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Oltre il PIL…

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…per calcolare la vera ricchezza delle nazioni

 
«The welfare of a nation can scarcely be inferred from a measure of national income»
(Simon Kuznets, inventore del PIL, 1934)
 
Può sembrare bizzarro, ma già da un certo tempo[1] molti studiosi e ricercatori, supportati da importanti organizzazioni internazionali quali l’OCSE[2] e l’Unione Europea, stanno indirizzando i propri sforzi intellettuali nella elaborazione di un indice alternativo al PIL, sì proprio l’amato-odiato Prodotto Interno Lordo che permette a governanti, economisti, uomini d’affari o semplici avventori da bar di discutere, preoccuparsi o, a seconda dei casi, entusiasmarsi!
Il PIL, che rappresenta il valore complessivo di beni e servizi prodotti in uno specifico ambito territoriale (un Paese, una regione, una città, o il mondo intero) in un certo intervallo di tempo (solitamente un anno) e destinati ad usi finali, venne elaborato negli anni ‘30 dall’economista statunitense Simon Kuznets, premio Nobel per l’economia.
Questo valore, indicato dalla famosa identità keynesiana Y = C + I + (X − M), dove la somma Y rappresentante il PIL è data dai valori di C (consumi finali) più I (investimenti) più la differenza netta tra X (esportazioni) e M (importazioni), se poteva risultare adeguato nel secolo scorso quando Europa e Nord America, in particolare dopo il secondo conflitto mondiale, erano impegnate in un enorme sforzo di ricostruzione e rilancio di ogni attività, con il passare del tempo ha dimostrato tutti i propri limiti.
In particolare, si è riflettuto sul fatto che la reale ricchezza di una nazione non possa essere rappresentata unicamente dai valori delle produzioni di beni e servizi ricompresi nel PIL, in secondo luogo tale sommatoria prende in considerazione unicamente le transazioni che avvengono nei mercati formali (quindi, ad esempio, le ore di volontariato non sono ricompresse pur avendo un “valore” e contribuendo alla ricchezza di una nazione) e, per questo motivo, valutabili economicamente ed oggettivamente, in ultima analisi la fredda operazione matematica non ha la capacità di valutare criticamente ogni componente (dunque, la produzione di armi contribuisce ad innalzare il PIL così come la ricostruzione di un edificio crollato per un terremoto).
Per queste ragioni, negli ultimi venti anni si sono elaborati più indici che tentano di descrivere il benessere di una nazione e di un popolo valutando elementi esclusi dalla formula classica, tenendo presente anche quanto ebbe a dire nel 1974 l’economista americano Richard Easterlin[3] in base al quale «nel corso della vita la felicità delle persone dipende molto poco dalle variazioni di reddito e di ricchezza. Quando aumenta il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità umana cresce solo fino ad un certo punto: poi comincia a diminuire, mostrando una curva ad ‘u’ rovesciata»[4], e se ciò vale per le singole persone, a maggior ragione varrà per le nazioni.
Tra gli elementi da prendere in esame in questi nuovi indicatori di “ricchezza” latu sensu, risulta necessario inserire valori quali l’accumulo (e non la semplice produzione) a lungo termine di ricchezza (naturale, economica e sociale), i livelli di aspettativa di vita, di alfabetizzazione e di istruzione e l’impatto negativo dell’inquinamento e del degrado delle risorse e molti altri.
L’evento ove si è manifestato il punto di maggior evoluzione, sino ad ora, della riflessione e dell’elaborazione tecnico-economica in proposito è stato indubbiamente l’incontro di Bruxelles dell’autunno scorso di cui abbiamo fatto cenno in apertura.
In questa occasione, la Commissione europea ha annunciato ufficialmente di avere l’intenzione di adottare entro il 2009 un nuovo indice statistico capace di integrare, oltre ai valori classici compresi nel PIL, pure la qualità della vita e il mantenimento del medio ambiente. Tali grandezze dovrebbero, comunque, essere impiegate insieme ad altri indici e sottoindici per offrire un quadro il più completo possibile e migliorare i processi decisionali e comportamentali di governi e singoli individui.
Le attuali ricerche hanno condotto alla definizione di numerosi indici, da impiegare in via esclusiva o da integrare con altri, per misurare la “ricchezza reale”, se così possiamo definirla, di un Paese.
Tra i più noti[5], e significativi, bisogna sicuramente ricordare l’Indice di Sviluppo Umano[6], o Human Development Index (HDI), impiegato dall’UNDP – Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, a partire dal 1993.
