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Lezione #6: le parole

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     Ora rivelo un piccolo segreto al lettore. Anche gli scrittori più bravi fanno degli errori, persino errori di grammatica, molto spesso. O, se non proprio questi, errori nell’uso delle concordanze verbali. Pertanto, non bisogna lasciarsi intimidire dai mostri sacri. Hanno cominciato come tutti nell’insicurezza, e molti sono sacri solo perché santificati da amici potenti nelle redazioni culturali dei giornali o nelle case editrici. Poi ci sono, al contrario, quelli che sanno scrivere benissimo e conoscono anche il nome di tutte le componenti stilistiche e le forme dell’elocuzione (anacolùto, asìndeto, chiàsmo, anàfora, zèugma, etc.; antìtesi, antìfrasi, litòte, epifonèma, etc.; metàfora, similitudine, analogia, allegorìa, sinèddoche, metonìmia, ipèrbole, etc.), ma, come ha detto qualcuno, conoscere le parti di un’automobile, non corrisponde necessariamente a saperla guidare. C’è chi, parlando, dice di sapere e chi, in silenzio, mostra di sapere. Il mistero è proprio qui, nel saper suscitare vibrazioni o onde cerebrali che attraversano l’aria in forma sconosciuta e richiamano come feromoni il lettore. Uno può dire mille parole e non far capire nulla e un altro con due parole riesce a comunicare. Così è la vita, così sono gli uomini, così sono le parole.

 
    Restiamo ancora nell’àmbito delle parole. "I vocaboli che ciascuno di noi conosce e sa usare sono, in parte più o meno notevole, ignoti ad altri. Quelli che esercitano una professione intellettuale credono, qualche volta sperano, qualche altra volta temono, di essere i soli a sapere più parole degli altri. E’ un fatto generale. Teniamolo tutti bene a mente, per vincere presunzioni e false paure. Un meccanico sa bene cosa vogliono dire ‘giunto’ e ‘differenziale’, ‘biella’ e ‘ferodo’. Un chimico può non conoscere queste parole, e sa bene invece cosa vuol dire ‘idrossilico’ o ‘lisergico’. Un falegname può ignorare le parole del chimico e del meccanico, ma sa che vuol dire ‘incastro a mortasa’…" (Tullio De Mauro: ‘Guida all’uso delle parole’, Editori Riuniti, Roma, ’89 – pag. 68).
    Al limite, si potrebbe affermare che uno scrittore è uno che saccheggia parole dai vari codici linguistici e ha una visione generale della comunicazione, cosa che non potrebbe avere se fosse uno specialista in qualche settore. Insomma, un cervello normale può ritenere un certo numero di parole e di idee connesse ed è chiaro che se conosce solo quelle attinenti alla sua specifica attività, non potrà avere quelle riguardanti gli altri settori.
    Un eccessivo riguardo alle parole in sé, inoltre, potrebbe condurre a una maniera di parlare pedantesca e retorica. Uno scrittore, pur conoscendo parole difficili e poco usate, cerca di non adoperarle, perché non scrive per i primi della classe. Allora è bene seguire il consiglio di Catone il Censore: "Rem tene, verba sequentur", che significa: "Abbi bene in mente ciò che vuoi dire, e le parole ti verranno da sole".
 

    Ho già detto che, in genere, all’inizio, si attinge dal proprio vissuto. Se proprio non se ne ha (e allora temo che sarà difficile essere scrittori, così come sarà difficile per chi non ha fantasia. Diceva John Keats: "Io non vivo in questo mondo soltanto, ma in un migliaio di mondi… sono con Achille che grida nelle trincee o con Teocrito che canta nelle valli di Sicilia"), si può cominciare ad osservare l’umanità intorno a noi. Essa offre una tale varietà di tipi e tematiche   che nessuno riuscirà mai a rendere completamente, per cui il gioco è aperto a tutti. (Vorrei anche aggiungere una riflessione di Beckett: "Non c’è cosa esprimere, né per chi esprimere, insieme alla insopprimibile voglia di esprimere").

 

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