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La miglior vita – Fulvio Tomizza

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Arnoldo Mondadori Editore S.p.a.
Narrativa romanzo
Pagg. 304
ISBN: 9788804485933
Prezzo: € 7,80

Fulvio Tomizza è riuscito con questo libro a dare una visione completa di un popolo spurio, che solo alla fine della prima guerra mondiale si è accorto di essere italiano o slavo, non per scelta individuale, ma in quanto questa suddivisione divenne forzata.
Questa gente, costituita per lo più da poveri contadini e che parlava un dialetto a metà fra l’italiano e il croato, non appena le terre su cui vivevano passarono all’Italia, si trovò improvvisamente, e non autonomamente,  italiana. E così la nostra lingua divenne quella unica e ufficiale a tutti gli effetti, tanto che durante le messe al celebrante fu imposto di usarla, al posto del latino; a quelli che italiani non erano fu rivolto un deciso invito ad emigrare, ad andare nel neonato stato jugoslavo.
In forza di ciò quelle popolazioni decisero di essere italiane o croate, con fratture insanabili anche all’interno della stessa famiglia, e fu in quella circostanza che non pochi, magari aggiungendo solo una vocale, italianizzarono il loro nome.
E sarà un’altra guerra a rimescolare le carte, a far perdere definitivamente la propria identità a quella popolazione contadina, a quel mondo arcaico che in seno all’impero asburgico conviveva senza problemi, consapevole solo di essere una comunità.
Di questa tragedia, perché di tragedia si tratta, Fulvio Tomizza parla in La miglior vita, romanzo certamente non facile, da leggere con attenzione per poter comprendere attraverso il racconto di un sagrestano, Martin Crusich, non solo la realtà di questo microcosmo, ma anche, allargandone la visione, gli aspetti cruciali di un secolo.
Così ci narra di due grandi guerre, di cambiamenti di nazionalità, di esodi volontari oppure forzati, di una grande epidemia di vaiolo, di un terremoto, di una rivoluzione socialista, e questo partendo dal particolare, da quel piccolo paese di Radovani in cui Martin Crusich è ombra fidata dei ben sette parroci che si succedono,  dalla figura solenne e ieratica di Don Stepe al personaggio tormentato di Don Miro, vittima di una passione, di cui si punirà autodistruggendosi con il vizio del bere e nulla facendo per curarsi dal cancro che lo ha colpito. Dopo di lui, stante il regime socialista, la parrocchia non avrà più il suo prete e nell’abitazione riservata ai sacerdoti si ritirerà Martin, testimone di un’epoca e custode ultimo della memoria.
Scritto così può sembrare poca cosa, ma questo romanzo, non solo è unico nel suo genere che potremmo definire epico di frontiera, ma è anche una storia di uomini complessi e semplici al tempo stesso, di sentimenti, di gioie e di dolori. Al riguardo, le pagine in cui viene descritto il trasporto a casa su un carretto trainato da un asino e alla cui guida c’è Martin del cadavere dell’unico figlio Antonio, partigiano morto combattendo, sono di una bellezza indescrivibile; non c’è il ricorso alla facile commozione, anzi questo viaggio, che è forse una metafora di un popolo così smembrato e che può ritornare alle sue case solo quando non è più in vita, è descritto con uno stile asciutto, senza indulgere a pietismi, ma proprio per questo tocca livelli di alta drammaticità che segnano profondamente l’animo del lettore, apparendo del tutto naturali.
Il romanzo termina con l’ultima annotazione di Martin Crusich, che avverte che la sua ora sta per arrivare, e che scrive: ” Scende sulla terra il vuoto dei cieli o su di noi si spalanca la miglior vita? Questo non sapevo, che il mondo muore a ogni morte di un uomo.”  E’ un per chi suona la campana che conclude in modo superbo un romanzo di rara bellezza.
 
Fulvio Tomizza (Giurizzani di Materada, Umago, 26 gennaio 1935 – Trieste, 21 maggio 1999). Figlio di piccoli proprietari agricoli, dediti anche a varie attività commerciali, ottenuta la maturità classica, si trasferì temporaneamente a Belgrado e a Lubiana, dove iniziò a lavorare occupandosi di teatro e di cinema.
Ma nel 1955, quando l’Istria passò sotto l’amministrazione jugoslava,  Tomizza, benché legato visceralmente alla sua terra, si trasferì a Trieste, dove rimase fino alla morte, tranne che negli ultimi anni trascorsi nella natia Materada.   
Scrittore di frontiera, riscosse ampi consensi di pubblico e di critica (al riguardo basti pensare ai numerosi premi vinti: nel 1965 Selezione Campiello per La quinta stagione, nel 1969 il Viareggio per L’albero dei sogni, nel 1974, nel 1986 e nel 1992 ancora Selezione Campiello rispettivamente per Dove tornare, per Gli sposi di via Rossetti e per I rapporti colpevoli, nel 1977 e nel 1979 lo Strega e quello del Governo Austriaco per la letteratura Europea per La miglior vita).
Ha pubblicato: Materada (1960), La ragazza di Petrovia (1963), La quinta stagione (1965), Il bosco di acacie (1966), L’albero dei sogni (1969), La torre capovolta (1971), La città di Miriam (1972), Dove tornare (1974), Trick, storia di un cane (1975), La miglior vita (1977), L’amicizia (1980), La finzione di Maria (1981), Il male viene dal Nord  (1984), Ieri, un secolo fa (1985), Gli sposi di via Rossetti (1986), Quando Dio uscì di chiesa (1987), Poi venne Cernobyl (1989), L’ereditiera veneziana (1989), Fughe incrociate (1990), I rapporti colpevoli (1993), L’abate Roys e il fatto innominabile (1994), Alle spalle di Trieste (1995), Dal luogo del sequestro (1996), Franziska (1997), Nel chiaro della notte (1999).
Per ulteriori approfondimenti consiglio Fulvio Tomizza, un saggio molo bello e interessante scritto da Grazia Giordani.

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