Questo indicatore pone alla base la constatazione che lo sviluppo umano è il risultato di un sistema a molteplici variabili: l’esistenza di uno stato di diritto, la tutela del patrimonio ambientale, il funzionamento di sistemi diffusi socio-sanitario e di educazione, la realizzazione di effettive opportunità di sviluppo economico a livello locale. L’HDI è dato, dunque, dalla media aritmetica di tre sottoindici, l’aspettativa di vita della popolazione di un dato territorio, il livello di istruzione degli adulti e il PIL pro-capite. Può risultare interessante notare che, dall’ultimo rapporto annuale sulla sviluppo umano, Paesi come gli Stati Uniti e l’Italia hanno visto peggiorare la loro performance, mentre altri quali l’Honduras e il Ciad hanno progredito notevolmente.
Si ha poi il Genuine Progress Indicator (GPI), Indicatore del Progresso “Reale” o Effettivo (derivato dal precedente, e più conosciuto, Indice di Benessere Economico Sostenibile o Index of Sustainable Economic Welfare – ISEW) che dal 1995 si pone l’obiettivo di calcolare il differenziale di qualità della vita distinguendo tra spese di valore positivo (che aumentano il benessere, come quelle per il lavoro domestico o i servizi del volontariato) e negativo (come i costi da sostenere per la lotta alla criminalità, contro l’inquinamento o per gli incidenti stradali).
Nel 1996, è stato sviluppato l’Indice dell’Impronta Ecologica[7] che pone in rapporto i quantitativi di risorse naturali consumate con la capacità di sostituzione del pianeta; nel 1999, la Banca Mondiale[8] ha varato il Genuine Savings Index (GSI) che misura la variazione netta di valore del capitale di un Paese partendo dal PIL, aggiungendo le spese di scolarizzazione e sottraendovi i costi relativi alla distruzione di risorse naturali. Il GSI, come i precedenti, è un indicatore sistemico, mostra cioè con un solo valore, quanto è sostenibile lo sviluppo di un particolare soggetto.
Con l’inizio del nuovo secolo, numerosi enti privati hanno battezzato ulteriori indicatori aventi una capacità descrittiva più o meno ampia. La World Conservation Union[9], ONG elvetica, nel 2001 propone il Well-Being Index, che valuta il livello di benessere aggregando 88 indicatori divisi in due “sotto-indici”, di pari peso nella formazione del dato finale: il benessere umano (HWI) – dedicato a ricchezza economica, livello di cultura, istruzione, servizi sociali – e la qualità dell’ambiente (EWI), che considera lo stato delle risorse naturali e il livello di inquinamento. L’Università di Yale[10], nel 2002, con gli ESI – EPI, Environmental Sustainability and Performance Indexes; nel 2003, la Sustainable Society Foundation propone il Sustainable Society Index – SSI[11]; ultimi, ma non meno importanti, nel 2006 vedono la luce l’Happy Planet Index – HPI[12], Indice di Felicità del Pianeta, che mette in relazione le risorse utilizzate da un dato Paese con l’impronta ecologica, l’aspettativa di vita e la felicità dei suoi abitanti, e il PIQ – Prodotto Interno di Qualità[13], che indica in termini monetari quale parte di PIL sia collegata a produzioni di qualità.
Accanto ai precedenti indicatori di settore, a questo punto è importante ricordare che esistono altri due indici che, basandosi sul potere di acquisto delle valute nazionali, sono utilizzati dagli studiosi di varie discipline per condurre valutazioni: l’indice “Big Mac”[14] e l’indice “Kalashnikov”[15]. Il primo si ottiene dividendo il costo in valuta locale del famoso panino in una nazione, per il costo nella valuta locale di un’altra nazione (entrambe in rapporto al dollaro statunitense); il valore ottenuto viene confrontato con il tasso di cambio ufficiale per capire se la moneta sia o meno sottovalutata. Il secondo offre, invece, lo stato dei diritti umani nel mondo osservando il prezzo a cui viene venduto il fucile kalashnikov: a un basso costo corrisponde una maggiore violazione dei diritti umani.
In chiusura, il confronto tra due valori che hanno riscosso un minimo consenso a livello internazionale ma che, per motivi differenti, a nostro giudizio meritano un approfondimento di studio: si tratta dell’italianissimo Coefficiente di Gini, dal nome del suo ideatore, l’economista Corrado Gini, che dal 1912 misura le disuguaglianze di reddito (con un numero compreso tra 0 – uguaglianza perfetta – e 1 – tutto il reddito è in mano a un solo individuo) e ne osserva le variazioni nel tempo, e della quasi fiabesca Felicità Interna Lorda, o Gross National Happiness – GNH[16], adottata nel 1972 dal sovrano del Bhutan per valutare il livello di sviluppo del suo Paese. Con questa modalità vengono messi a sistema lo sviluppo umano, la governance, la crescita equilibrata, il patrimonio culturale e la conservazione delle risorse naturali.
Il Bhutan, in questi trent’anni, ha compiuto progressi notevoli (diffusione dell’elettricità, creazione di un capillare sistema sanitario ed educativo in tutti i villaggi, aumento dell’aspettativa di vita da 46 a 66 anni), la sua popolazione, si spera, ha guadagnato sicuramente in felicità, chissà se i grandi della Terra sapranno seguire l’esempio di questo minuscolo e semisconosciuto Paese sperduto.
Il nostro augurio è sincero, in particolare per l’Italia dove la prospettiva OCSE per il 2008 di crescita del PIL è pari a “zero”[17]: magari, ci consoliamo con la “felicità lorda”, sempre che non ci tassino pure quella!
 
