Forrest, quella di una diversità che da handicap diventa unicità.
Il sogno è quello di rapporti umani che il tempo non possa scalfire. L’amore è ancora parte integrante di quel sogno. Due persone che camminano insieme sulla stessa strada. Perdendosi e ritrovandosi. Senza mai abbandonarsi.

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