«Il PIL comprende l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine del fine settimana […] Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari. […] Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio né la nostra saggezza né la nostra conoscenza né la nostra compassione. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta»
 
 


[1] Nel 2007 si sono tenute due importanti conferenze internazionali su questo tema: a Istanbul, a giugno, un forum in seno all’OCSE dal titolo “Measuring and Fostering the Progress of Societies” (cfr. www.oecd.org/forummondialocde/istanbul), e presso il Parlamento europeo a Bruxelles, nel mese di novembre, la conferenza “Beyond GDP – Measuring progress, true wealth, and the well-being of nations” (cfr. http://www.beyond-gdp.eu).
[2] Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, cfr. http://www.oecd.org.
[3] Citato in “Misuriamo la vera ricchezza. L’Ue: il Pil non sa più dirci se siamo felici” di E. Isonio e A. Barolini, Valori, n.56, 2008.
[4] Questo è noto come «paradosso della felicità» o «Easterlin Paradox».
[5] Per maggiori notizie relative ai differenti indici si vedano le singole voci in http://www.wikipediaL’enciclopedia libera.
[6] Cfr. http://hdr.undp.org.
[7] Cfr. http://www.footprintnetwork.org.
[8] Cfr. http://www.worldbank.org.
[9] Cfr. http://www.iucn.org.
[10] Cfr. http://www.yale.edu.
[11] Cfr. http://www.sustainablesocietyindex.com.
[12] Cfr. http://www.happyplanetindex.org.
[13] Cfr. http://www.symbola.net.
[14] Cfr. in “Misuriamo la vera ricchezza. L’Ue: il Pil non sa più dirci se siamo felici” di E. Isonio e A. Barolini, Valori, n.56, 2008.
[15] Cfr. R. Saviano, “Gomorra“, Mondadori, 2007.
[16] Cfr. http://www.bhutanstudies.org.bt.
[17] Cfr. “Ocse: rallenta il Pil nei Paesi del G7, Italia a crescita zero” in http://www.ilsole24ore.com.

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